Sembra che il giorno del suo suicidio, lo svedese Stig Dagerman avesse letto una banale notizia: un funzionario della previdenza sociale accusava chi campava di sussidi di tenere in casa un cane. «È deplorevole», si sfogava il burocrate. Dagerman, su quel fatto, ci scrisse una poesia, amaramente satirica, nella quale tuonava: «Abbattete i poveri, così il comune risparmierà qualcosa!». Dopodiché, dopo averlo a lungo rimuginato, si uccise con il gas di scarico dell’automobile. Aveva trentun anni. Era il novembre del 1954. Nove anni prima, Dagerman aveva debuttato nella letteratura con il romanzo Il serpente (Iperborea).

La guerra era appena finita e lui aveva ventidue anni. Per un certo periodo aveva servito nell’esercito e da quella esperienza traeva l’ambientazione per questa storia priva di un vero protagonista. Di fatto, né Irène, né il sergente Bohman, né il soldato Bill, né il gruppo di insonni quali Sörenson, Jocker o Scriver prevalgono nella vicenda di una caserma dove l’unica minaccia è rappresentata da un rettile cacciato a forza dentro uno zaino. Una storia fortemente allegorica. Un romanzo sulla paura e sulla tirannia in parte saggio, in parte satira, in parte rompicapo.

«Romanzo non-romanzo» lo definisce Fulvio Ferrari, traduttore e curatore in italiano di gran parte dell’opera dello svedese. Certamente è un racconto dove la ricerca sulla struttura e sul linguaggio hanno ruoli molto maggiori rispetto alla trama. Non c’è una trama, esiste una ragnatela di trame. In ogni caso, quando apparve, il libro piacque alla critica e fu un successo.

Pensiero anarchico

Ma chi era Stig Dagerman? Figlio di un operaio e di una centralinista che dopo il parto abbandonò il figlio, il ragazzino trascorse i primi anni nella campagna di Älvkarleby in casa dei nonni, finché non poté riunirsi con il padre a Stoccolma. Sono gli stessi anni in cui il futuro regista Ingmar Bergman, che era nato solo cinque anni prima di Dagerman, girava per le campagne di Uppsala al seguito del padre pastore luterano: è una Svezia dove domina la cultura contadina, i grandi spazi, le privazioni.

Ma il padre di Dagerman, Helmer Jansson, è un piccolo proletario urbano, un operaio sindacalizzato di ferme idee anarchiche e il ragazzino cresce immerso in questo ambiente profuso di socialismo libertario, di riunioni, di attivismo. A sedici anni Stig scrive sul giornale dei giovani anarchici Storm, per poi lavorare nel quotidiano Arbetaren. Alla fine degli anni Trenta anche in Svezia soffia il vento del nazismo e nonostante durante la guerra il paese si manterrà neutrale, i seguaci di Hitler sono molti, come Per Engdahl, le cui idee attecchiscono bene (basta riandare al successo di Uomini che odiano le donne di Stieg Larsson per capire quanto l’estrema destra prenderà piede).

La politica ufficiale del paese nei primi anni di guerra è ambigua, con qualche concessione alle richieste di Berlino, ma dopo il ’43 iniziano ad arrivare i profughi da tutta Europa, anche dalla Germania. Stig sposa Annemarie, la figlia di uno di questi, un anarchico tedesco. Il serpente comincia a essere composto in quel periodo. Non è una cronaca né un racconto militante: è l’opera di un poeta, uno scrittore molto sincero, passionale, mosso da ideali umanitari, un «cuore ardente» come scrive proprio nel 1943 citando il poeta norvegese Rudolf Nilsen.

Come anarchico si sente isolato, anche perché la sua visione non è dogmatica, non è preda di facili illusioni. Nel 1947 avrebbe annotato, con una certa inquietante preveggenza: «Sono rimasto spesso colpito da quanto proprio i giornalisti culturali della stampa operaia siano inconsapevoli della situazione psicologica della classe lavoratrice. Fanno una gran fatica a capire che belle parole come democrazia, umanità, libertà e sicurezza non possono che essere vuote di contenuto per chi lavora alla catena di montaggio». Se c’è una militanza, in Dagerman, è contro il cinismo.

Nel frattempo, come abbiamo visto, il romanzo a cui ha lavorato lo consacra. Ma non ci crede: «In quanto anarchico (e in quanto pessimista nella misura in cui è consapevole che il suo contributo potrà forse avere solo un significato simbolico)» scrive nel 1946, «lo scrittore può intanto attribuirsi in buona coscienza il modesto ruolo del lombrico nel terriccio della cultura che altrimenti si dissecherebbe nell’aridità delle convenzioni. Essere il politico dell’impossibile in un mondo dove sono troppi i politici del possibile è, nonostante tutto, un ruolo che personalmente mi può soddisfare come essere sociale, come individuo e come autore del Serpente».

