“La vita va così”, la Fiaba troppo fiabesca di Riccardo Milani apre la Festa del Cinema

Due anni fa la Festa del Cinema di Roma, sotto la neo-direttrice artistica Paola Malanga, ebbe l’intuito di puntare su C’è ancora domani come film d’apertura. Il resto è storia, come gli oltre 50 milioni incassati dall’opera prima di Paola Cortellesi. Sono vicende che creano legami solidi e sacrosanti tra artisti e festival, “fanno famiglia”. Tant’è che quest’anno Cortellesi si presta (lei così schiva) come presidente di giuria e la commedia di apertura, La vita va così, è di suo marito Riccardo Milani. Sarà in sala dal 23 ottobre distribuito da Medusa e Piperfilm. A Milani dobbiamo rispetto e gratitudine. Ha coltivato l’arte della commedia sociale quando non era di moda, ha firmato Il posto dell’anima quando nel nostro cinema di fabbriche non si parlava, e tra i miei preferiti Scusate se esisto! e i due capitoli fortunatissimi di Come un gatto in tangenziale. Ha promosso (giustamente) a nuova classe operaia gli insegnanti di Un mondo a parte. Cinecittà, ciak dei pm. Indagine sui film di Costanzo e Virzì Una storia che non graffia La vita va così è una fiaba green che vorrebbe seguire la stessa scia: la resistenza al potere, la dignità e le battaglie dei piccoli che cambiano, se non il mondo, almeno scampoli di realtà. La storia vera di riferimento è quella che nel 2024 ha ispirato anche il Marco Amenta di Anna (che però era un film drammatico al femminile). È la storia del pastore sardo Ovidio Marras, che per quattordici anni ha lottato contro la speculazione di un potente gruppo immobiliare che progettava un resort di lusso nella sua terra, tra Capo Malfatano e Tuerredda. Solo che questa fiaba è troppo fiaba per riuscire a graffiare, o anche solo a convincere. Sembrano tutti a disagio: Virginia Raffaele (ritrovata da Un mondo a parte) col suo accento sardo improbabile, il magnate Diego Abatantuono che dice le sue battute come se passasse di là per caso, Aldo Baglio di Aldo, Giovanni e Giacomo – che è di gran lunga il più simpatico – costretto a puntellarsi con le vecchie gag del suo storico trio. La più fuori posto di tutti è Geppi Cucciari, che è sarda davvero ma per copione snocciola sentenze ampollose (interpreta un giudice), e non è proprio il suo genere. L’Efisio Mulas della finzione si mangia tutti i suoi comprimari in un boccone, se non altro perché è un non-attore, un vero pastore di Terralba. A 84 anni Giuseppe Ignazio Loi, sull’onda del film, è diventato di colpo un divo del glamour: ha appena sfilato per lo stilista Antonio Marras alla Milano Fashion Week. Sardegna Doc. Il film si apre con le vacche di Efisio che fanno il pediluvio tra acque cristalline e sabbia candida: un paradiso terrestre. La località sarda immaginaria si chiama Bellesamanna, ma la comunità umana che presta i volti di popolo al racconto – proprio come i paesani abruzzesi veri di Un mondo a parte – è quella di Teulada. Riguardate “Non essere cattivo”, fatevi contagiare dall’amore Serve onestà Lungo i dieci anni narrati – lo dico malvolentieri, ma per lo spettatore la durata percepita del film è suppergiù equivalente – le cifre offerte dall’immobiliare milanese di Abatantuono per far sloggiare il vecchio Mulas da casa e fazzoletto di terra lievitano fino a livelli così astronomici (sei milioni di euro?) da lasciare perplesso il pubblico popolare cui il film si rivolge. Che con tutto il rispetto per l’ambiente incontaminato e la cultura degli avi, data la media di salari e pensioni correnti, schioderebbe per molto ma molto meno. Frank Capra senza il New Deal? Sindaco, farmacista, parroco, maestra, carabiniere, ma anche il figlio cameriere che ha dovuto emigrare in Inghilterra e buon ultimo l’arcivescovo fanno la spola argomentando che il resort di lusso caccerà la fame, potrà riportare in patria i giovani e creerà 2.500 posti di lavoro. Il vecchio, d’istinto, è più politico: «La ricchezza se la portano loro a casa, non la lasciano qua. Perché è bella questa spiaggia? Perché è di tutti». Dài e dài, tutti alla spicciolata vengono folgorati sulla via di Damasco e si convertono alla «saggezza dei nostri pastori»: dopo la figlia Virginia Raffaele, Aldo Baglio, uomo-panzer degli speculatori milanesi, e financo – siamo ben oltre l’utopia – il tycoon in persona, Abatantuono. C’è un ingorgo finale di pistolotti edificanti – Cucciari ha quasi un afflato messianico, Geppy, perché?? – che garantisce a questa sceneggiatura di Milani e Michele Arcori un posto d’onore nel Guinness dei primati. Primato delle varianti con cui si può esprimere, superfluamente, lo stesso concetto. Se non sei sincero con gli autori bravi non li rispetti. Meritano la nostra certezza che la vita non sempre va così, e per fortuna neanche il loro lavoro.