Con un certificato si può vantare la proprietà su “oggetti digitali” che hanno innumerevoli copie. Non è l’avere che conta, ma il poter dire: «Questo è mio». C’è un istinto profondo dietro questa apparente insensatezza
- La rappresentazione classica della vanità è statica. Per esempio una persona che si guarda allo specchio e osserva, con compiacimento, la propria immagine riflessa.
- La vanità però può anche essere vista come una funzione che trasforma l’avere in essere. Possedere qualcosa e dunque poter dire di possederlo. Assumere un’identità, l’identità del proprietario. Identificarsi, darsi una dimensione esistenziale. Ed essere visti dagli altri.
- Nella vanità l’avere e l’essere si confondono. Forme di ostentazione che possono diventare merce di scambio, ma che soprattutto permettono un arricchimento dell’immagine pubblica.