Il silenzio del rumore. Le “musiche possibili” dell’Arcipelago Battiato

Immerso in un groviglio di cavi, circondato da macchine analogiche che pulsavano come fossero un organismo umano. Franco Battiato, nei primi anni Settanta, metteva in scena performance dove il suo corpo appariva come un prolungamento degli strumenti che lo avvolgevano. Alla sua ricerca, alla sperimentazione sulle possibilità della tecnologia come linguaggio sonoro pop, la Biennale musica di Venezia ha dedicato, il 17 e 18 novembre, uno dei progetti speciali del suo archivio storico: Arcipelago Battiato, ospitato nello spazio del teatro alle Tese dell’Arsenale. Il pubblico al centro della sala si muoveva seguendo i musicisti e la cantante, Malika Ayane, che ha interpretato alcuni dei brani più rappresentativi del cantautore. Un concerto che ha rispecchiato perfettamente la passione della nuova direttrice artistica, la compositrice bolognese Caterina Barbieri, per il sentire organico degli strumenti di un’era ormai museale, quella pre digitale, del suono polveroso, imperfetto, ancora fortemente legato alla terra. Come quello, per far il nome di una delle protagoniste di questa edizione, di Suzanne Ciani, pioniera della composizione elettronica, che con Barbieri condivide anche lo strumento suonato, i sintetizzatori Buchla che reagiscono a ogni sollecitazione, dalla temperatura al contatto con le dita del musicista. Altro che citazionismo postmoderno, Battiato conteneva universi Fetus Che è proprio la dimensione del Battiato delle origini, quello del disco d’esordio, pubblicato nel 1972, Fetus, ispirato al libro più noto dello scrittore britannico Aldous Huxley, Il mondo nuovo (Brave New World, 1932), romanzo distopico ambientato nell'anno 2540 in cui l’autore descrive la terra interamente nelle mani di dieci governatori, che l’hanno conquistata dopo epiche battaglie. Nel retro della copertina il cantante scrive «interamente dedicato alla persona e all’opera di Aldous Huxley». Un esercizio di stile, Fetus, modulato quasi esclusivamente con un sintetizzatore VCS3, che caratterizza l’album sin dalle prime note. Uno strumento che, in quelli anni, era considerato un inarrivabile oggetto del desiderio, utilizzato, ad esempio, da Roger Waters che, per conto dei Pink Floyd, sembra sia stato il primo ad acquistarlo a Londra direttamente da EMS, l’azienda produttrice, dove pare lo abbia comprato anche Battiato. Alla ricerca della micromusica. Viaggio nella stanza di Battiato Musiche possibili Si era aperta una vertiginosa finestra sulle “musiche possibili”, per usare il titolo del celebre lavoro di Brian Eno e Jon Hassell del 1980, Fourth World, Vol. 1: Possible Musics, con l’elettronica che diventava linguaggio pop, seducendo, da allora, generazioni di artisti che ne scoprivano le potenzialità infinite. Persino quelle di poter generare degli assoli, proprio come succede in Fetus, con una improvvisazione eseguita da Pino Massara, il fondatore della Bla Bla, l’etichetta indipendente che aveva dato carta bianca all’allora sconosciuto cantautore siciliano. In quelli stessi anni un esemplare del VCS3 compare nello studio di un artista che, invece, era già molto celebre, il compositore di colonne sonore Piero Umiliani, che ne apprezza il suo risvolto “esotico” e lo applica a Synthi Time, dove rielabora, per il sintetizzatore motivi popolari che vanno dalla bossa nova al valzer. Con il secondo album, Pollution, (1973), anche questo pensato come un omaggio all’amato Huxley, Battiato dichiara apertamente il suo coinvolgimento in un movimento culturale che, partito da alcune istituzioni all’avanguardia, come la cattedra di musica elettronica del conservatorio di Bologna, dilaga nel pop. Battiato, la tua gentilezza non sarà dimenticata Gli studi di Ighina Sulla copertina questa volta è scritto «gesto sonoro in sette atti dedicato al Centro internazionale studi magnetici», ampliamente citato nel disco. Si tratta di una associazione creata a Imola, da Pierluigi Ighina, un ricercatore mai accettato dalla comunità scientifica che teorizzava quello che lui definiva «il ritmo magnetico Sole-Terra». Battiato è affascinato dagli studi di Ighina, ai quali associa una spinta ecologista, L’inquinamento al quale fa riferimento il testo è infatti quello elettromagnetico, come spiega un comunicato inserito tra le note dell’album che racconta di un esperimento al quale il CISM lavora, per fermare tutti i veicoli a motore in Italia, grazie ai sistemi magnetici da loro costruiti, con la consulenza di diciottomila studiosi di respiro planetario. È l’estinzione della razza umana a solcare le partiture del disco, e a portare Battiato a diventare uno dei protagonisti di una grande performance, si chiamava proprio Pollution curata nel 1972 dall’agitatore culturale, grafico, discografico e molto altro Gianni Sassi in piazza Santo Stefano a Bologna su commissione di una azienda, Iris Ceramica. Il selciato venne coperto da 10.000 piastrelle con sopra impressa la foto di una zolla di terra, sulle quali tantissimi artisti intervennero su un tema, quello dell’inquinamento allora non ancora centrale nel dibattito politico. Il musicista scelse di imbullonare un limone su una di quelle piastrelle e concluse la giornata con un suo concerto duramente criticato dai suoi fan, che lo accusarono di essersi venduto al capitale. Con il successivo Sulle corde di Aries (1973) il desiderio di cercare vie inedite al pop lo porta a mettere in relazione i suoi ascolti del momento, dal minimalismo di Terry Riley ai cosiddetti “corrieri cosmici” tedeschi, i Popol Vuh, in particolare e se il rumore che si fa canzone sembra lasciare spazio a una pacificazione interiore, arriva Aria di rivoluzione, a riportarci al suono che fa da colonna sonora alle tensioni che si respirano per la strada. «Questa mia generazione vuole nuovi valori E ho già sentito aria di rivoluzione. Ho già sentito gridare». Per i concerti di Arcipelago Battiato Malika Ayane è stata accompagnata dal pianista e tastierista Leonardo Marino, dal chitarrista Flavio Virzi, dal polistrumentista Diego Ronzio, dal percussionista Simone Beneventi, dalla violinista Silvia Mandolini e dalla violoncellista Elide Sulsenti. Le trascrizioni e le rielaborazioni sono di Leonardo Marino e Michele Tadini, che si è occupato anche della tessitura elettronica, la proiezione del suono era affidata a Thierry Coduys.