Da dove vengono questi ragazzi che sorridono così tanto quando vincono ma anche quando perdono, queste facce piene di luce, questi occhi così spesso neri e profondi, questi corpi minuti o possenti, bianchi o neri o marroni o chissene importa come, belli e freschi come una promessa di qualcosa di migliore? Che l’atletica riempia gli occhi e allarghi il cuore non è inusuale, è anzi così da sempre sia per chi la guarda che per chi la pratica. Che l’atletica italiana sia diventata una potenza assoluta in Europa e voli verso le prossime Olimpiadi con la speranza di esserlo ancora pure nel mondo, dopo il boom di tre anni fa a Tokyo, sta diventando invece una consolidata novità. Come se davvero, come dicono adesso i ragazzi nati negli anni 2000 che vediamo fare meraviglie a Roma, a Tokyo fosse saltato un tappo, si fosse messo in moto un mondo, fosse cominciato un futuro.

Chituru Ali, Marcell Jacobs e Lorenzo Simonelli - ANSA

Non importa proprio, adesso, adeguarsi alla contabilità delle medaglie di questi campionati europei. Troppi aggettivi iperbolici in giro, troppo abuso di patria, orgoglio, grandeur, tricolore anche da parte di chi, a sprezzo del ridicolo, esalta vittorie arrivate da gente che magari avrebbe spedito dietro fili spinati in Albania. Lasciamo perdere: l’Italia che corre e salta e lancia è parecchio più avanti, ma proprio parecchio, anche se molti dei nostri eroi in maglia azzurra i passaporti li hanno aspettati per anni e anni, e tra chi esalta le vittorie c’è pure chi potrebbe sospettare di sostituzione etnica alcuni che invece il passaporto ce l’hanno sempre avuto: Mattia Furlani che ha la mamma di origini senegalesi e che salta in lungo come un angelo, Nadia Battocletti, che sui 5000 è degna della tradizione della terra della mamma marocchina, o Lorenzo Ndele Simonelli che è nato a Dodoma dove il papà antropologo aveva sposato la mamma tanzaniana e che ora vola oltre gli ostacoli, o Chituru Ali, il gigante che ha sfidato Jacobs nei 100 metri e che a due anni venne affidato dai genitori africani alla famiglia comacina Mottin, o Yeman Crippa, maratoneta d’oro, adottato a 5 anni nel 2001 assieme ai cinque fratelli dopo aver vissuto in un orfanotrofio etiope.

Yeman Crippa - ANSA

E l’elenco potrebbe continuare a lungo, anzi, è in continuo e inarrestabile aggiornamento, considerando l’esplosione di talenti che si registra nei settori giovanili, praticamente in ogni angolo d’Italia, e che ha già prodotto fenomeni come Zaynab Dosso, Ayomide Folorunso, Catalin Tecuceanu, nomi che da soli raccontano storie non meno intense di quelle degli italiani nati in Italia da due genitori italiani, che prima o poi diventeranno una minoranza.

Lorenzo Simonelli - ANSA

Ma ormai questo si sa, l’abbiamo imparato bene: l’atletica, lo sport in genere, non è come il Paese che fa aspettare 18 anni i ragazzi nati e scolarizzati in Italia per riconoscerli cittadini. È meglio, l’atletica. E comincia a venire il sospetto che sia meglio anche di altro, tornando a vedere quelle facce e quella luce, e sentendo poi parlare gli azzurri con le loro medaglie al collo ma anche dopo le loro brusche delusioni, poche in questo europeo, ma pure tanto dure per chi le ha vissute. Da dove vengono, dunque, oltre che dalle loro magnifiche famiglie miste, sempre generose, adottive o meno che siano? Chi li ha scoperti? Chi hanno incontrato capace di vedere in loro il talento? E soprattutto, come sta cambiando, per davvero, la fisionomia dello sport italiano, con sempre più soggetti intenti a picconare il monolite del calcio staccando pezzi sempre più grandi di interesse, seguito e scelta dei ragazzi?

Leonardo Fabbri - ANSA

Cambiare la cultura sportiva, soprattutto se si tratta di monocultura o giù di lì, è un processo lunghissimo, complesso, e non si può renderne conto in poche righe influenzate peraltro da un momento particolarmente felice. Bisognerà aspettare un tempo più lungo, studiare i dati reali – tesserati, praticanti, agonisti – analizzare i flussi di uscita ed entrata. Ma già ora si può dire che non si tratta più di un’impressione: è un vento nuovo quello che sta soffiando sulle passioni dei ragazzi italiani, spostandoli verso la scoperta e la pratica di altro rispetto al pallone, divenuto un gigantesco affare anche con le sue migliaia o decine di migliaia di scuole e scuolette calcio private. Come se l’atletica oggi, dopo la pallavolo e il basket – grandi discipline di reclutamento scolastico – avesse preso un suo spazio pieno, definito e crescente, restituendo a chi la sceglie cura, attenzione, entusiasmo e ora anche grandi risultati.

Nadia Battocletti - ANSA

Basta respirare un po’ l’atmosfera dell’Olimpico, dove i ragazzi in pista spesso si mescolano in un reciproco riconoscersi, nei selfie e negli abbracci, a quelli seduti in tribuna. Ma basta forse respirare l’aria dei campi e campetti di allenamento in tutta Italia, dove dalle ragazze, dai ragazzi che si allenano emerge una freschissima idea di sport che somiglia molto allo sport puro, fatto di allegra bellezza. I ragazzi che cinquant’anni fa sceglievano il calcio o il ciclismo, per decenni i due grandi sport popolari, adesso scelgono anche molto altro, sull’onda certamente dei risultati che sempre fanno da traino ai movimenti – il nuoto prima e il tennis oggi ne sono un esempio attualissimo – ma forse anche da qualcosa di più grande: una certa stanchezza per papà calcio (che, sia chiaro, sempre papà resta, magari un po’ burbero e invecchiato) e la voglia di affrancarsene, di ribellarsi, di essere felici anche andando per un’altra strada, uscendo di casa. E diventando grandi.

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