Ho la coscienza sporca. Penso di essere stato il primo a scaricare la tessera per la lotteria degli scontrini. Ho osservato a lungo e con ammirazione la schermata del computer con la tessera digitale. L’arma definitiva affidatami dallo stato per combattere contro i miei concittadini meno onesti.

Arma un po’ complicata da usare: non si può salvare nei wallet degli smartphone: va scaricata come foto, peraltro a bassa risoluzione, e stampata. Mancava solo un numero di fax a cui spedire il codice fiscale per convalidarla. Ma questo è niente.

Mentre guardavo questo seducente concentrato di bassa tecnologia mi è tornato in mente il meraviglioso euroconvertitore mandato in omaggio a tutto il popolo italiano da Silvio Berlusconi. Addirittura a me ne arrivarono due, al tempo. Il primo lo distrussi a causa di un insopprimibile impeto punk in diretta televisiva (ma a tarda notte); il secondo lo conservo ancora imbustato come un cimelio. Che bello che era l’euroconvertitore di Silvio, mi faceva immaginare scenari fantastici, col suo look tutto blu Europa e quell’aria da nanoteconolgia low-fi che nemmeno la calcolatrice sull’orologio Casio.

Libidine totale insomma. E molto funny! Un giocattolino per gli italiani. Di più: il regalo di Natale del Presidentissimo, A.D. 2001. Fabbricato in Asia (non si specifica meglio nelle fonti dell’epoca), operazione costata allo stato circa 10 milioni di euro. Ma occasione natalizia, esborso di denaro pubblico e tecnologia vintage non sono le sole analogie tra i due strumenti.

Come funziona?

La lotteria degli scontrini è un gioco a premi teso a motivare il contribuente a dichiarare i propri introiti. Funziona più o meno così: ti iscrivi al sito, hai il tuo codice a barre personalizzato, quando vai in un negozio per partecipare alla riffa e concorrere ai ricchi premi, esigi lo scontrino.

Il negoziante, che si presume evasore per definizione, al contrario del solito, te lo fa lo scontrino. Perché se glielo chiedi te lo deve fare. Più scontrini, più gettito per l’erario nazionale. Elemento cruciale della raffinatissima operazione è il fatto che anche il commerciante partecipa alla riffa: il diavolo sta nei dettagli. Questo è l’elemento più interessante e rivelatore dell’idea che lo stato ha degli italiani e, in particolare, degli evasori.

Non vince nessuno

Come spesso capita con leggi e decreti, attraverso essi si può leggere in controluce non solo l’idea di stato che soggiace alla legge o decreto stesso, ma anche quelle di comunità, di individuo e di cittadino. Questa idea della lotteria descrive un popolo di bambini viziati e un po’ monelli, che vanno talmente male a scuola da meritare un premio se prendono 6, ovvero se fanno il minimo indispensabile loro richiesto per essere parte della comunità.

Pagare le tasse.

Anzi, è peggio. Perché se per un bambino un 6 può essere una vera conquista – egli è individuo, non solo, è individuo in formazione, non-ancora cittadino – per noi, adulti, è una legittimazione ad andar male a scuola o a fregarcene delle leggi (che in questo caso riguardano in maniera direttissima il bene comune) accomunandoci tutti sotto il fregio del minus habens, senza distinguo. È la corsa regressiva e irrazionale verso l’ignoranza; su più livelli.

Oltre a essere del tutto diseducativa, la logica del “ti premio se fai il tuo dovere” si basa anche su meccanismi ben noti e che accomunano tutti i tipi di lotteria. La probabilità di vincere è talmente minima da essere un evento statisticamente impossibile. Chi vince è il cigno nero. Ovvero la lotteria è quella cosa che ti fa spendere dei soldi e non vincere niente; così come i cigni sono tutti bianchi, anche se ne vedi uno nero. Che vinca uno, e che ci sia un cigno nero, non fa che confermare il postulato di partenza: i cigni sono bianchi, alla lotteria non si vince – o meglio non sarai mai tu a vincere. E lo sai. Eppure giochi.

