Nell’ambito del festival Pordenone Legge, oggi lo scrittore Valerio Massimo Manfredi riceve il premio premio della Regione Friuli Venezia Giulia–pordenonelegge “Il racconto dei luoghi e del tempo”, allo scopo di valorizzare con il racconto di un importante scrittore un luogo della Regione e la sua storia. Per l’occasione Manfredi ha scritto un testo che ha adattato, in una versione condensata, per Domani.

Defensores urbis

Mi chiamo Elia Flavia e avevo quindici anni quando giunse ad Aquileia la notizia che i due imperatori, i due fratelli, i due difensori dell’impero giungevano alle porte della nostra splendida città, Nido delle aquile legionarie.  Avevo chiesto a mio padre che mi prendesse con sé per assistere al passaggio dell’esercito.

Vidi prima Marco Aurelio, il grande soldato, il grande filosofo in sella a un possente destriero pannonico.  Al suo fianco cavalcava Lucio Vero.

Dietro gli imperatori sfilavano i legionari applauditi dalla gente ma c’era qualcosa nei loro sguardi e nel colorito terreo dei volti che non riuscivo a capire. D’un tratto ne vidi cinque cadere, uno dopo l’altro e le lacrime mi scivolarono lungo le guance: I nostri difensori morivano.

“Che cosa li fa cadere? Domandai a mio padre.

“Stai indietro, figlia mia: è la peste! “

“La peste? Che cos’è?”

“ E’ una malattia.- rispose mio padre-  Alcune ti costringono al letto a bere decotti e a mangiare zuppe bollenti, altre ti uccidono, a volte in un modo terribile: la pelle si deforma, si gonfia in ulcere purulente e il malcapitato muore a volte in poche ore, altre volte in alcuni giorni.

“Vuoi dire che i nostri imperatori, i nostri difensori dai barbari, stanno per morire?”

“Non è detto. E mi auguro il contrario. 

“ Sono stato al servizio di Marco Aurelio- disse mio padre- per anni e anni.  A volte io stesso l’ho curato, e lui si è sempre fidato di me. Ora però  contro questa epidemia ci vuole un grande uomo.

“Lui è un grande uomo.” Replicai.


“Sì, bambina mia. Ma non può guarire sé stesso. Ci vuole un dottore, un grande medico che possa vincere questa tremenda malattia. Ho saputo che sono morti tanti dei nostri valorosi   legionari e che non c’era più modo di dare loro sepoltura. Li gettavano in fosse comuni. Che strazio. Sia Marco Aurelio che Lucio Vero hanno fatto venire da Pergamo il più grande medico che abbia mai camminato su questa terra. Dicono che il dio della medicina Esculapio in persona gli sia apparso in sogno e gli abbia dettato un medicina che potrebbe guarire Marco Aurelio o almeno far migliorare la sua salute.

Spalancai gli occhi: “Ma chi è quest’uomo meraviglioso?”

“Si chiama Claudio Galeno e credo riuscirà nella sua impresa. –rispose mio padre. Prega anche tu gli dei perché Galeno salvi il nostro Lucio Vero perché rendano salda la sua mano e fervida la sua mente.

A mano a mano che le colonne dei legionari passavano attraverso la città  si vedevano  le insegne: le aquile prima di tutte che portavano sotto gli artigli  i fulmini. A fianco e dietro passavano i vessilli  che simboleggiavano la Legioni. Altri vessilli simboleggiavano le coorti e i manipoli. Strinsi forte la mano di mio padre, mano ruvida di un veterano della Tredicesima Legione Gemina. Si chiamava Elio Rufo  e nel corso degli anni  fu sempre  al fianco di Marco Aurelio e lo sostenne in ogni impresa . Sfilò anche  la leggendaria Tredicesima che portava sul vessillo un leone a fauci aperte con un motto:

RURSUM LEO RUGIT: IL leone(della XIII) ruggisce ancora .

Elia Flavia si volse al padre:  “Questa era la tua legione padre ?”

“Certamente: sotto quelle aquile e quei vessilli ho combattuto infinite volte  in tutti gli angoli dell’Impero, ma ora dobbiamo  batterci contro un  nemico subdolo e invisibile. 

Il fratello di Marco Aurelio, Lucio Vero, era stato nominato comandante supremo dell’armata per sconfiggere l’impero dei Parti che più volte aveva sconfitto le armi romane.  

