Bisogna immaginarsela sotto i bombardamenti inglesi di un giorno d’agosto del ’43, l’immensa Sala delle Cariatidi di Palazzo Reale, a Milano. E poi immaginare com’era ridotta, dopo. Spogliata di tutto il suo fasto, gli specchi, i soffitti, gli innumerevoli lampadari, scoperchiata dalle bombe. Ha ragione il direttore del Museo di Palazzo Reale, Domenico Piraina, quando ci spiega che così accecate e storpiate e mutilate come rimasero, quelle famose quaranta Cariatidi, ancora ci parlano di tutta la storia che hanno visto e sentito. La loro era la più grande sala di alta rappresentanza in Europa quando fu costruita, nella Milano dei Lumi: era gaia e splendida, e le sue luci sfolgoranti sopravvissero alle avventure della storia fino a quell’agosto del ’43. Non fatichiamo a immaginare quello scempio, oggi che stiamo colpevolmente per abituarci all’osceno delle città ucraine distrutte, sciorinato ogni giorno sotto i nostri occhi.

Senza ombra di morte

La Pietà Vaticana nella basilica di San Pietro (Wikipedia)

Un piccolo esercizio per lenire l’angoscia senza spegnere la coscienza: si può vederla così, la mostra-installazione “Le pietà di Michelangelo – Tre calchi storici per la Sala delle Cariatidi” (aperta fino all’8 gennaio prossimo) che il comune di Milano, letteralmente, ha regalato ai cittadini (l’ingresso è gratuito), riunendo in un solo e magnifico ambiente, con un’accurata scenografia visiva e musicale, tre calchi, prodotti per diverse ragioni in tempi diversi, di questi tra capolavori che segnano l’inizio, la tarda maturità e la fine della vita creativa di Michelangelo.

Aveva ventiquattro anni quando il cardinale ambasciatore di Carlo VIII alla corte di Alessandro VI Borgia gli commissionò la prima delle tre opere, la Pietà Vaticana, oggi in San Pietro: in un anno, fra il 1498 e il ‘99, la terminò,  suscitando lo stupore e la venerazione del mondo di allora. Un dio trentenne, di apollinea bellezza, dorme in atto di sereno abbandono in grembo a una Vergine che lo veglia amorevole, col suo volto di fanciulla. L’orizzontale del Cristo e la verticale di Maria formano una croce ideale, o piuttosto la perfezione di un cerchio che racchiude, intatta e levigatissima, un’umanità insieme classica e trasfigurata, senz’ombra di morte.

La questione di Nicodemo

La Pietà Bandini a Firenze (Wikipedia)

Quasi quarant’anni passano prima che l’artista, ormai più che settantenne, famoso e venerato, si accinga all’opera di un’altra Pietà: e che anni. Nel 1517 Lutero appende le sue 95 tesi al portone di una chiesa di Wittenberg. Carlo V, incoronato imperatore nel 1519, sogna di unire l’Europa e fare del suo immenso impero una monarchia universale di pace, ma si scontra con la resistenza di Francesco I di Francia: gli equilibri rinascimentali crollano, comincia la gran rissa cristiana di cattolici e protestanti. I Lanzichenecchi mettono a sacco Roma nel 1527. E anche la repubblica di Firenze crolla nell’agosto del 1530 dopo sette mesi eroici e disperati d’assedio, e cede alle forze imperiali del principe di Orange (fra i “pazzi” difensori vilmente irrisi dal Guicciardini c’era anche Michelangelo, che dal 1534 riparerà per sempre a Roma). A Firenze sono tornati i Medici, ormai sostenuti dalle potenze straniere. Nel 1547 muore Vittoria Colonna, la grande amica dell’anima, che come Michelangelo alimenta il fuoco della sua poesia al vento dello spirito nuovo, carico di libertà, di dubbi, di tormento. Quella che sarà chiamata la Pietà Bandini, ora a Firenze, cominciata dopo la morte di Vittoria, resterà incompiuta. Ma si si sa, il non finito di Michelangelo è piuttosto un infinito, e l’infinito di questa Pietà è la prima straordinaria scoperta che si offre al visitatore della mostra milanese. Iconograficamente è piuttosto un Compianto: non ci sono solo il Figlio e la Madre, ma c’è il cum di una sia pur embrionale comunità che piange il Cristo morto. Eppure non c’è più cenno di un’orizzontalità distesa. Il gruppo non ha che l’alto e il basso: imponente, dall’alto, incappucciata, una figura simile al Padre di una famosa Trinità del Masaccio sorregge il Cristo e abbraccia, insieme, Maddalena e Maria, in un pianto che scende, come scende nella gravità, pesante, tutto quel corpo, col braccio che pende rovesciato, in abbandono – la testa reclinata, involontaria e dolcissima, contro quella della Madre. Quella figura ha il volto di Michelangelo.  È Nicodemo: quello che nel Vangelo di Giovanni interroga Gesù sulla vecchiaia e la rinascita. Come può un uomo vecchio tornare nel seno di sua madre? Ecco: Nicodemo-Michelangelo qui non chiede più. Sostiene: la discesa nella morte e nella madre, e insieme la piange. Tutto scende e fluisce, qui, dall’alto al profondo.

