Noi islandesi abbiamo una doppia reputazione: per un verso siamo considerati un popolo di tradizione colta e letteraria, e per l’altro una società primitiva di contadini e cacciatori che non hanno nessuna cognizione di economia e sono convinti che le banche siano fabbriche magiche capaci di sfornare denaro dal nulla.

Mi viene in mente l’espressione «buon selvaggio», e non credo di offendere nessuno dei miei connazionali, perché siamo sempre andati fieri della nostra diversità e abbiamo giocato su quest’immagine piuttosto che respingerla.

Secondo lo stereotipo, gli islandesi sono figli della natura che credono negli elfi e nei fantasmi, ma in realtà non sempre abbiamo preso sul serio il nostro patto con natura.

Provincialismo, ambiente e finanza

Solamente oggi si è diffusa tra gli islandesi la consapevolezza che l’ambiente non sia un nemico da maltrattare all’infinito e che, anzi, sia nostra responsabilità avere a cuore la nostra terra e tutelarla.

Abbiamo il lusso di poter uscire dal contesto urbano con poco sforzo e godere pienamente della natura. Questo per molti va a compensare gli svantaggi di vivere in un paese di piccole dimensioni: l’omogeneità, il complesso di inferiorità e il provincialismo che complica le nostre relazioni, sia tra di noi sia con il resto del mondo.

Il famigerato crollo delle banche era stata una conseguenza del nostro provincialismo; e insieme alle banche era crollata in parte anche l’immagine che avevamo di noi stessi.

E per quanto abbia bisogno di essere ricostruita, non dobbiamo cadere nella tentazione di sostenerci alle stampelle del nazionalismo, un atteggiamento ridicolo e fuori dal tempo sotto qualsiasi aspetto lo si guardi.

Quello di cui abbiamo bisogno, invece, è di umiltà e di una sincera introspezione. Ed è proprio qui che entra in gioco la letteratura. La letteratura è lo specchio che riflette ogni cosa, la bellezza come le brutture.

Per fortuna, nonostante tutto, siamo in grado di definirci un paese di letteratura. La letteratura da noi viene insegnata a qualsiasi livello di istruzione, abbiamo un buon numero di autori attivi e pieni di talento. Se non mi sbaglio, un islandese acquista otto libri all’anno, e questa, senza dubbio, è considerata una buona media.

La presenza in Islanda di numerosi scrittori attivi ha una spiegazione perfettamente normale: anche se siamo in pochi, siamo pur sempre una nazione, e dobbiamo produrre le nostre forme artistiche. È normale che una società materialmente benestante voglia scegliere di non vivere nella povertà intellettuale.

Dopo la sopravvivenza

Non siamo sempre stati benestanti: per un lungo periodo la nostra vita è stata incentrata sulla sopravvivenza. Sopravvivenza di fronte ai durissimi inverni, alle estati artiche, alle catastrofi naturali.

Cent’anni fa era la norma che ogni nucleo famigliare possedesse soltanto due libri, entrambi di natura religiosa, e ne leggesse ogni sera dei brani a voce alta.

Con il tempo i libri sono diventati una forma di intrattenimento che abbiamo dato per scontato. Ed è naturale, visto che l’unica rete televisiva nazionale sapeva offrire soltanto contenuti scadenti e mortalmente noiosi.

Le cose sono cambiate rapidamente negli ultimi anni, com’è cambiata anche la nostra società. E non in peggio, se lo chiedete a me: è cambiata e basta.

L’intrattenimento fornito dai libri non è più dato per scontato, è diventato un mondo a cui le persone devono essere introdotte. Devono essere incoraggiate a leggere, si deve ricordare loro il piacere e la soddisfazione che deriva dall’immergersi in una storia con i propri ritmi, aiutati soltanto dalla propria immaginazione.

Non voglio dare l’idea di essere una specie di santa, quando si tratta della lettura. Come nel caso di molti miei compatrioti, il numero di film americani che ho visto supera di gran lunga quello dei libri islandesi che ho letto.

A volte mi sento come se avessi frequentato anch’io un college americano, con tanto di football e di cheerleaders. Ho letto molte belle descrizioni di paesaggi, ma i film polizieschi che ho visto sono almeno cento volte tanti; ho lavorato in una fattoria, eppure mi pare di saperne molto di più sulla vita e sul lavoro dei detective che sulla vita e sul lavoro dei contadini.

E va bene così; anche i film e le serie tv sono fiction. Non sento la nostalgia dei tempi che furono. Anche quello che abbiamo avuto in cambio ha un suo valore. Abbiamo spezzato l’isolamento e adesso facciamo parte del mondo molto più di prima. È una buona cosa. Il mondo è un posto interessante.

Tutta la letteratura, e non solo quella islandese, si trova inevitabilmente in costante competizione con altre forme di intrattenimento, quelle che possono essere ingerite rapidamente e con facilità.

Dalla letteratura si pretende che intrattenga, eppure deve anche portare qualcosa di profondo, e possibilmente mostrarci qualcosa di nuovo. Se non una nuova verità, almeno un nuovo approccio alla realtà.


Il morso della letteratura

I libri devono essere uno svago, certo; e di solito i buoni libri lo sono. Hanno una qualità intrinseca che ci invita a leggerli, che ci fa desiderare di leggere di più, di saperne di più.

Ma l’intrattenimento non è l’unico ruolo della letteratura. Io credo nel potere e nei fini della narrazione come alcuni credono in Dio. Credo che la letteratura possa stimolare in noi pensieri nuovi, mostrarci prospettive diverse sulle cose, consolidare la nostra empatia e insegnarci a metterci nei panni degli altri. I libri consolano, incoraggiano, offrono uno sfogo, un’occasione di riscatto, purificano lo spirito.

La letteratura morde, e non sempre ci va piano. Ha il dovere di mantenere una relazione sana con ogni aspetto della verità, anche i più spiacevoli. Il ruolo principale della letteratura è commuoverci e turbarci, scuoterci dal letargo, elevare le nostre menti a un livello più alto, rafforzare il nostro senso estetico. Deve infondere in noi l’indignazione consapevole, l’impegno verso la giustizia, l’amore per la vita.

C’è chi ritiene che sia ingenuo credere che si possa scrivere qualcosa di nuovo, qualcosa che non sia ancora stato detto. Se questo fosse vero, noi autori potremmo fare le valigie e tornarcene a casa. Il mondo della letteratura non ha confini, il nostro ruolo è continuare a esplorarlo e farlo diventare ancora più grande.

Traduzione di Silvia Cosimini


I BOREALI è il festival dedicato alla cultura del Nord Europa, ideato e organizzato da Iperborea, in programma da venerdì 17 a domenica 19 marzo al Teatro Franco Parenti e al Cinemino di Milano. Info e programma su iboreali.it

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