Siamo alla circonvenzione di incapace, alla retrocessione dello stato a maestrina bonaria e poco esigente – e questo vale per ogni lotteria. Ma questa ha una caratteristica in più. È legata al comportamento di chi partecipa, o meglio, vorrebbe, con la sua sola esistenza, modificare il comportamento di chi vi partecipa. Si tratta della trasformazione del più banale senso civico in comportamento talmente eroico da necessitare del miraggio della medaglia al valore, del superpremio da ritirare in gettoni d’oro e, in totale congruenza con il tutto, come detto, statisticamente irraggiungibile.

Berlusconi luccica ancora

Ed è qui che mi torna in mente l’euroconvertitore; a me pare – sbaglierò – che siamo ancora nell’onda lunga della cultura berlusconiana del gioco individuale, su cui si basò in parte il suo incredibile exploit. Chi ne fu sedotto (a occhio e croce almeno un terzo degli italiani e nel tempo direi si possa tranquillamente arrivare alla metà) cadde vittima del sogno di essere Berlusconi, della promessa individualista che con lui al comando saremmo stati tutti Berlusconi. Cigni neri.

Per non parlare della sua plateale difesa dell’evasione fiscale, che assolse, come una indulgenza plenaria pagata nella cabina elettorale, ogni micro malfattore che causa, insieme ai suoi simili, uno dei mali principali del paese e ostacolo fondamentale per la sua crescita. Anche se nei fatti non lo è, la lotteria degli scontrini è un’idea di Berlusconi. Non è difficile immaginare lo spot: testimonial Mike Bongiorno. Questa è ancora la nostra cultura. La società dei giochi, dell’uno su mille ce la fa, ma tutti possiamo inseguire il sogno, senza se e senza ma.

Lo sconto contanti

La lotteria degli scontrini è un’idea da babbei fatta per babbei che avrà senz’altro qualche beneficio, perché, e forse qui c’è di nuovo il lato pop-core, in effetti si è preso atto che siamo un popolo di minus habens e che come tali dovremmo essere trattati (ouch, ci era già arrivato chi?).

Oltre a essa c’è un’altra iniziativa modello sul nesso comportamento normale=premio. Il cashback digitale. Meno grave, ma comunque. Siamo il paese più arretrato in Europa per il numero di transazioni elettroniche, quello che usa più contanti, un paese nel quale è stato necessario regolare, con gran battaglie da una parte e dall’altra, il limite massimo di contanti che si possono prelevare e usare.

Meraviglioso il fatto che i due schieramenti – pro-contante e anti-contante – fossero percepiti come entrambi legittimi e non, com’è ovvio che sia, l’uno inequivocabilmente favorevole a una tra le più diffuse strategie per evadere il fisco, l’altro che salutava l’arrivo dell’onda dei pagamenti digitali come uno strumento, oltre che di per sé modernizzatore, anche utile nella guerra all’evasione. Eppure no. Posizioni entrambe legittime. Babbei. Allo stato il cashback digitale costerà il 10 per cento dell’intera movimentazione liquida elettronica (non quelle online, ça va sans dire), una cifra rilevantissima, anche se parametrata sullo scarsissimo uso dei pagamenti elettronici nel nostro paese. Si tratta di una mossa disperata, questo è evidente. Disperata al punto che speriamo davvero tutti che porti un saldo positivo tra maggiori entrate per lo stato e quel 10 per cento devoluto a chi fa quel che ha sempre fatto, ovvero usare il pagamento digitale.

Quanti si convertiranno per un 10 per cento? Quanti facoltosi continueranno a trattare, in entrata e in uscita, sullo “sconto contanti”, la vera spina dorsale dell’economia italiana, sommersa, ma realissima? Non pochi, temo. Anche perché qui il premio è piccolo, raggiungibile e dunque meno affascinante. Babbei siamo e babbei restiamo. E le lotteria e i premiolini di certo non aiutano.

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