E la disperazione in te imita questo marmo che si scioglie in pianto, e scende. Anothen – qualcuno te l’aveva insegnato – vuol dire di nuovo, in greco, nascere di nuovo, ma vuol dire anche dall’alto, nascere dall’alto. Improvvisamente lo vedi: s’è fatto alto come quello del Padre il volto dell’uomo dubbioso, alto non di superbia ma di pena e pianto, per tutti noi. Si è sollevato sopra la rissa cristiana a sorreggere il Cristo, crocefisso oscenamente alle parole di guerra, fra le bandiere e il piombo.  Se non alziamo il punto di vista sulla guerra e la storia i massacri non avranno fine. Non ci sarà rinascita, vita nuova, nuova civiltà. Nulla di nuovo nasce se non dall’alto: del pensiero e della pietà.

Sostenere il divino

La Pietà Rondanini (Wikipedia)

Ha quasi novant’anni Michelangelo quando si mette all’opera dell’ultima Pietà – la nostra che è a Milano, la Pietà Rondanini – e ci lavorerà fino a pochi giorni prima di morire. Qui il non finito s’è fatto infinito al punto di non starci più, in concetti umani. Non tornano più, i conti – ma un canto si leva sommesso, quasi fuso nella luce. È la musica minima e lucente dell’estone Arvo Pärt, sapientemente diffusa nella Sala delle Cariatidi. Perché tutto qui è deciso sub specie aeterni, ma tu non sai come, non sai se questa pace perpetua è fine o inizio, se è nulla o nascita, perché l’infinito, umanamente, è solo l’incompiuto. Tutto si legge a doppio senso, a seconda dell’angolo da cui lo guardi.

Anche qui c’è solo la verticale. Ci sono solo due figure: ma questo Cristo scende, o ascende? E questa Madre che sovrasta di una testa il figlio, là dov’era il Padre, questo volto efebico, evanescente quasi come un sogno, è Maria? Sostiene o è sostenuta, spinta in alto? Sono due, o uno?  

Ecco: l’abbraccio ancora una volta sembra sorreggere il corpo che la gravità contende all’alto, ma la fusione delle due figure fonde a tal punto i sensi di anothen, dell’alto e del nuovo, l’angoscia di Nicodemo e l’origine del mondo, vecchiaia e adolescenza, e il tornare nell’utero e il nascere, che tu non sai più quale verso abbia il pianto, se scenda o ascenda. Forse è acqua saliente, acqua di fonte, acqua che sale dal profondo, come dal pozzo della Samaritana. Salvezza?

Il mestiere delle cariatidi

FPM Alberto Panzani

Non lo sai. Ma sai almeno questo, adesso: il mestiere umile e invisibile delle Cariatidi, è lo stesso. Sostenere e sorreggere. Non sono nella luce, come quella madre dal volto già quasi svanito nell’eterno, hanno volti troncati o ciechi, loro stesse invisibili, come fuse nei muri portanti. Ma identico è il mestiere: resistenza. Che accoglie, che sostiene e imita il gesto ascensionale del divino, perché tutto non rovini giù, nel basso del morire.

Questo mestiere si chiama pietas: è la virtù di Enea, molto più che pietà. Di tutti gli esseri conosce il pianto e lo splendore: fiorente o violato, sfiorito, calpestato. Come quando la Sala delle Cariatidi accolse Guernica, il capolavoro di Picasso, lo specchio dell’agonia violenta di questa Europa: era il 1953. Come quando, ancora splendida di tutti i suoi lumi, la sala risuonò dei passi di Woodrow Wilson, venuto a dare legge con tavole nuove, poi spezzate. Nel 1919. Erano state splendide anche loro, agli inizi, quelle fanciulle schiave, piantate dai greci a sostenere il tempio di Eretteo, sull’Acropoli di Atene: e forse fu da loro che la ragione imparò le architetture della vita civile, il design dell’edificazione, al tempo in cui accese tutti i suoi lumi in Europa e qui fu degnamente accolta. Qui, a Milano: nei teatri e nei palazzi del Piermarino.

Era tempo che Palazzo Reale accogliesse questa trilogia della Pietà, della pietas senza di cui ragione e civiltà non risorgeranno nuove dalle loro rovine. Se mai risorgeranno.

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