Congedo di maternità obbligatorio e retribuito per le calciatrici. Per una volta la Fifa presieduta da Gianni Infantino fa un passo avanti. La riforma delle Regulations on Status and Transfer of Players (RTSP), varata dal Fifa Football Stakeholders Committee durante il meeting tenuto il 18 novembre e annunciata nella mattinata del 19, mette a punto un'azione concreta in materia di pari opportunità.

La proposta parla di almeno 14 settimane di congedo obbligatorio e retribuito, con almeno due terzi di salario garantito. Questo è il punto principale della riforma. Ma altri ve ne sono, come illustrato nel documento sintetico pubblicato dal sito della Fifa. Si tratta di 5 punti che pongono le basi per un quadro di regolazione e perciò meritano di essere passati rapidamente in rassegna.

Cinque punti

C'è innanzitutto il menzionato principio della retribuzione per il congedo di maternità, rispetto al quale è fornito qualche dettaglio in più. Viene specificato che la dotazione delle 14 settimane è stabilita dalla Fifa “in assenza di un accordo collettivo di lavoro”, e che almeno 8 di quelle settimane debbano essere conteggiate dopo il parto.

Il secondo punto riguarda il ritorno al lavoro, cioè sui campi da gioco. Il club deve garantire alla calciatrice un reinserimento calibrato, mettendole a disposizione assistenza medica specifica e spazi per l'allattamento.

Il terzo punto viene approntato a garanzia dei club costretti a rinunciare temporaneamente alla calciatrice in maternità. A essi viene concessa facoltà di effettuare un tesseramento sostitutivo al di fuori dei periodi di calciomercato (registration period). Inoltre, il contratto stipulato con la calciatrice ingaggiata grazie a questo meccanismo può durare, salvo diversi accordi fra le parti, fino alla conclusione della sessione di calciomercato successiva al momento in cui rientri la calciatrice andata in maternità.

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Il quarto punto riguarda la protezione durante il periodo della gravidanza e dispone che le calciatrici possano rivolgersi a un servizio medico indipendente rispetto a quello del club. In questo passaggio c'è da leggere un (opportuno) surplus di protezione. I dipartimenti medici del club, sempre costretti a districarsi intorno al dilemma fra la salute dell'atleta e la necessità di garantirne la performatività a beneficio del club che lo/a paga, possono trovarsi in oggettiva difficoltà nel compiere la scelta adeguata. Questo punto mira dunque a sciogliere l'equivoco e a mettere nelle mani della calciatrice il diritto di scelta. Inoltre, in caso di gravidanza a rischio, si propone di dare facoltà alla calciatrice (e obbligo al club) di un impiego in mansione diversa da quella agonistica.

L'ultimo punto riguarda la protezione dal licenziamento discriminatorio. Viene annunciato che la risoluzione unilaterale del contratto causa gravidanza verrà considerata licenziamento privo di giusta causa, e determinerà per il club sanzioni sportive e pecuniarie.

Le regole che verranno

Non rimane che attendere di vedere come questi principi verranno calati dentro le norme del RSTP, senza venirne rimaneggiati al ribasso. Per il momento si registra il segnale, che è forte. E certo è facile obiettare che 14 settimane di maternità siano poche. In effetti lo sono.

Ma sono anche molto più che zero settimane, o peggio ancora essere messe alla porta per avere “osato” rimanere incinte. Probabile che, al momento, 14 settimane siano il massimo ottenibile. E se così è, va benissimo. L'importante era mettere un punto fermo, da qui in poi si potrà migliorare.

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