Vent’anni fa, alla conferenza degli allenatori di Rio de Janeiro, Carlos Alberto Parreira sconvolse il mondo del calcio dicendo che il modulo del futuro sarebbe stato il 4-6-0. Da quell’idea Jonathan Wilson tracciò sul Guardian la fenomenologia del nuovo bomber, anche quella volta eravamo alla vigilia di un Europeo. Ma voi, oggi, ve lo immaginate un mondo senza centravanti? Adesso sappiamo che Parreira non aveva proprio torto e dopo non ha avuto del tutto ragione. Il calcio tende all’autoconservazione, e allora il centravanti è vivo e lotta negli spazi attorno all’area di rigore.

Ne vedremo di belli e di grossi anche all’Europeo, ma non più fulcri lassù, palla lunga che ci pensa lui; sono centravanti centuri, prodigio della metamorfosi evolutiva della tattica. La vecchia specie si è estinta, ma in quei corpi imponenti, scolpiti come divinità greche, si è insinuata una nuova forma mentis, un modo di applicarsi, di buttarsi negli spazi, di scendere a prendersi il pallone versione 5.0. L’Italia che fu terra di centravantoni duri e puri oggi si presenta in Germania con il prototipo del più moderno dei moderni, Gianluca Scamacca, 25 anni, goleador e toreador quando c’è da fare a sportellate, ma anche giocatore di sacrificio e con i piedi (come dicono) educati.

Erling Haaland - FOTO EPA

L’unicità di Haaland

Uno studio portato avanti anche dal Centro Studi di Isokinetic ha dimostrato che gli attaccanti più bravi sono più bravi perché pensano anche meglio e di più. Haaland, per esempio, che non sarà agli Europei con la sua Norvegia, è in grado di valutare moltissimi stimoli e di prendere la decisione giusta in una frazione di secondo. Tant’è che adesso questi stimoli li studiano con le neuroscienze. Stefano Della Villa, presidente del centro di eccellenza Fifa, spiega che «un calciatore normale magari fa dieci, quindici scansioni. Uno come Haaland ne fa molte di più e più volte degli altri. Sa che sta arrivando un giocatore da dietro, difende la gamba, non usa solo fisico ma anche il cervello. Tutto è legato ai sensi. Una volta dicevamo che tutta quella roba gliel’ha data madre natura, adesso la studiamo».

Più mobili, più reattivi, più intuitivi: eccoli i centravanti moderni. Hanno provato a definirli con vecchie formule, “nove e mezzo” per esempio, per esaltarne il carattere ibrido. E hanno provato a mettere nuove etichette. Alfonso Fasano su Rivista Undici ha parlato di centravanti associativo. Quello che si affaccia a Euro2024 è però un attaccante che ha solo imparato a fare di più. Uno di questi è Harry Kane, modello per eccellenza. È opportunista ma generoso, sa giocare di fino ma anche spaccare la porta con un bolide: Uragano sa leggere i momenti e questo condiziona il gioco offensivo della squadra.

Harry Kane - FOTO EPA

Moderno, sì: ma che significa?

Ciclicamente, un solo aggettivo torna a definirli: moderno. Attaccante moderno, bomber moderno, centravanti moderno. Prototipo del calciatore moderno. Ma cosa sia questa modernità, in fondo, è dura da spiegare. Più interessante è lo sguardo sull'evoluzione, un racconto in diacronia del centravanti d’area di rigore. Fin dagli inizi del calcio ci sono state visioni diverse su come dovrebbe giocare. L’Austria degli anni ’20 sfruttava l’intelligenza e i muscoli di Matthias Sindelar. Fu lui una delle prime incarnazioni di quello che sarebbe diventato il falso nove. Come ha scritto ancora Wilson sul Guardian qualche anno fa, determinare chi sia stato il primo centravanti a essere considerato la prima linea di difesa è quasi impossibile «ma il ruolo divenne essenziale una volta sviluppato il pressing negli anni '60». Johan Cruyff all'Ajax, Roger Hunt al Liverpool. Negli anni 80 era la norma. Ian Rush, ad esempio, ne era un maestro. Sacchi, del suo Milan che ha vinto ogni cosa, diceva che «tutti i nostri giocatori hanno sempre avuto quattro punti di riferimento: la palla, lo spazio, l'avversario e i compagni». Non esistevano, insomma, posizioni fisse: tutto era relativo. E quando le ali sono diventate l’alfa e l’omega dei moduli offensivi, il centravanti sembrava destinato alle soffitte.

Olivier Giroud - FOTO EPA

Uno Scamacca o un Vieri?

Oggi quel punto di riferimento in avanti è tornato utile, ha solo cambiato compiti in certi momenti del match. Vieri, uno che parla like a bomber per eccellenza, ha detto alla Gazzetta che lui e Scamacca di cose in comune proprio non ne hanno. «Niente. Totalmente diversi per caratteristiche». Ma ha spiegato anche che Gianluca «è completo: bravo tecnicamente, facilità di calcio, grande tiro con tutti e due i piedi, forte di testa anche se può migliorare. Come nel gioco schiena alla porta: può lavorare di più con le mani e le braccia per appoggiarsi ai difensori e farsi spazio, soprattutto sulle palle alte».

Ce ne sono altri come lui, chi più chi meno portato per quella tipologia di gioco. Uno è Giroud (Francia), ma anche Hojlund (Danimarca), Zirkzee (Olanda). Giocano per sé e per gli altri. L’Italia di Spalletti avrà Scamacca. Arrivato in Nazionale grazie alle scudisciate di Gasperini all’Atalanta («Lui è riuscito a toccare le corde giuste per farmi fare clic. Gli devo molto» ha detto l’attaccante), alle mancate convocazioni (Spalletti non se l’era portato nella tournée negli Usa, «me lo meritavo»), agli infortuni. Chi lo snobbava ora aspetta da lui l’apoteosi. Ha una qualità importante per un attaccante, per come è il calcio oggi, dice Vieri, «è bravo a vedere i compagni, a smarcarli. Anche con i colpi di tacco: fanno parte delle sue giocate».

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