La Milano del progresso, della velocità, dei soldi, la Milano dei grattacieli, molti grattacieli fa (tra gli anni Settanta e Ottanta), è stata la capitale del crimine. Lo racconta benissimo La Mala. Banditi a Milano, docuserie Sky di Chiara Battistini e Paolo Belardinelli, scritta con Salvatore Garzillo, prodotta da Sky original e Mia film in collaborazione con Seriously, dal 17 aprile disponibile su Sky documentaries e Now. È un filone, quello del racconto documentaristico, che - attraverso le testimonianze dei protagonisti - ricostruisce storie realmente accadute. Un filone, ormai sempre più prolifico, che apre la strada a interessanti opportunità narrative. In genere i modelli arrivano dagli Stati Uniti ed è a quelli che quasi sempre l’Italia tenta di ispirarsi. Tiger King scala le classifiche Netflix? Per produttori, reti e piattaforme l’imperativo diventa: ricerca di personaggi eccentrici come il proprietario dell’Exotic animal park in Oklahoma. Questa docu serie ha il pregio di non nascere viziata da scimmiottamenti.

Ritmo serrato, musiche tensive, le immagini sono il risultato di un armonioso mix di interviste, repertorio e ricostruzioni in cui, talvolta, i protagonisti sono chiamati a rivivere le situazioni che stanno rievocando. Questa discrepanza tra visi di oggi e situazioni di ieri arricchisce il racconto di una dimensione quasi nostalgica.

La fine della storia

Efficace l’idea di partire dalla fine della storia, il 1984, l’anno dell’arresto di Angelo Epaminonda, le cui rivelazioni consentono ai magistrati milanesi di smantellare, a colpi di mandati di cattura, la rete criminale ormai capillarmente estesa in tutta la città.

Il nastro allora si riavvolge velocissimo, fermandosi pochi mesi prima che le pistole iniziassero a sparare. In un ritorno alle origini che aiuta a comprendere come tutto è cominciato. “Il mondo di mezzo”, di cui Massimo Carminati parla nella famosa intercettazione, cioè un contesto nel quale alto e basso si incontrano (politico e criminale, aristocratico e operaio, prelato e rapinatore) è un principio antropologico universalmente valido e che trova assoluta conferma nella Milano di quegli anni.

Ex proprietario di decine di discoteche e night club, tra cui il Covo di nord est (Santa Margherita Ligure), 87 anni, quattro mogli, undici figli, partiamo da lui: Lello Liguori, uno dei protagonisti della docu serie. In alcuni suoi locali prende vita quello che Carminati definisce “mondo di mezzo”.

Proprio al Covo di nord est, Angelo Epaminonda si presenta con un cucciolo di leone al guinzaglio, per regalarlo a Craxi, allora segretario del Partito socialista. È lo stesso Epaminonda a raccontarlo ai magistrati.

Vero, falso… poco importa. La storia è meravigliosa: quel leoncino, Craxi lo regala alla figlia Stefania. Dopo una settimana di divani e tappezzerie ridotti a brandelli, lei a quanto pare decide di disfarsene.

Allo scopo di accertare la fondatezza di queste dichiarazioni, la magistratura milanese dispone allora una verifica della popolazione leonina italiana. In pochi giorni emerge che, allo zoo safari di Fasano, c’è una leonessa donata proprio da Stefania Craxi.

Western milanese

Francis Turatello durante il processo per i sequestri di persona (Foto Wikipedia)

Altra figura leggendaria e imprescindibile della mala milanese è Francis Turatello, di cui filmati e testimonianze ricostruiscono la parabola criminale terminata in una pozza di sangue nel cortile del carcere nuorese di Badu ‘e Carros. È, ancora una volta, un episodio, a contestualizzare tutto.

1976, Milano, Brera Bridge Club, locale che tra i gestori annovera anche Lello Liguori. Turatello irrompe con la sua banda durante una serata in cui i clienti come sempre sono impegnati ai tavoli da gioco. Ordina ai camerieri di fare il giro della stanza con enormi vassoi e ai clienti di riempirli di soldi e di gioielli.

Alla consegna, in guanti bianchi, del bottino, Turatello chiede a Epaminonda di perquisire dieci persone scelte a caso, per verificare se ci siano stati episodi di insubordinazione, e di punire eventuali trasgressori con il taglio di un dito.

Usciti dal locale, Epaminonda confida a Turatello di aver identificato un anello con una grossa pietra nella giacca di una signora il cui sguardo terrorizzato lo aveva, però, fatto desistere dall’idea di infliggerle la punizione che le sarebbe spettata.

Turatello gli risponde, che proprio a lui aveva affidato quel compito, sicuro che, scoprendo dei trasgressori, li avrebbe comunque graziati. Malavita d’altri tempi, con un suo codice d’onore, poi venuto meno a partire da quando il narcotraffico è diventato una delle più cospicue fonti di guadagno delle organizzazioni criminali.

È questo il vero western all’italiana. Al posto del deserto, le strade di Milano. Al posto dei saloon, i locali di Lello Liguori. Una delle facce più ricorrenti, sui tanti manifesti con la scritta wanted è quella di Renato Vallanzasca. La puntualità delle ricostruzioni ha il pregio anche stavolta di risultare sorprendente. E sono sempre gli aneddoti, i dettagli, a dare il senso del quadro complessivo.

Onnipotenza

Renato Vallanzasca (a sinistra) insieme a Francis Turatello, durante il matrimonio del primo celebrato nel carcere di Rebibbia (Foto Wikipedia)

Della presunta storia tra Emanuela Trapani, figlia di un noto imprenditore milanese, e Vallanzasca, suo sequestratore, non è il fatto in sé a colpire, ma l’episodio - vero, falso… poco importa - della fuga di lei, favorita dal fatto che Renato si è appena addormentato tra le sue braccia.

Svegliatosi da solo Vallanzasca sale in macchina, va a cercarla, la ritrova e la convince a tornare nell’appartamento ormai diventato loro alcova. La sensazione di onnipotenza, in Vallanzasca e in altri come lui, non si manifesta solo nella sfida alle istituzioni ma anche nel tentativo, riuscito, di dominazione e plagio delle proprie vittime.

Altro personaggio strepitoso è Antonella D’Agostino, ex moglie di Vallanzasca. I due si conoscono dalle elementari ed è quell’epoca che risale uno degli aneddoti più belli di tutta la docu serie.

Renato, suo fratello Roberto e la sua amica Antonella decidono di andare in un circo di Lambrate ma, non sopportando la vista degli animali reclusi nelle gabbie e maltrattati dai custodi, «‘sti peluche, tutti mezzi stanchi», li definisce lei nel corso dell’intervista, se ne vanno prima dello spettacolo.

La notte il gruppo di ragazzini torna al circo, armato di tenaglie e di martelli. Uno dopo l’altro, i lucchetti delle gabbie saltano. «Penso che lo fanno tanti bambini, non credo che lo abbiamo fatto solo noi», minimizza la D’Agostino nell’ultima puntata della serie. Gli animali - increduli - cominciano a uscire, incamminandosi alla scoperta di Milano.

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