A una cosa la filosofia soprattutto ci abitua: al ragionamento astratto. Tutti noi ragioniamo attraverso astrazioni: per esempio, il veterinario che mi fa un’iniezione antirabbica, anche senza aver visto il cane che mi ha morso, si riferisce a un concetto di cane in generale (della sua natura e abitudini) e sa che cosa potrebbe accadere in genere se un cane ci mordesse. Ma abitualmente il veterinario si occupa di questo o quel cane. Invece il filosofo è interessato non solo al concetto di “cane” ma al concetto di concetto, e cioè alle ragioni per cui elaboriamo concetti.

Questo porta talora la filosofia a lavorare su astrazioni che sfuggono alla nostra comprensione immediata, il che ci induce a pensare che il filosofo viva fuori della realtà. Ma molte cose che hanno contato parecchio per la nostra realtà (comprese tante scoperte scientifiche) sono state capite proprio lavorando a livelli di pensiero molto astratto. Insomma, vale la pena di praticare la riflessione filosofica così come vale la pena di fare ginnastica. Nel secondo caso si evita di ingrassare, nel primo si diventa più intelligenti.

C’è una ragione culturale per cui una storia della filosofia inizia dai greci. È stato il pensiero greco a formare il modo di pensare del mondo occidentale, e solo comprendendo che cosa avessero pensato i greci noi possiamo capire come abbiamo continuato a pensare negli ultimi tre millenni circa. E se un occidentale che va a lavorare in Cina dovrebbe capire qualcosa della mentalità cinese, è certo che un cinese che viene a vivere tra noi dovrebbe comprendere le forme del pensiero occidentale nato in Grecia.

Potrete pensare che questo non è giusto, ma è un fatto che migliaia e migliaia di giovani orientali che vanno a studiare negli Stati Uniti si addestrano a capire il pensiero occidentale e su questa loro capacità si basa il fatto che diventano più preparati dei loro coetanei americani e conquistano le migliori posizioni in campo scientifico ed economico. Si è pensato che è a causa della struttura delle lingue occidentali (soggetto, copula e predicato, come ne “il fiume è fangoso”) che noi vediamo l’universo come una serie di cose a cui attribuiamo certe proprietà. In certe lingue primitive non si riconoscerebbero cose e proprietà ma eventi, e si parlerebbe non di una cosa-fiume che ha la proprietà di essere fangosa bensì di un fluire ininterrotto di acqua sempre diversa (e in fondo anche Eraclito diceva che non ci bagniamo mai due volte nello stesso fiume).

Nella filosofia occidentale si è parlato e si continua a parlare di cose o sostanze o oggetti dotati di certe proprietà, e se noi non comprendiamo come sia nata con Aristotele la nozione di sostanza non capiremo neppure i casi in cui la fisica contemporanea la pone in questione.

Se il pensiero occidentale si rivelasse tuttavia caduco, occorrerebbe conoscerlo per capire da dove veniamo e che cosa siamo. Se dicessimo a studenti e scolari che non vale la pena di studiare la mitologia greca perché è un cumulo di fantasie, impediremmo loro di comprendere i poemi di Omero o Virgilio; se a scuola non parlassimo mai dell’antico e del nuovo Testamento, impediremmo ai giovani di capire il novanta per cento delle immagini create nel corso della storia dell’arte, dalle natività alle crocifissioni.

L’ambiente

I filosofi non sono mai vissuti con la testa fra le nuvole, come vogliono le caricature fatte dai loro detrattori o la saggezza popolare che ha sempre scherzato sul “professore distratto”. È vero che Platone nel Teeteto raccontava che Talete, mentre studiava gli astri e guardava in alto, era caduto in un pozzo. Però Aristotele, quasi a salvare Talete dalla reputazione di sapiente con la testa fra le nuvole, riportava che, mentre i suoi contemporanei gli rinfacciavano l’inutilità della filosofia, egli, avendo previsto in base a calcoli astronomici un’abbondante raccolta di olive, ancora in pieno inverno si era accaparrato con pochi soldi tutti i frantoi di Mileto e di Chio così che, quando era giunto il tempo della raccolta, li aveva affittati a gran prezzo dimostrando che, se volevano, anche i filosofi potevano arricchirsi.

Ogni filosofo è vissuto in un preciso ambiente politico, sociale e culturale e il suo modo di filosofare non si è sottratto a influenze extrafilosofiche. I primi filosofi, mentre cercavano di dare spiegazioni razionali del mondo che li circondava, vivevano in un contesto dove si praticavano i riti misterici, si veneravano gli dei, si facevano delle guerre, esistevano degli schiavi e degli uomini liberi, si praticava un certo tipo di medicina. Gran parte della filosofia rinascimentale e post-rinascimentale è stata influenzata invece dalle scoperte astronomiche di Copernico, Galileo o Keplero.

Ciò vale anche per i filosofi del nostro tempo, alcuni dei quali sono stati influenzati dai conflitti sociali, dal sorgere delle dittature, dai nuovi problemi posti dallo sviluppo della tecnica. Capire perché in un dato tempo si sia filosofato in un determinato modo è possibile dunque allargando il nostro sguardo a nozioni che apparentemente non appartengono alla storia della filosofia ma alla medicina, alle costituzioni politiche, alla fisica, all’astronomia, alle arti.

Forse ci sono altre e numerose ragioni per capire e studiare la filosofia, ma speriamo che questi pochi accenni siano sufficienti per invogliarci a comprendere che cosa voglia dire pensare. Perché il pensare, e il pensare filosofico, è quello che distingue gli uomini dagli animali.


Questo testo è estratto dal libro La filosofia di Umberto Eco, edito da La nave di Teseo e pubblicato il 19 febbraio in occasione dei cinque anni dalla morte di Umberto Eco. Il libro è stato pubblicato in prima edizione nella Library of Living Philosophers, fondata nel 1938, serie in cui, nel tempo, sono usciti volumi dedicati, tra gli altri, a Bertrand Russell, Albert Einstein, Jean-Paul Sartre e Hilary Putnam.

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