Dietro al disgusto non c’è solo il fattore evolutivo, ossia la necessità di proteggersi dalle sostanze potenzialmente nocive, ma anche l’influenza dell’ambiente sociale e culturale a cui siamo esposti fin da bambini
Questo articolo è tratto dal nostro mensile Cibo, disponibile sulla app di Domani e in edicola
La Disney lo ha rappresentato come un personaggio vivace, di colore verde brillante, con un vestitino svolazzante e un foulard lilla, sempre con un’espressione un po’ accigliata: è Disgusto, il personaggio di Inside Out che incarna l’emozione alla base di una delle risposte più antiche e primordiali dell’essere umano.
Perché mai la Disney lo avrà colorato di verde? Forse per una combinazione di fattori culturali e biologici?
In effetti il verde, in natura, è il colore di molte sostanze che possono essere pericolose o sgradevoli, come il cibo in decomposizione, e, nella percezione umana, il verde è anche il colore di alcune verdure amare, che possono scatenare una reazione di disgusto appunto.
Un’emozione primaria
A chi non è mai capitato di aprire un contenitore dimenticato in fondo alla dispensa, sperando di trovare qualche biscotto da sgranocchiare? Ma appena il coperchio si solleva, un odore acre e pungente ci assale.
Il volto si contrae in una smorfia di disgusto e la bocca si storce verso il basso. Dentro il contenitore troviamo un ammasso molle e ammuffito, ricoperto di macchie verdastre e filamenti bianchi.
Il naso si arriccia, la fronte si corruga, afferriamo il mostro con la punta delle dita e allontanandolo da noi, lo scaraventiamo nel secchio dell’umido.
Ecco, questa è la reazione tipica di quando ci troviamo di fronte a qualcosa di ripugnante: proviamo disgusto.
A che cosa serve?
Secondo Francesco Mancini, professore di psicologia all’università Guglielmo Marconi di Roma, il disgusto ha svolto un ruolo fondamentale nell’evoluzione umana.
Si tratta di un meccanismo biologico che ci aiuta a evitare l’assunzione di sostanze nocive o velenose, sviluppatosi nei nostri antenati come forma di protezione contro malattie e infezioni.
Senza questo segnale di allarme, esplorare l’ambiente mettendo in bocca o toccando qualsiasi cosa sarebbe stato estremamente rischioso.
È proprio il disgusto che ci spinge ad allontanarci da odori sgradevoli, a sputare cibi ripugnanti e a rifuggire ciò che percepiamo come repellente.
C’è disgusto e disgusto
Paul Rozin, professore di psicologia all’università della Pennsylvania, afferma che, indipendentemente dalla cultura di appartenenza, feci, urina, sangue, saliva, muco, vomito, ferite infette, parti del corpo, cadaveri, insetti e roditori sono quegli elementi che suscitano disgusto in tutte le persone.
Influenzata dalla storia, dall’ambiente e dal contesto culturale, ogni popolazione però sviluppa proprie sensibilità, e, poiché il disgusto si manifesta soprattutto in ambito alimentare, alcune culture considerano intollerabili cibi che per altre sono accettabili.
Ma c’è di più, perché pare che le cose che ci disgustano maggiormente siano quelle che escono dal nostro corpo. Fare i ruttini o le puzzette, per esempio, sono comportamenti che generano disgusto perché indicano l’uscita di qualcosa dal nostro corpo, ma in realtà non tutti li trovano disgustosi.
In molte culture, infatti, un ruttino è addirittura segno di apprezzamento per il cibo.
Secondo Andrea Stracciari, esperto di neurologia cognitiva e comportamentale, il disgusto è soggettivo come il gusto, entrambi svolgono funzioni opposte ma complementari.
Da un lato, infatti, il disgusto protegge l’organismo da sostanze potenzialmente nocive, dall’altro il gusto aiuta a riconoscere e apprezzare cibi nutrienti.
Chiaramente, dal momento che la distribuzione delle papille gustative varia per ogni individuo anche la percezione dei sapori e del disgusto risulta diversa per ciascuno.
È interessante sottolineare che il sapore che genera più disgusto è l’amaro che, se in eccesso, stimola, tra l’altro, anche il vomito.
Ancora una volta il significato va ricercato in termini evolutivi: in natura molte sostanze tossiche sono amare, e provare disgusto seguito anche dalla sensazione di vomito rappresenta una strategia protettiva nei confronti di chi ci viene a contatto.
Ma attenzione, perché non sempre una verdura amara è naturalmente velenosa. Eppure broccoli e cavolfiori, pur avendo ottime proprietà nutrizionali, risultano disgustosi per molte persone.
E a proposito di soggettivo: pare che le donne siano più sensibili al disgusto, forse per proteggere sé stesse e la prole.
Secondo l’antropologo Daniel Fessler, anche le nausee nei primi mesi di gravidanza hanno una funzione protettiva, poiché il sistema immunitario è meno efficiente ed evitare rischi per la salute è fondamentale.
Le ricerche
In tutto ciò, il disgusto è anche contagioso, proprio come uno sbadiglio!
E lo dimostra uno studio pubblicato su Neuron dove alcuni volontari sono stati esposti a un liquido maleodorante mentre altre persone li osservavano.
Ebbene, l’attività cerebrale e l’espressione facciale degli osservatori rispecchiavano quelle di chi prova disgusto.
Interessante è il risultato di recenti indagini che dimostrano che non si nasce con una certa propensione verso una emozione specifica ma la tendenza genetica si incrocia sempre con l’ambiente.
Il disgusto, così come le altre emozioni, risiede nelle parti più profonde del nostro cervello, e dalle indagini di risonanza magnetica funzionale è emersa una interessante mappa delle emozioni che “abitano” principalmente le regioni cerebrali dell’insula e dei gangli di base.
L’insula, in particolare, sarebbe la sede delle sensazioni di nausea e vomito. Nella parete ventrale del solco temporale superiore vengono individuate invece le espressioni di disgusto.
Coinvolti maggiormente nella sensazione di disgusto fisico sono risultati l’insula e i nuclei di base, mentre la corteccia frontale è più coinvolta nel disgusto morale. D’altronde si sa, ogni cervello ha la sua personalità.
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