C’era una volta la cartolina. E c’era una volta il paesaggio “da cartolina”. Un paesaggio che era di solito una bella veduta, inquadrata prospetticamente, spesso incorniciata da un bell’albero o da un monumento, quest’ultimo possibilmente subito riconoscibile. La cartolina è stata relegata nel passato dalle foto fatte con lo smartphone, pronte a essere subito inviate a parenti e conoscenti, o caricate su Instagram.

Il paesaggio da cartolina è diventato un’anticaglia grazie a un libro di fotografie, Viaggio in Italia, ideato quarant’anni fa da un grande fotografo, Luigi Ghirri, che aveva associato all’impresa un manipolo di colleghi destinati a diventare i più noti della loro generazione, Olivo Barbieri, Gabriele Basilico, Mimmo Jodice, Gianantonio Battistella, Vittore Fossati, solo per ricordarne alcuni.

Il libro uscì come catalogo di una mostra allestita alla Pinacoteca provinciale di Bari e venne stampato da una piccola casa editrice di Alessandria, Quadrante. Ma nel tempo era diventato un oggetto di culto, inseguito dagli appassionati di fotografia nei cataloghi di antiquariato. Adesso l’editore Quodlibet lo ha ripubblicato in facsimile, nel momento in cui l’Istituto italiano di cultura di Parigi ha allestito di nuovo la mostra, arricchendolo di un fascicolo supplementare e ridigitalizzando i negativi o le stampe originali. Mentre al MAXXI di Roma è in corso fino ad aprile una mostra personale di un altro dei fotografi che parteciparono all’impresa, Guido Guidi.

Addio al pittoresco

Il paesaggio da cartolina doveva essere pittoresco, nel senso etimologico del termine: doveva, cioè, anche se era un paesaggio fotografato, riprendere gli stilemi e l’ispirazione della pittura di paesaggio. Pittoresco è, all’origine, quel che viene bene in pittura, e solo per traslato è poi passato a indicare un paesaggio di vegetazione intricata, o arricchito da riferimenti a tradizioni e aspetti locali, folclorici.

Il paesaggio del Viaggio in Italia di Ghirri (e Gianni Leone ed Enzo Velati, gli altri due curatori) segna il più radicale distacco da entrambi i sensi della parola “pittoresco”, da un’idea di paesaggio ispirata alle scuole del paesaggismo regionale italiano come da un paesaggio vernacolare, suggestionato dalle particolarità tradizionali dei luoghi.

Ghirri e gli altri guardano a un paesaggio, è il caso di dire, che nessuno aveva ancora visto. Un paesaggio lontano da ogni oleografia, da ogni ricerca deliberata di bellezza, ma proprio per ciò tanto più nuovo e pieno di significato. Un paesaggio che poteva essere colto solo dalla fotografia, muovendosi ai margini delle città, nelle periferie, ma anche tenendosi lontani dalla campagna stereotipata dell’idillio e della naturalità. È un paesaggio fatto di muri di mattoni, di porte e di portoni scrostati, di case rimaste senza intonaco, di interni spogli e di giardini poco curati, di periferie industriali, di gasometri e stazioni di servizio, di strade rettilinee senza quinte scenografiche né parate viali alberati.

Né reportage, né denuncia

Non bisogna pensare, però, a un libro di denuncia, e nemmeno a un reportage. Il paesaggio del Viaggio in Italia non è, o almeno non è innanzi tutto, il paesaggio degradato, dissestato, stravolto, anche se il periodo che va dalla ricostruzione postbellica al momento in cui fu pubblicato è certamente quello nel quale il paesaggio italiano ha subito la trasformazione più radicale, e gli affronti più irreparabili.

Ghirri e i suoi ci parlano della trasformazione subita dal paesaggio, ma non vogliono denunciare abusi o indignarsi per gli scempi, che sarebbe infondo la cosa più facile, e anche la via più breve per fare una fotografia sensazionalistica, a effetto. Quel che vogliono dirci è che in primo luogo deve cambiare il nostro sguardo, la nostra abitudine a non vedere o a vedere solo quel che si presenta con qualche crisma di eccezionalità.

Il loro è un paesaggio a tutti gli effetti quotidiano, dimesso, e il loro linguaggio fotografico è una sorta di sermo humilis della fotografia, l’unico modo per cogliere un paesaggio indeciso, irrisolto, sempre in bilico tra una paradossale bellezza e la trasandatezza incurante. Un paesaggio anche fisicamente spesso a metà del guado, non più periferia e non ancora campagna, una sorta di prefigurazione di quello che poi Gilles Clément chiamerà “terzo paesaggio”.

