Trasformare l’avere in essere

La vanità del puro possesso costa milioni di dollari

Illustrazione di Marilena Nardi
Illustrazione di Marilena Nardi

Con un certificato si può vantare la proprietà su “oggetti digitali” che hanno innumerevoli copie. Non è l’avere che conta, ma il poter dire: «Questo è mio». C’è un istinto profondo dietro questa apparente insensatezza

 

  • La rappresentazione classica della vanità è statica. Per esempio una persona che si guarda allo specchio e osserva, con compiacimento, la propria immagine riflessa.
  • La vanità però può anche essere vista come una funzione che trasforma l’avere in essere. Possedere qualcosa e dunque poter dire di possederlo. Assumere un’identità, l’identità del proprietario. Identificarsi, darsi una dimensione esistenziale. Ed essere visti dagli altri.
  • Nella vanità l’avere e l’essere si confondono. Forme di ostentazione che possono diventare merce di scambio, ma che soprattutto permettono un arricchimento dell’immagine pubblica. 

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