La Natività di Gesù ha ispirato molti poeti e scrittori nel corso delle varie epoche, non ultimo l’autore irlandese James Joyce, il quale compose – sulla scia della celebre Bucolica IV di Virgilio – un Ecce puer, con quella cadenza che, almeno in traduzione, suona alle nostre orecchie felicemente carducciana: «Sua giovane vita/ È fiato su vetro:/ Un mondo non era,/ Già passa, sta dietro».

La versione è di Alessandro Zaccuri, che è anche il curatore di una vasta antologia di liriche natalizie, Parole nella notte: la scansione in tappe (tre: Poesie per l’attesa, la festa, la nascita, come recita il sottotitolo) parte proprio da Virgilio e da «Giunto è già l’ultimo tempo del vaticinio cumano» (qui elegantemente tradotta da Alessandro Fo), ecloga in cui i primi cristiani videro adombrata in una profezia la venuta di Cristo.

Ma lasciamo parlare per un attimo il poeta mantovano: «Tu, solo, questo bambino che nasce, e con cui verrà meno/ quella di ferro, e una stirpe d’oro verrà in tutto il mondo,/ casta Lucina, benigna riguarda: già regna il tuo Apollo». Dotati di una spigliatezza ipnotica, contornati di «edere», «bàccare» e «acanto ridente», gli esametri virgiliani rivelano – commenta Zaccuri – «l’attesa di un tempo di pace per l’umanità e per la natura, finalmente restituita alla sua purezza».

Insomma, un Virgilio ecologico (se dovessimo stare alle nuove acquisizioni critiche provenienti oltreoceano relative all’ecocriticism), o meglio esponente di un’ecologia integrale che descrive la perfetta condizione interiore della persona: questo, al di là di ogni presagio, potrebbe essere il vero legame tra il mondo classico e la nascente cristianità. Punto di arrivo e coronamento di un sentire religioso che mirava alla redenzione dall’error con il ritorno dei saturnia regna, età dell’oro in cui l’umanità poteva ancora credere nella giustizia e nella rettitudine.

D’altra parte, il senso profondo di questa antologia risiede nel fatto che «la concatenazione tra una poesia e l’altra è messa al servizio di un racconto nel quale ciascuno potrà riconoscere qualcosa di sé e della propria storia personale». Allora, i salti spaziotemporali da Melville a Frénaud, da Angelus Silesius all’Inno Acatisto, servono a rintracciare stazioni e porti franchi entro i quali il lettore può adagiarsi leggendo fra le righe testimonianze di una vita viva tra le altre, un evento dentro e fuori dal tempo, un puntino particolare dell’avventura umana che s’innalza come una fulgida cometa e lascia scantonare il suo fiume carsico nelle nervature del sottosuolo.

Con alcune sorprese. Sì, perché Zaccuri, stimato giornalista culturale e autore di romanzi importanti come Il signor figlio (Mondadori 2007) e Lo spregio (Marsilio 2016), non si limita a dare ordine al già noto, ma riesuma dal fondo della letteratura alcune perle rare: il Megalinario di un Anonimo bizantino («Oggi il Sovrano viene avvolto in miseri stracci,/ l’intangibile come un bambino»), la meravigliosa similitudine «lieve ed esatta» di Emily Dickinson in Che dolce gentiluomo («Che dolce gentiluomo/ Sarà mai stato il Salvatore –/ Venire da laggiù, in un giorno così freddo/ Per compari così da poco –»), Il piccolo Gesù di un Anonimo irlandese («È Gesù, il nobile, l’angelico,/ – non un semplice chierico –/ chi allevo nel mio piccolo eremo,/ Gesù, il figlio della donna ebrea»); e per arrivare ai giorni nostri un’imperdibile Caproni con l’ultimo testo che scrisse nel 1989, Dinanzi al Bambin Gesù pensando ai troppi innocenti che nascono, derelitti, nel mondo («Nel gelo del disamore.../ senza asinello né bue.../ Quanti, con le stesse sue/ fragili membra, quanti/ suoi simili/ in tremore,/ nascono ogni giorno in questa/ Terra guasta!...»). 

La ricchezza di Parole nella notte si misura nei differenti piani di interpretazione del Natale: si va agilmente dalla mistica al lamento, dallo scherzo alla preghiera. Il libro – in questo caso è significativa la splendida edizione che “confeziona” i testi –, nell’idea del curatore, mira a essere un compagno giornaliero di poesia, proprio perché nell’evento natalizio si possono racchiudere tutti i giorni di un’esistenza. E in questo caso, davvero: è sempre Natale!

Dal rude splendore di Patrick Kavanagh («La loro parlata contadina, aspra e schietta/ È la melodia degli uccelli di Cristo») alle modulazioni istrioniche e consumistiche di Marianne Moore («potrei avere in dono, se tu riesci a trovarlo,/ un camaleonte la cui coda si arricci/ come fosse una molla d’orologio») fino all’assurda quotidianità del Maestro di Wakefield («nient’altro che una palla io ti porto:/ su, a prenderla io ti esorto,/ giocare a tennis ti sarà di conforto»), queste poesie – punteggiate anche dalla decisa presenza della Madre oltre che del Figlio – rispondono al nostro desiderio di un inizio inedito, di una nuova venuta nella «terra» che, come disse Romano il Melode, «offre la grotta all’Inaccessibile».

Alessandro Zaccuri ha curato la pubblicazione del libro Parole nella notte. Poesie per l’attesa, la festa, la nascita, edito da San Paolo

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