Il documentario del 2009 Europa: ascensore per i fascisti di Barbara Conforti e Stéphane Lepetit ha avuto una discreta circolazione online ed è ancora rintracciabile in rete. Immortalava i consigli del leghista Mario Borghezio ai neofascisti francesi, esperienza che poi avrebbe visto nascere le costole più agguerrite di Generazione identitaria, arrivate a presidiare militarmente i confini sull’arco alpino occidentale e nel Mediterraneo, destando preoccupazioni trasversali nell’opinione pubblica.

«Bisogna insistere molto sul lato regionalista del vostro movimento», suggeriva Borghezio alla luce dei suoi noti trascorsi, «è un buon modo per non essere immediatamente classificati come fascisti nostalgici, ma come un nuovo movimento regionale, cattolico eccetera». «Ma sotto» aggiungeva, «siamo sempre gli stessi». 

Subito prima non a caso il politico aveva commentato pubblicamente le critiche all’uso di simboli nazisti e fascisti come la croce celtica dicendo, sprezzante, “me ne frego” (“je m’en fous”), con tanto di saluto romano. Difficile derubricare queste uscite a “goliardie”, considerate le successive convergenze di cui si dirà.

Con la svolta nazionalista – così definita da Roberto Maroni – le parole d’ordine della nuova Lega dalla seconda metà degli anni Dieci di questo secolo sono state ristrutturate cannibalizzando i partiti neofascisti – Forza Nuova e CasaPound – e attingendo “a piene mani dai loro programmi”; lo slogan “Prima gli italiani!”, ad esempio, viene scippato a CasaPound, come avrebbe più volte lamentato lo stesso partito/movimento, che peraltro aveva registrato il marchio, e che grazie all’alleanza con la Lega ottiene stabile accesso – come ha raccontato lo storico Elia Rosati – al “circo mediatico”.

Il rapporto con il fascismo storico si colloca in questa congiuntura certamente epocale, ma tra la Lega nazionalista e le due formazioni neofasciste, unite innanzitutto da un’accesa xenofobia, i legami non sono solo a livello discorsivo:
si strutturano collaborazioni e alleanze su tutto il territorio a partire da luoghi come le palestre, come ha documentato il giornalista Paolo Berizzi in numerosi suoi reportage, al punto che Claudio Gatti a questa “infiltrazione” nel 2019 dedica a sua volta una lunga inchiesta intitolata I demoni di Salvini.

Lo sintetizza il capitolo “L’alleanza che non si dice” all’interno del Libro nero della Lega di Giovanni Tizian (giornalista di Domani) e Stefano Vergine, uscito in contemporanea, ove si sottolinea che la componente “nera”, inossidabile da tempo, non abbia fatto altro che venire fuori più nitidamente: «Sebbene una componente nera fosse presente all’interno del partito quando a guidarlo c’era Bossi, un amalgama così perfetto tra i pensieri padani e quelli della destra radicale non si era mai creata.

Mario Borghezio è forse il rappresentante simbolo di questa compenetrazione. Lui è ancora molto legato a quel mondo nero. E le sue conoscenze devono essere state utili al nuovo capo leghista. Con Salvini al comando, il partito si è infatti trasformato in una forza nazionalista molto più vicina nelle sue battaglie a Casa Pound e Forza Nuova. Borghezio, storico volto leghista, per dieci anni [europarlamentare] a Bruxelles con Matteo [Salvini], è tornato in auge. E le simpatie sono sempre le stesse».

Tutti fascisti

Nella città metropolitana di Genova, a Cogoleto, tre consiglieri comunali si esibiscono nel saluto romano il Giorno della memoria 2021 (a detta loro si tratta di un equivoco, naturalmente), pochi giorni dopo che l’assessora della Regione Veneto con deleghe all’Istruzione, alla Formazione, al Lavoro e alle Pari opportunità (sic) Elena Donazzan canta Faccetta nera alla radio, per poi giocare anche lei la carta del “fascismo degli antifascisti” («Non era mia intenzione ferire qualcuno ma ho capito che quando si parla di fascismo non siamo in democrazia»): non sono che punte di un iceberg che ha raggelato parti consistenti di quella destra incarnata da Fratelli d’Italia e dalla Lega che in patria ci si ostina a chiamare “centro-destra” mentre all’estero giornali come Le Monde e Guardian non esitano a definirla extrême droite e far-right.