Nove anni

È impressionante pensare che tutto quanto ha vissuto e lasciato accadrà nei nove anni scarsi che gli restano da vivere. Il viaggio tra gli ultimi nella Germania post-bellica da cui nacque il reportage Autunno tedesco, l’amore e poi la separazione dalla profuga di guerra, la relazione con la bellissima Anita Björk, attrice che avrebbe avuto in seguito un celebre flirt con Graham Greene e che abbiamo visto sul grande schermo in Donne in attesa diretta proprio da Ingmar Bergman.

Nove anni soltanto, che vedono nascere l’altro – forse il maggiore – capolavoro di Dagerman: Bambino bruciato. Terso e dolente racconto sulla giovinezza che non riesce però a essere un romanzo tetro, ma anzi è illuminato da tensione vitale, da erotismo, da una grande maturità espressiva. E poi drammi teatrali, poesie, saggi, fino a Il nostro bisogno di consolazione, il lancinante testamento dello scrittore pubblicato due anni prima del suicidio. Nove anni di successo riluttante. Eppure, Dagerman non era stato il primo “politico dell’impossibile” prestato alla letteratura.

Gli interrogativi

Non bisogna dimenticare che la Svezia è la patria di August Strindberg, l’autore del classico La signorina Julie, genio che anticipò le contraddizioni del Novecento, il cantore dell’ipocrisia e dei conflitti di classe all’interno della stessa piccola borghesia. Attratto dalla causa dei lavoratori, Strindberg fu anch’egli vicino alle idee del pensiero anarchico.

Nel suo romanzo biografico su Strindberg, Una vita, uno dei grandi autori svedesi del dopoguerra, Per Olov Enquist (per intenderci, scrisse Il medico di corte) immagina un dialogo tra Strindberg e sua moglie Siri a proposito dell’anarchismo, da cui lei, attrice, è spaventata. Ma lui la incalza così: «L’uomo del Novecento sta nascendo proprio ora, da queste idee. Un uomo nuovo, senza paure, senza autorità, senza oppressione, senza pregiudizi, senza tasse, senza preti, senza militari. L’europeo del Novecento. E nostro figlio, Siri, nascerà proprio al centro di questa nuova Europa». Non è forse, questo, il ritratto perfetto di Stig Dagerman? L’autore de Il serpente è il figlio ideale di Strindberg.

Ma se si sfoglia qualche altra pagina del romanzo di Enquist si incontra il confronto tra Strindberg e un anarchico, che rimprovera le velleità del drammaturgo: «Il guaio di voi letterati è che non fate altro che parlare. Potete dare anche l’impressione di essere rivoluzionari, a parole… però, al momento di passare alle vie di fatto, ecco che esitate…». Non è forse la condanna a morte del figlio ideale? Non è la descrizione esatta del tormento di Dagerman quando, due anni prima di morire, scrive: «Lascio un’attitudine vacillante rispetto ai grandi interrogativi del nostro tempo».

Dagerman si sentiva un autore compromesso, fallito, colpevolmente sedotto dal successo. Il suo vero fallimento, se c’è, è quello di non aver capito di essere già un classico moderno che stava lasciando un’indicazione di lavoro a molti autori di oggi: date più spazio al lettore. È un lascito importante, perché oggi prevale l’idea che il lettore debba essere continuamente imboccato. Dagerman viceversa, come nel Serpente, lasciava vaste aree incontrollate, ampie zone d’ombra che invitano il lettore ad avventurarsi, a interrogarsi, smarrirsi persino. In questo, anticipa scrittori che come lui sono stati capaci di tessere il mirabile intreccio di forza poetica, carica allegorica e sottinteso sguardo politico: l’Anthony Burgess di Un’arancia a orologeria, il Milan Kundera de Lo scherzo, il Michel Tournier de Il re degli ontani, la Christa Wolf di Cassandra.

Leggere oggi Stig Dagerman significa interrogarsi su cosa sia rimasto – se qualcosa è rimasto – dell’”europeo del Novecento” e magari tentare di capire come ritrovarlo.


Il serpente di Stig Dagerman sarà presentato domenica 28 febbraio alle 15.30 nell'ambito del festival I Boreali, che quest'anno si terrà interamente online (27/28 febbraio). Partecipano all'incontro Giorgio Fontana, Andrea Staid e Matteo Bordone, che per Iperborea ha appena realizzato il podcast Raccontami Stig Dagerman. Tutti gli eventi del festival saranno trasmessi in live streaming sul canale YouTube di Iperborea, sul sito iboreali.it e sui profili Facebook di Iperborea e del festival.

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