Il momento è solenne. Il presidente del Consiglio, Mario Draghi, e i ministri hanno giurato davanti al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, di esercitare le loro funzioni nell’interesse esclusivo della nazione. Io, pur partecipando al momento con la gravità e la serietà dovute, non riesco a distogliere lo sguardo dalla nuca del neoministro del Lavoro Andrea Orlando. Invidio la sua libertà di portare i capelli mezzi grigi, mezzi neri, un po’ bianchi ai lati. Come madre natura lo ha fatto insomma. Il ministro Orlando, come molti uomini della sua generazione, è brizzolato.

In quella fase di transizione in cui i capelli non hanno più quella tinta giovane data dalla melanina e virano, anche per questioni di dna, verso il bianco, creando un effetto sale e pepe che in un uomo viene spesso definito affascinante, charmant, stiloso. Pensiamo solo a George Clooney o a Barack Obama. Capelli d’argento, fascino d’oro. Non si dice così? E infatti un po’ tutti i ministri, chi più chi meno, primo ministro compreso, sfoggiano il loro capello naturale.

Il presidente della Repubblica poi li batte tutti, ha una criniera candida come le nuvole del cielo. Bellissima. E molto regale. Spesso mi ricorda il buon Gandalf de Il Signore degli anelli. Insomma il giuramento, almeno la parte maschile di esso, è un trionfo di sale, di pepe, di nuvole e panna montata. Ma una donna mi chiedo sarebbe definita bella se un po’ brizzolata? Non sarebbe definita piuttosto sciatta, poco curata, inguardabile, brutta?

Un tabù da rompere

Un po’ questo pensiero è stato esemplificato da una nota pubblicità che gira attualmente nei circuiti dei canali generalisti. Nella pubblicità una donna, con un bellissimo chignon che ricorda molto la Audrey Hepburn di Colazione da Tiffany, tutta bardata da un abito da sera mozzafiato, si mette improvvisamente a urlare. Un urlo disperato. La stanno forse aggredendo? Ma no, ha solo visto la sua ricrescita. Ma il problema viene subito risolto guarda caso dal prodotto in vendita. Insomma, quello che il ministro Andrea Orlando sfoggia con tranquillità, il sale e pepe, viene considerato “tabù”, molto peggio del peccato mortale, in una donna. Ma non dovrebbe essere una scelta libera tingersi o non tingersi i capelli?

Ma si sa, per le donne i condizionamenti della società sul corpo sono molto più pressanti e spesso più violenti. Non è un caso che spesso noi donne facciamo cose che alla fine non ci va nemmeno tanto di fare solo perché la società lo esige, spendendo nel farlo anche un sacco di soldi. Badate bene questa non è una critica per chi si tinge i capelli, ma solo la constatazione che se non lo vuoi più fare, sei stanca della tinta, sarai quantomeno additata come quella strana, se non in certi ambienti anche apertamente ostracizzata.

Insomma per le donne anche una cosa semplice come non tingersi più i capelli diventa un tabù da rompere, una lotta da fare. Perché la società è ancora molto cattiva con il corpo delle donne.

Effetto pandemia

La pandemia però, con il suo potere distruttivo e trasformativo, sta cambiando anche la sorte dei capelli.

Durante il lockdown, ve lo dico da insider perché è successo a me, molte donne non sono potute andare dal parrucchiere. Alcune si sono ingegnate con henné o tinte prese al volo dal profumiere sotto casa; altre invece si sono lasciate crescere i capelli, e all’emergere di tutto quel bianco hanno avuto un moto di meraviglia e non di spavento come temevano. Un grande stupore le ha invase e un senso di sollievo.

Dopo anni di tinte (perché il capello bianco è legato più alla genetica che all’invecchiamento e ti puoi ritrovare a vent’anni con la nuca candida come il nostro presidente Mattarella) si sono riviste al naturale e si sono piaciute. Ed è allora che alcune donne, chi subito e chi mesi dopo quel ritrovarsi davanti allo specchio, hanno deciso di fare la transizione e smetterla con le tinte. Almeno questo è successo a me, da poco devo dire, ma è successo.

Perché un po’ la pandemia porta, visto anche l’eccesso di tecnologia a cui siamo sottoposti quotidianamente tra Zoom, Meet, Streamyard, dad e webinar vari, a ritrovare qualcosa di ferocemente corporale e naturale in noi. A ritrovare la nostra presenza. Ed ecco che molte donne, me compresa, si sono chieste, da dove comincio a fare questa transizione al mio vero colore? Apparentemente, l’ho scoperto a mie spese, non c’erano modelli di riferimento.

Forse in Italia, tra le poche, Giovanna Botteri che dal Tg3 aveva sfoggiato senza timore il suo lungo misto grigio biondo da urlo. Ogni volta che la guardavo applaudivo a scena aperta. Ma poi poca roba in tv o sulla carta stampata. Il mainstream su grigi, sale e pepe, bianchi naturali, se rivolto a donne è proprio sprovvisto di parole e immagini. Per fortuna che c’è internet. E lì l’apoteosi.

