Jovanotti: «Primo, un amico duro e fragile. Quelli come lui, nella musica, diventano leggenda»

«David, Primo Brown, è la leggenda dell’hip hop italiano, un monumento a questa cultura, un apripista, e per me un amico». È un ricordo dalle note dolci e amare quello che Lorenzo Jovanotti Cherubini consegna a Domani. Sono passati dieci anni da quel capodanno del 2016 che sconvolse l’intera scena del rap italiano. Il nuovo anno era arrivato portando con sé la notizia della morte di David Belardi. Primo, fondatore dei Cor Veleno, faceva parte della prima generazione di rapper romani quelli che, lontani dal mondo delle posse, iniziavano a disegnare la scena che avrebbe poi definito quello che è ora il genere più ascoltato. Una scena che muoveva i primi passi nella Roma di quel piazzale Flaminio da cui ha mosso i primi passi rapper come Piotta, Colle der Fomento, Amir, il Turco, Supremo e gli stessi Cor Veleno. Mosso da un’esigenza estrema di scrittura, con una tecnica pazzesca che lo rendeva in grado di rappare sull’extrabeat anche in italiano, David ha segnato i primi anni di questa storia, firmando una produzione pressoché sterminata. Il teorema di Pitagora spiegato con le barre: se l’hip hop entra a scuola Un «ponte tra le generazioni», come lo ha definito Coez, sempre aperto a nuove collaborazioni e contaminazioni. Come quella con Tormento e con lo stesso Jovanotti, di cui era fan da piccolo e con cui condivise un tour, quando «il rap non era mainstream», come ricorda lo stesso Lorenzo Cherubini. «La leggenda dell’hip hop», lo definisce più volte Jovanotti che ne ricorda anche il suo essere «duro e fragile» nello stesso tempo. Non a caso il suo nome continua a risuonare anche nelle barre più recenti, come in quella in Old School di Gemitaiz con Salmo. Lo spirito che suona è il titolo dell’album tributo dei Cor Veleno, ma è anche parte dell’eredità artistica che Primo ha lasciato attraversare generazioni di rapper. Dai «cinque ragazzini» di Trastevere alle testa delle classifiche di spotify. [Missing Caption][Missing Credit] Ha conosciuto David che era ancora un ragazzino, suo fan scatenato che bussava alla porta di casa di sua mamma per cercarla. Che ricordi ha di quel 12enne, e cosa ci ha rivisto quando lo ha incontrato, ormai rapper, con i Cor Veleno? Ricordo un pischello insistente e simpatico, mia madre era affezionata a lui, uno che avrei potuto essere io alla sua età, e in fondo ero ancora un ragazzino anche io, di una decina di anni più grande di David, cresciuti nella stessa Roma nei dintorni del Vaticano. Non ricordo un momento in cui ho smesso di incontrarlo in giro quando andavo a Roma per qualche ragione, quindi non mi ha sorpreso ritrovarlo rapper. Piuttosto mi ha sorpreso trovarmi di fronte a un rapper muscoloso e palestrato che sulla scena ostentava un atteggiamento da duro, che non mi ha mai convinto fino in fondo, e glielo dicevo: «Molla sta voce arrabbiata, non sei tu questo, è un’armatura, gettala via». Ma lui non demordeva e forse aveva ragione. Perché ha scelto i Cor Veleno per aprire il suo tour nel 2005 e come è stato condividere con loro, e il loro rap, i palchi? Perché mi piacevano, sia il loro progetto artistico che avere la loro compagnia. Si rideva molto, c’era molta confidenza, un clima molto bello e leggero tra di noi. Mi piaceva vedere la reazione dei pubblico quando salivano sul palco, erano alieni ma non così tanto, visto che in fondo li sentivo anche un po’ come miei fratellini minori. In quegli anni il rap non era una roba mainstream e loro non facevano niente per diventarlo, anzi godevano di essere underground su un palco pop come il mio. Visualizza questo post su Instagram Un post condiviso da lorenzojova (@lorenzojova) In E.x.t.r.a. Funk, uscito insieme a Buon sangue, c’è anche Cose pericolose nata in una jam con Primo e i Cor Veleno, ma mai finita. Si è mai immaginato una possibile chiusura? Non ho più ascoltato quella traccia, mi fa soffrire, soprattutto perché ricordo una bella giornata insieme quando l’abbiamo registrata e sono pentito di non averla sviluppata e di averla lasciata così come uno spunto, un appunto. Non mi piace ascoltare la voce di David, perché se ne è andato troppo presto, aveva talento ed era una persona buona. Quando si è ammalato gli domandai perché non ne parlava nelle sue rime e non ne faceva un racconto che forse lo avrebbe aiutato a elaborare quel viaggio tostissimo e lui mi disse che non voleva che i suoi nonni sapessero della malattia. Aveva una malattia grave e pensava ai suoi nonni, a non farli preoccupare. Non saprei cosa aggiungere per dire che persona era. Ha avuto modo di conoscere David in tutte le sue evoluzioni. Nel documentario Primo – Sempre Grezzo, di Guido Coscino (prodotto dai Cor Veleno e da Mauro Belardi, il papà di David), definisce il suo rap «un reportage poetico della realtà». Come descriverebbe il modo in cui è cambiata la sua musica? Ultimamente stava diventando più romantico nelle rime, più leggero, e io spingevo perché sviluppasse quella vena, perché si togliesse di dosso il duro e puro e volasse sul beat, ma ci scherzavamo su questa cosa. Gli dicevo: «Vi voglio vedere in classifica!» Il rap diventerà il nuovo pop, dicevo, e voi “corveleno”, dovete esserci su quel treno, dovete essere la locomotiva! Io spingevo perché allargassero il loro pubblico, loro si sentivano al sicuro nella loro nicchia, e accettai la cosa con un sorriso affettuoso e in fondo anche un po’ invidioso di tanta voglia di purezza, io che la purezza la considero un difetto. David faceva parte della prima generazione di rapper. La scena, ora, è decisamente cambiata, il rap è il genere più ascoltato, eppure anche i giovanissimi ricordano e ascoltano ancora Primo. Perché? Perché David era forte, era uno splendido essere umano duro e fragile, e la sua assenza prematura è un dispiacere grande per tutti, anche per chi non c’era e arrivando dopo si è accorto che qualcuno con coraggio aveva aperto una strada. È bello che questo gli venga riconosciuto, David è una figura tragica e romantica, e nella musica quelli come lui diventano leggenda. Visualizza questo post su Instagram Un post condiviso da Primo - Sempre Grezzo (@primo.sempregrezzo) Dal suo punto di vista, e per come ha conosciuto Primo, cosa ha dato alla scena rap e a quella musicale in generale e cosa manca di più di lui? A me manca un giovane amico, uno che mi voleva bene ed era ricambiato, mi mancano le cose che avremmo potuto vivere insieme. L’ultimo abbraccio gliel’ho dato pochi giorni prima che morisse, gli dissi: «Fraté, se ti rimetti un pochino in forze, anche solo un po’, ti prendo a lavorare con me senza stress, così stai tranquillo con i conti e hai tempo di guarire per bene e tornare sul palco». Lui era contento, mi fece un gran sorriso, il sorriso di chi voleva rassicurarmi sapendo che ci stavamo salutando per l’ultima volta. David, Primo Brown, è la leggenda dell’hip hop italiano, un monumento a questa cultura, un apripista, e per me un amico.