Il romanzo di Katharina Volckmer è un racconto che molti non vorrebbero ascoltare ma che riflette sull’identità e sul passato che ci definiscono: vendicare le vittime della persecuzione diventando loro
- Vendicare le vittime della persecuzione diventando loro. Dice la protagonista di questa storia: «Quando ero più giovane pensavo sempre che il solo modo per superare davvero l’Olocausto sarebbe stato amare un ebreo».
- E poi, crescendo, alzare la posta: il desiderio di adeguare i propri organi sessuali all’identità di genere percepita, liberandosi allo stesso tempo del disagio per un’altra appartenenza non scelta: quella nazionale.
- Nella richiesta di intervenire sul singolo corpo concreto prende forma il desiderio di fare a pezzi l’intero corpo sociale, l’anatomia patologica e deforme della società.
Sognare di essere Hitler, e poi di farci sesso. Sognare di non essere più tedesca, donna, figlia sottomessa, prendere la propria origine, nazionale, familiare, e immaginare finalmente di disfarsene, pezzo dopo pezzo. L’identità come un cantiere, una faccenda tutta materiale. Cibo, cadaveri, organi sessuali, da estirpare/accogliere, rievocare, mangiare. Pane secco della propria terra, un campo di concentramento Lego, robot sessuali. Sognare e poi passare all’azione, pagare, pagare molti soldi –