Orgoglio grigio

Ho scoperto subito una parola #grombre che è di fatto una comunità, un sito, un hashtag, una pagina Facebook, ma più di tutto è una filosofia di vita. Donne di tutto il mondo si sono messe insieme per A radical celebration of the natural phenomenon of grey hair, per celebrare sé stesse e i loro capelli in trasformazione.

Ho perso svariate ore, lo confesso, a leggere le storie di chi ha cominciato a tingersi alle superiori perché a diciott’anni erano completamente grigie e ora a trenta erano stufe di quell’obbligo patriarcale, chi ha avuto un cancro e una volta guarita non ne voleva sapere più della chimica, chi invece aveva un terrore sacro di invecchiare e poi ha scoperto che grigia era molto più bella, poi c’era chi dopo una gravidanza semplicemente non voleva più tornare indietro ed è andata avanti e chi ha scelto di essere grigia come scelta femminista o semplicemente per risparmiare.

Le motivazioni, basta andare sulla seguitissima pagina Instagram del movimento per capirlo, sono tra le più disparate, ma l’orgoglio in tutte è grandissimo. Lo chiamano tutte il viaggio, the journey, e foto dopo foto vedono che quella che prima chiamavano ricrescita è semplicemente il loro corpo. E in tutte loro, mano a mano che i mesi passano e i grigi/bianchi aumentano, cresce una soddisfazione che brilla come un fuoco nelle loro pupille. E come i veterani di guerra quasi tutte hanno l’abitudine di segnalare quanto tempo è passato dall’ultima tinta, è un mese che non mi faccio più il colore, due mesi, un anno, tre anni, che libertà, che sollievo, che felicità.

In grombre ho notato la transculturalità delle presenze. Post dal Messico come dal Ghana, dagli Stati Uniti come dal Giappone. Afrodiscendenti e latinas. Europee del nord e del sud. E poi capelli lisci, ricci, afro. C’è veramente di tutto. Il lessico mi ricordava molto quello politico delle afroamericane nel momento della scoperta del proprio riccio naturale. Soprattutto in quell’accenno continuo alla liberazione, che non era solo la liberazione da una tinta chimica o dall’henné, ma una nuova liberazione della donna. Inoltre, e questo non me lo aspettavo, la intergenerazionalità.

Molte le ragazze incanutite nella loro prima giovinezza e per loro essere grey è diventata anche una moda.

Io personalmente ero alla ricerca di donne afro con i capelli simili ai miei. Perché poi anche il bianco/grigio si manifesta diversamente in ogni donna, anche se tendenzialmente in un capello liscio si notano subito le ciocche, mentre per un capello afro arriva subito la coroncina. E in questa ricerca mi sono imbattuta in naturally greysful, ovvero Nina, blogger, influencer (seguitissima la sua pagina Instagram), afrodiscendente.

Una donna che accoglie tutte le sue follower chiamandole “beautiful butterfly” perché le farfalle in fondo sono frutto di una trasformazione. E oltre a dare consigli per i capelli: impacchi vari, shampoo antigiallo (ah sì i capelli grigi se non curati possono diventare giallo fieno, quindi avere un buon shampoo è fondamentale), le migliori fasce o bandane per superare quei mesi duri in cui si è un po’ tutte Crudelia De Mon della Carica dei 101, il suo blog è soprattutto autocoscienza femminile e femminista. E lì tra shampoo e impacchi, spiega come una malattia cronica l’ha portata invece che a odiarsi, ad amarsi più che mai. E questo amore è rappresentato dalla sua corona grigia. In effetti Nina è una regina.

In Italia invece è molto utile seguire su Instagram Ele Barante fondatrice del gruppo Facebook Silver sisters Italia, che sta cercando di portare questo movimento grey pride anche nella nostra penisola dove i condizionamenti sul corpo delle donne sono assai più forti. In fondo il patriarcato si sconfigge unendo tanti punti, e portare in giro la propria chioma grigia può essere un manifesto. Parafrasando gli anni Settanta si può dire: io sono mia e i capelli me li gestisco io.

E guardandosi in giro anche varie celebrities sono dentro questa nuova rivendicazione grey. Pensiamo all’attivista afroamericana Angela Davis o alla scrittrice Toni Morrison che in vita ha sempre sfoggiato con orgoglio i suoi bellissimi dread grigio perla. E la lista delle star è davvero lunga: Jane Fonda, Carolina di Monaco, la nostra Drusilla Foer, Lady Gaga.

Insomma grey is beautiful. Certo non è un obbligo, chi vuole continuare a tingersi è libero/a di farlo, si è anche liberi di cambiare idea, tingerseli e poi tornare grey o viceversa. Nessun obbligo. Diventare grey non significa imporre il proprio grigio al prossimo. Ma solo fare quello che ci pare con i nostri capelli. E in un mondo pieno di costrizioni come il nostro già questo dona un po’ di felicità.

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