  “I due imperatori- continuò mio padre- sono qui ad Aquileia per poi attraversare le Alpi e attaccare I Quadi e i Marcomanni, temibili guerrieri germanici che potevano minacciare l’Italia.

*

 Lucio Vero morì della peste che i legionari  avevano contratto a Seleucia sul Tigri. Aveva solo trentanove anni e Marco Aurelio restò solo a reggere l’impero.  Galeno, il grande medico, lo seguì sempre in tutte le sue imprese e più volte lo guarì dal suo male.

Al momento di partire verso settentrione Elio Rufo, mio padre,  ottenne di seguire Marco Aurelio e anche io volli seguire mio padre e affiancare Galeno e i suoi  allievi per svolgere il lavoro di Assistente accudendo i legionari feriti o ammalati. Le enormi fatiche che il grande imperatore dovette affrontare sui campi di battaglia, finirono per sfibrare la sua pur forte complessione. Marco Aurelio si ammalò ancora una volta. La peste si era diffusa intanto in quegli anni in tutto l’impero decimando l’intera popolazione.

Ero spaventata. Come e dove avremmo trovato gli uomini da reclutare per le legioni? Seppi  da una conversazione fra due medici che l’imperatore era grave e cercai dappertutto mio padre per avere un suo parere. Alla fine lo trovai nelle officine delle armerie intento a  forgiare spade e ferri di lancia.

“Papà,” dissi “ è vero quello che si dice dell’imperatore,  che  è molto grave?”

“Purtroppo è vero” mi rispose. Sono stato con lui tutta la notte a cambiargli il pannicolo di lino bagnato sulla fronte ardente di febbre. Galeno mandò una staffetta a raggiungere i passi alpini  con un secchio e riempirlo di neve pressata per abbassare la febbre dell’imperatore morente.

 “Parla ?” gli domandai con voce tremante.

“ Una sola frase.” Rispose mio padre con gli occhi umidi.

“Quale?” domandai ancora.

Aveva parlato  della guerra e della pace…. Della morte. Poi, con voce roca, concluse:

“ … E quando viene il tuo momento vai in pace, perché c’è pace presso colui che ti chiama.”

Non dimenticherò mai queste parole uscite dalla bocca del più grande uomo che abbia mai conosciuto: il più saggio, il più generoso , il più coraggioso. E  ancora oggi che ho i capelli bianchi di tanto in tanto le ripeto. Morì undici anni dopo la morte del fratello adottivo Lucio Vero quando io ne avevo 26. 

Mio padre andò fino a Roma a cavallo per assistere al funerale dell’imperatore cui era devotissimo, e vide l’enorme colonna istoriata ergersi nel punto in cui il corpo di Marco Aurelio fu messo sulla pira . Seguì il corteo che portava le ceneri  di Marco Aurelio all’interno del Mausoleo ma mentre marciava con i legionari della XIII Gemina si sentì d’un tratto che uno sguardo lo colpiva fra le spalle e la testa: lo sguardo di una vecchia dagli occhi di fuoco che per tutto il tragitto gli fece cenni mostrando una bocca sdentata.

“Perché mi segui da tutta la giornata?” Domandò mio padre 

“Devo darti una cosa che tu dovrai dare a tua figlia Elia.” Disse la vecchia.” Raccomandale che non la perda, che non le cada e si rompa. E non tocchi mai ciò che contiene, se dovesse aprirla. Il grande Galeno  poteva dare la vita , ma non voleva dare la morte se non per motivi  di estrema emergenza.. Non deve mai  perderla .Se questo accadesse sarebbe la morte di molte migliaia di persone, e forse la fine dell’impero.” Mio padre lo prese e la ringraziò.

 Così quella scatoletta passò di mano in mano di generazione in generazione, fino  alla ultima discendente della nostra Elia Flavia  che ricordò come quel farmaco del grande Galeno potesse dare la vita e anche la morte in caso di estrema emergenza come  quando gli Unni di Attila assediarono Aquileia.

Questa è la fine di una antica storia che ancora viene tramandata: Ciò che è meraviglioso è che ancora oggi, se entriamo in una farmacia, possiamo chiedere un preparato galenico. La fama del grande medico è ancora viva.

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