Lontani dal neorealismo

Sono paesaggi spesso vuoti, nei quali non ci sono persone. Anche quando ci sono, sono comunque marginali, come nulla è centrale in questi paesaggi. Dunque, siamo anche molto lontani dal neorealismo. La Luzzara di Zavattini, fotografata da Paul Strand all’inizio degli anni Cinquanta, ci appare oggi incredibilmente piena di gente, ed è la povera gente la protagonista di quelle fotografie. Contadini e contadine, bambini e vecchi si affollano sulle porte di casa, popolano le piazze, si avviano verso i campi. Ghirri e i suoi non vogliono fare sociologia, non si propongono certo un’inchiesta, ma le loro fotografie così straordinariamente vuote e silenti raccontano la grande trasformazione italiana meglio di un libro di storia.

Nel Viaggio in Italia anche le campagne sono vuote. Luzzara è in Emilia, non lontano dal Po. Il libro di Ghirri era ed è accompagnato dallo scritto di un autore, Gianni Celati, che ha fatto della Pianura padana la propria terra d’elezione e il Viaggio in Italia, oltre a un’introduzione di Arturo Carlo Quintavalle, aveva, e ha, in apertura, un lungo racconto dell’itinerario compiuto da Celati per raggiungere, per lo più a piedi o in autostop, il paese natale della madre nel Polesine, in pieno delta del gran fiume. Celati poi ne ha fatto un libro a sé stante, Verso la foce.

Ma Celati nel 2002 ha anche realizzato un lungometraggio, Case sparse. Racconti di case che crollano, che è forse la migliore continuazione del lavoro di Ghirri e sodali. Non solo perché ne sono protagonisti i tanti casali abbandonati nella Pianura padana, che tutti noi abbiamo visto anche solo passando in autostrada, ma per la cura che consacra a documentare le superfici, i muri, le porte, i tetti, con un’attenzione amorevole per ciò che è diventato affascinante come una rovina senza essere stato un monumento.

Un paradossale Grand Tour

Viaggio in Italia non è un titolo qualsiasi. Sceglierlo significa evocare una compagnia eletta e insieme schiacciante, quella dei tanti viaggiatori celebri che hanno costruito il mito dell’Italia, del bel Paese, del giardino d’Europa, da Montaigne a Goethe. Ma i nostri fotografi non si fanno intimidire, e il loro è davvero un viaggio in una Italia diversa, e il loro sguardo non si ferma alla Padania, ma con Carlo Garzia e Mario Cresci scende a Trani e a Matera, a inseguire la curva di una ferrovia che si perde nel nulla, con Giovanni Chiaramonte a Segesta e con Jodice tra le baracche di Gibellina o in una Pompei antimonumentale.

A dare unità, non certo una completezza, del resto impossibile, non può che essere una medesimezza di sguardo. Come mostra bene un libro che Corrado Benigni ha dedicato al progetto di Ghirri (Viaggiatori ai margini del paesaggio, La Nave di Teseo, 2024), è lo sguardo di questi fotografi a posarsi sempre dal margine, dando vita a una fotografia che sembra rinunciare programmaticamente a entrambi gli aspetti che secondo il Barthes della Camera chiara individuano il proprio della fotografia, lo studium e il punctum, la cosa che interessa della rappresentazione e quel che nella rappresentazione mi colpisce.

In queste foto non c’è né l’uno né l’altra, come non c’è propriamente narrazione e scelta del momento pregnante, quello capace di riassumere in sé un evento. Perché evento non c’è. Nella mostra di Guido Guidi in corso adesso al MAXXI, nella quale sono ricomprese anche alcune foto del Viaggio, ma che si estende a tutta l’attività del fotografo, c’è una sezione che si intitola “Di sguincio”, che è fatta di scatti non intenzionali, laterali, casuali.

Potremmo dire che tutte le foto del Viaggio in Italia sono fatte di sguincio, anche se casuali non sono, e potrebbero fare propria la formula di Guidi, secondo la quale la foto comincia dal bordo e non dal centro. Cominciando dal bordo, Viaggio in Italia ci ha fatto vedere e capire molte cose che dal centro non avremmo vedute.

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