Il silenzio è un vuoto tutto uguale solo finché non ci sei abituato. Prendi la via prima della fontana ad esempio, già da lì si intuisce l’acqua, un gorgoglìo dissolto nell’aria che sembra una presenza appena scomparsa ma che in realtà è il suo esatto contrario: è un’anticipazione. È sempre una questione di prospettive, in tutte le cose, e quel suono che sembra una eco persa per sempre, cresce in realtà di passo in passo fino a quando non fa la sua apparizione la vasca: di tutte le sei fontane di Castelnuovo, un numero sproporzionato per un paese che conta in tutto otto strade, è la principale.

Secoli fa qui ci lavavano i panni e più volte contemplandola nella solitudine tartara delle sere al paese ho provato a immaginarmi concitate scene con protagoniste donnone e donnine, urlatrici sfacciate e adolescenti timide. Proprio qui, nello stesso posto, in un tempo però ancora interessato dal fenomeno della vita umana di gruppo. Me ne sono rimasto per un po’ fermo, circondato dalle mura grigie di vecchie case contadine di due o tre piani con i fienili convertiti decenni fa in piani aggiuntivi, a pensare a queste femmine precluse se non altro dalla freccia del tempo, femmine che immagino inevitabilmente un po’ più sudate, affannate e ingenue di quelle che potrebbero capitare a me oggigiorno.

Dono loro dei volti che conosco, come è normale che sia, dopodiché le immagino assieme vogliose e pudibonde, esplosioni di naturalezza contadina sfiorate appena dal velo cupo del peccato. Funziona poco, devo dire, in genere mi risveglio in fretta da questo genere di pensieri e mi ritrovo solo e al freddo: un minchione davanti a una fontana che chissà da quanti anni – è sempre stata così da quando me la ricordo – è solo una deserta vasca di pietra riempita da un flusso costante d’acqua trasparente, acqua che nessuno tocca mai con mano perché è gelata anche d’estate, acqua che rimane sempre in movimento, ma appena appena, quel tanto che basta  per rimanere perfettamente cristallina.

È come se la fontana principale di Castelnuovo fosse sterilizzata, il che mi sembra adeguato alla più importante attrazione di questo paese singolarmente privo di attrazioni e dove l’età media degli abitanti è ormai vicina a quella dei profeti della bibbia. Dopo l’ora di cena poi, in quella terra di mezzo che arriva fino al coprifuoco delle 22, il deserto è totale, inscalfibile, e bisogna per l’appunto sapere apprezzare le venature del silenzio, altrimenti rimane poco, per non dir nulla.

Pastore scozzese

Le venature però qualche soddisfazione la danno. Poco dopo la fontana ad esempio c’è un pastore scozzese, un respiro pesante dietro un cancello di legno scuro, sempre accucciato vicino a una ruota del Suv Bmw a idrogeno del suo padrone. Il respiro pesante vuol dire che dorme, in alternativa, il tintinnare sempre più nervoso del ciondolo del collare – che senza timore di apparire didascalico rappresenta un altro cane, anche se di una razza differente – indica che l’animale è sveglio. In questo secondo caso il cane si accorge della presenza del passante due o al massimo tre metri prima. Una differenza minima, indice di una reattività notevole per un animale ormai vecchio e con quei problemi respiratori. 

In entrambi i casi, comunque, sapendolo si evita di prendere spaventi perché il pastore scozzese in questione non solo è vecchio e affannato ma anche eccezionalmente cattivo e abbaia con una rabbia sorda, determinata, non so se perché dorma male e finisca per  assomigliare a quei vecchi che dopo ore di apnee notturne si svegliano senza ossigeno nel sangue, o se perché vivendo in un paese pieno di cani lupo e di rottweiler non voglia sentirsi da meno per una questione di dignità canina. Insomma competizione o degenerazione: la faccenda sembra muoversi fra i due estremi tra cui è compresa ogni cosa.

Come detto il silenzio parla. Sta di fatto che il cane con tutta quella sua rabbia cieca e automatica è fastidioso, e ogni volta che passo per di là penso sempre che un po’ di carne macinata mischiata a del veleno per topi risolverebbero il fastidio, come in passato l’hanno già risolto per altri in questo paese civilissimo, silenziosissimo e che negli anni ha visto un proliferare endemico di cani da guardia nonostante il crimine non esista qui se non come rappresentazione sugli schermi di tv e telefoni.

Alla fine comunque lascio sempre perdere i cattivi propositi: è un dispiacere, quello di sentirsi abbaiare ingiustamente da una creatura di rango inferiore, che non merita la pena di morte e soprattutto i potenzialmente infiniti problemi che dovrei affrontare se la cosa venisse scoperta, eventualità da non escludere perché Castelnuovo sembrerà pure un cimitero ma in realtà anche i muri hanno orecchi, lo sanno tutti. Poca pietà per l’animale in sé, troppo stupido com’è per generare empatia tra specie diverse, ma anche troppo irrilevante per correre il rischio di mettere in moto quei decennali meccanismi di vendetta tra umani che nel silenzio trovano il loro habitat naturale, visto che nulla può intervenire a distrazione.

Rimane il silenzio

Camminando ancora arrivo fino al viale principale, giù fino alla chiesa e al parchetto, me ne sto per un po’ a leggere i social dal telefono seduto su una panchina vicino al grande manifesto sulla cooperazione con la Cina. Alle volte mi spingo fino al retro della chiesa e guardo la città sul fondovalle, la striscia luminosa dell’autostrada: se la luna collabora, s’intuisce anche il letto del fiume. Un bel quadro, disturbato dallo stadio nelle sere in cui accendono i riflettori e l’equilibrio della costellazione urbana viene sbilanciato da quel blocco gialloverde sproporzionato rispetto alla grandezza della città e all’infima categoria della squadra  che in quel campo ci gioca.

Se un cinese, un russo, un indiano comprasse il club, forse… Ma perché dovrebbe farlo? C’è tanto di meglio nel resto d’Italia, qui di tradizione calcistica seria non ce n’è mai stata. Qui c’è solo silenzio. Silenzio, fontane e quando è inverno un po’ di neve. Ma è tutto uguale solo finché non ti abitui.

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