Incalzata sui temi del suo rapporto con il fascismo dal giornalista di El País Daniel Verdú, che insiste sui legami tra fascismo e postfascismo, Giorgia Meloni sbotta dicendo che in ogni caso fino al 1945 l’Italia era «tutta fascista» (sic), gettando alle ortiche tre quarti di secolo di dibattito storiografico. Questa congiuntura, ovviamente, ha i suoi riverberi virtuali e si nutre della rete, cavalcando le immancabili polemiche e spingendo regolarmente il piano del discorso verso un’integrale riabilitazione del ventennio.

Stereotipi

Questa è una storia che, naturalmente, viene da lontano, e nella quale gli storici spesso non figurano neanche come comparse. La visione edulcorata, mistificata e mitizzata (in base al target di riferimento) del fascismo storico proposta dalle nuove destre nell’agone mediatico, a seconda delle convenienze del momento, ha tracciato i contorni puramente politici di una stereotipizzazione banalizzante di grande fascino, spianando il terreno al dilagare di un “fascismo immaginario” che ha avuto un insperato successo nel dibattito pubblico, e contagiando ampiamente la “memoria grigia” anti-antifascista del paese.

È una memoria «per alcuni aspetti contigua», come ha scritto Filippo Focardi, «alla contronarrazione rancorosa e identitaria di matrice neofascista» almeno a partire dagli anni Ottanta, una memoria che le penne dei giornalisti-storici conoscono piuttosto bene; da Giorgio Pisanò a Indro Montanelli, da Giampaolo Pansa a Bruno Vespa la lista è lunga. È una memoria che, in particolar modo sul versante anti-antifascista, ha avuto una facile sponda nell’offensiva antiresistenziale che a tratti ha potuto contare sulla penna di un altro celebre giornalista-storico, Paolo Mieli.

Il web, però, è una novità per la diffusione di bufale ed esagerazioni di cui sopra, che fa buon gioco proprio all’estrema destra postfascista. 

Il derby fascisti-comunisti

Come ha opportunamente notato Claudio Vercelli, con la rete «il circuito delle menzogne segue un percorso collaudato: si genera un falso, lo si lascia diffondere in maniera virale attraverso le condivisioni acritiche (qualcosa del tipo: “basta che se ne parli”), se ne consolida la presunta accettabilità (tale per il fatto stesso che sia trasmesso da un numero crescente di persone) per poi fare sì che venga catturato e assunto, anche solo in parte, da una qualche autorità politica».

Tutto questo in un clima che certifica come la memoria pubblica del fascismo goda di ottima salute. «Siamo nel 2019», ha sostenuto in occasione del 25 aprile Matteo Salvini, scatenando un’altra furiosa polemica in rete, «e mi interessa poco il derby fascisti-comunisti: mi interessa il futuro del nostro paese».

Quella che si è delineata negli ultimi anni è naturalmente una linea di tendenza non solo italiana, ma europea, che ha visto erodersi la narrative antifascista soprattutto nei paesi dell’Europa centro-orientale dove spopolano i nazionalpopulismi, le democrature (democrazie/dittature) o quantomeno le “democrazie recitative” con radici ben salde nel passato.

Fascismo e populismo

In qualunque modo le si voglia definire, rimane il fatto che nell’abbraccio fascismo-populismo del nuovo millennio la peculiarità italiana pare il ruolo di primissimo piano, nel corposo tentativo di risemantizzazione del passato che sgretola il paradigma democratico, svolto appunto dall’opposta vulgata neofascista, opera di una destra incarnata nella svolta Msi/An che a metà degli anni Novanta – alle soglie dell’avvento massiccio della rete – iniziò a capitalizzare i frutti delle sue istanze.

Questi sarebbero stati infine colti, oltre che dal partito loro erede per filiazione (Fratelli d’Italia), dalla Lega sovranista/nazionalista di Salvini. Il terreno era fertile, perché le pagine sui social neo o filofasciste contavano all’epoca diverse decine di migliaia di iscritti, come tra dicembre del 2016 (con la prima pubblicazione parziale) e maggio del 2017 rivela l’inchiesta Galassia Nera di “Patria Indipendente”, il periodico dell’Anpi. Le pagine che esaltano esplicitamente il ventennio, in maniera per lo più confusa e aforistica, erano allora oltre 600.


Questo articolo è un estratto del capitolo “Come ce lo raccontiamo: il fascismo in rete”, scritto da Carlo Greppi per l’annale della Fondazione Feltrinelli intitolato Fascismo e Storia d’Italia. A un secolo dalla Marcia su Roma. Temi, narrazioni, fonti, a cura di Giovanni De Luna.

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