Tra il 1994 e il 1998, quando era già noto a livello internazionale per essere uno dei protagonisti del nuovo corso dell’arte cinese, Wang Guangyi ha realizzato tre serie di dipinti – Passport, Visa e Virus Carrier – in cui la figura di un neonato, di un uomo ritratto in stile fototessera o di un cane è accompagnata da informazioni anagrafiche e identificative. Su ogni quadro spiccano in lettere maiuscole le diciture “PASSPORT VISAS”, “VISA” o “VIRUS CARRIER” come timbri apposti sui documenti che consentono o impediscono di attraversare le frontiere. Richiedere un visto implica accettare di sottoporsi a un’indagine e a una schedatura, fornendo fotografie, impronte digitali e informazioni sui motivi del viaggio. Nella classificazione degli individui attraverso documenti identificavi e nella registrazione delle caratteristiche fisiche al fine di una migliore organizzazione burocratica si sottintende però che in ciascun individuo si nasconde un potenziale pericolo per la collettività. Queste opere appaiono ancora più attuali oggi, in un momento in cui le misure di sicurezza per contenere il diffondersi della pandemia di Covid-19 comportano restrizioni che inevitabilmente limitano la libertà individuale.

Sospetto e paura

Il sospetto e la paura hanno sempre avuto un ruolo determinante nell’indirizzare il sentire collettivo e talvolta sono stati utili a chi governa per convincere le masse a cedere una fetta più o meno consistente di libertà in cambio di protezione. Cresciuto e formatosi in Cina negli anni della Rivoluzione culturale, Wang Guangyi ha avuto modo di osservare gli effetti di una società in cui ognuno si sente tenuto d’occhio dal proprio vicino e certamente i cicli di opere citati risentono di quel clima. Guardati alla luce dei nuovi scenari geopolitici, i lavori in cui Wang Guangyi ha trattato questi temi rimangono di attualità anche se si sposta lo sguardo sull’Occidente democratico. Si pensi per esempio all’introduzione di procedure per limitare l’entrata negli Stati Uniti di persone che hanno transitato in paesi considerati ostili o che in tali paesi risiedono.

In tempi più recenti, nel 2017 e nel 2018, con il ciclo Popular Study on Anthropology, Wang Guangyi ha trattato, tra l’altro, temi connessi alla classificazione degli individui o di intere comunità sulla scorta di caratteri morfologici e in riferimento al concetto di razza. L’artista si è concentrato sulla relazione tra le teorie scientifiche e pseudoscientifiche dell’antropologia sociale e dell’antropologia criminale del passato e sulle attuali ricerche della biogenetica, della biotecnologia e sulle possibili conseguenze delle loro applicazioni. Ha così sviluppato la sua ricerca con tre diverse serie di lavori: Race, Violence and Aesthetics (2017); Veil of Ignorance (2018); Analysis on Races (2018).

Realizzati con stampe giclée su grandi fogli di carta poi montati su alluminio, questi lavori della serie Race and Violence presentano volti umani riprodotti come se fossero fotografie stampate in negativo, le cui caratteristiche somatiche sono state associate a una particolare etnia che l’artista riporta nella didascalia sia in cinese che in inglese.

Per realizzare questi lavori Wang Guangyi si è appropriato di illustrazioni incluse nel libro di Alfred Eydt dal titolo Schreibers rassenkundliche Anschauungstafel: Deutsche Rassenköpfe, pubblicato nel 1934 in Germania da Schreiber. L’autore del libro era considerato un esperto di politica e psicologia razziali.

In uno di questi lavori campeggia nella parte centrale una fotografia d’epoca che mostra studiosi nazisti applicare il sistema pseudoscientifico di misurazione del volto per determinare la discendenza etnica di un uomo. Rimanda pertanto a teorie destituite di ogni fondamento scientifico, teorie un tempo accettate non solo nella Germania nazista.

Bellezza ideale

Negli altri lavori del ciclo Popular Study on Anthropology, quelli contrassegnati dalla scritta “Race and Aesthetics”, il focus dell’opera si sposta sui parametri di bellezza ideale. Questi lavori presentano fotografie di volti trovate su siti Internet cinesi, stampate in negativo e accompagnate da didascalie che indicano l’etnia o l’area geografica di provenienza dei soggetti ritratti. L’artista le ha presentate mantenendo la didascalia originale che le accompagnava e aggiungendo la traduzione in inglese.

Spesso queste sequenze di volti offrono un modello di bellezza, proponendo codici di valutazione estetica che contrassegnano un tipo ideale all’interno di un’etnia. Suggeriscono che sia possibile l’individuazione scientifica della bellezza, basandosi su algoritmi. Questi ritratti portano con sé un sottotesto che tende a stabilire parametri identificativi che, presentati come oggettivi, tendono a condizionare l’immaginario collettivo.

Come in altre opere di Wang Guangyi l’uso della riproduzione dell’immagine in negativo si tramuta in una riflessione su apparenza e realtà. Il negativo limita fortemente la possibilità di connotare il soggetto: non si percepisce il colore della pelle, dei capelli, degli occhi e gli stessi tratti somatici perdono nitidezza. A impressionare la pellicola non è un’immagine definita, che corrisponde alla realtà del soggetto, ma la sua impronta.

Il terzo ciclo di Popular Study on Anthropology, intitolato Veil of Ignorance, è costituito da stampe di immagini di volti su cui l’artista è intervenuto con del colore acrilico molto diluito. L’immagine, coperta da un velo colore e da macchie che non consentono di metterne perfettamente a fuoco i tratti, si presenta come un affresco deteriorato. Come lo stesso artista ha spiegato, la sfocatura non permette di identificare l’area di provenienza dei soggetti. Non riuscendo dunque ad attribuire a questi volti delle “proprietà razziali” possiamo riconoscere in loro solo degli esseri umani.

Qui l’artista ha fatto proprio il concetto di “velo di ignoranza”: l’esperimento mentale contenuto in A Theory of Justice: l’opera più celebre del filosofo politico John Rawls (1921-2002). Rawls si interroga socraticamente su cosa sia la giustizia e su come si costituisca una società equa ex novo. A questo fine ritiene necessario che i legislatori operino in una condizione di ignoranza rispetto alla posizione che andranno a ricoprire nella società embrionale che sta costituendosi. In questo modo non assegneranno alcun privilegio a nessuna classe o figura, perché potrebbero non rientrare nelle categorie che ne beneficeranno. Per non correre il rischio di finire in una classe svantaggiata studieranno leggi che tratteranno tutti equamente. L’attenzione di Wang Guangyi è guidata dalla volontà di cogliere ciò che si nasconde dietro i fenomeni. Il suo lavoro evidenzia che il fenomeno rimanda a una realtà che, come ci ha insegnato Kant, si pone al di là della conoscenza sensibile, di cui non si può dare una esatta definizione. È riflettendo anche su questo che Wang Guangyi ha realizzato Popular Study on Anthropology, facendo ancora una volta del suo lavoro un tentativo di spostare l’attenzione su ciò che non può essere misurato e definito: l’essenza dell’individuo.

 

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