Come saprete, questa settimana il ministro Matteo Salvini ha detto che bisognerebbe mettere un tetto massimo di bambini stranieri nelle classi, un limite pari al 20 per cento, perché «se hai tanti bambini che parlano lingue diverse, e non l’italiano, è un caos».

Lì per lì sembrava una delle sue solite uscite, Salvini è bravo a distrarci, a farci perdere tempo, un tempo che se ne va e non tornerà mai più. Il tetto del 20 per cento? E come?

Anche tralasciando il fatto di non essere d’accordo con il principio, l’idea sarebbe di difficile attuazione, visto che i bambini di norma vanno a scuola nella zona in cui abitano. Dove vivono più stranieri, ci sono più stranieri nelle classi.

Del resto ormai siamo assuefatti a questa estrema destra che le spara grosse e non pragmatiche. Probabilmente lo fa per distrarci dal suo amaro far niente.

Ma la cosa non è finita lì. Il giorno dopo, il ministro dell’istruzione e del merito Valditara ha ripreso il concetto di Salvini, scrivendo un lungo tweet sgrammaticato dove sostiene l’idea del tetto massimo di stranieri e l’importanza di salvaguardare lingua e cultura italiane.

Il tweet è esploso sui social, sbertucciato per la sua incoerenza: vuoi fare il paladino dell’italiano e della cultura, e poi violenti la lingua scrivendo un testo sgrammaticato? È surreale. In questi casi di solito si dice: ma non ce l’hai un amico? Un assistente? Un’intelligenza artificiale a cui chiedere?

Il ministro si è poi difeso (non scusato, difeso) dicendo che il tweet era stato dettato al telefono, e che noi ci fermiamo alla forma, trascurando la sostanza.

Ha detto che ignoriamo la questione da lui posta perché non abbiamo risposte da dare. Le risposte le abbiamo, invece, in forma di domanda: non perché siamo deboli, ma perché ci piace esercitare il senso critico.

La domanda principale è questa: l’idea del tetto di stranieri nelle classi non è per caso un modo fumoso di promuovere, in realtà, il fastidio per l’immigrazione? Perché, come si diceva sopra, l’idea in sé non ha nulla di pragmatico. Dunque, essendo priva di concretezza, deve per forza nascondere altro. No?

Facciamo di no, e pensiamo che sia tutto in buona fede. Nel 2023 sono nati in Italia 379mila bambini, un nuovo minimo storico. La questione, come sappiamo, è radicata, anche perché i nati diminuiscono, ma via via diminuiscono anche i genitori potenziali, visto che il declino dura da molti anni: vent’anni fa le donne in età fertile (la statistica usa per esempio questo dato) erano 13,8 milioni, oggi sono 11,5 milioni. La bassa fertilità del passato si traduce via via in bassa fertilità del presente.

Non solo. Pure gli stranieri fanno meno figli, e questo è un fenomeno interessante, perché forse racchiude la chiave di una spiegazione più ampia. (Piccolo inciso: non intendo posizionarmi né come paladina della crescita demografica, né del suo contrario. Non è rilevante ai fini di questo ragionamento).

I neonati figli di stranieri presenti sul territorio italiano rappresentano il 13,3 per cento del totale nel 2023, in declino rispetto al passato. Dunque, lo possiamo dire, non si osserva da questo punto di vista un contributo esplosivo a quello che per Salvini sarebbe il caos.

Quello che si osserva è più semplice: il problema fantasioso di quanti bambini italiani o stranieri debbano stare in una classe sarà sempre più offuscato dalla questione concreta della mancanza di bambini e basta.

Ma facciamo finta che neanche questo sia il punto. Se vuoi creare classi col 20 per cento di stranieri là dove al momento ci sono classi con il 60 per cento di stranieri (dico un numero a caso), cosa fai? Nella pratica, dico.

Spedisci i bambini da un capo all’altro della città ogni mattina, per creare queste benedette percentuali ideali? Fai una rete di bus all’uopo? No, davvero. Come gestisci questa redistribuzione? Porti il caos nell’infanzia delle persone? Oppure cambi la composizione dei quartieri?

Mandiamo gli stranieri che abitano nelle periferie a vivere nelle zone a traffico limitato? Mescoliamo il tessuto sociale, cacciando gli italiani dai loro appartamenti? Ho la sensazione che non sia questa la priorità di un’estrema destra.

Per chiudere su quest’ansia da salvaguardia della lingua e della cultura italiana. Di solito chi conosce, studia e ama le lingue e le culture non sente la necessità di difenderle, perché sa che si difendono da sole, con la loro vitalità e necessità.

Serve praticarle, sì, serve rispettarle. Ma non difenderle. È come in amore: se ami qualcuno, non gli metti il filo spinato intorno. Lo lasci vivere, evolvere, e cerchi solo di conoscerlo sempre meglio. Conoscere significa difendere senza armi.

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