La direzione del pensiero. Matematica e fisica per distinguere cause e conseguenze di Marco Malvaldi è uscito lo scorso 5 novembre per Raffaello Cortina editore ed è un saggio colto e avvincente sulla storia del rapporto – spesso contraddittorio – tra gli esseri umani e la causalità.

Ha i titoli e i grafici in un rasserenante tono di blu, in ogni capitolo c’è almeno un esergo che fa ridere – talvolta con la testa, talvolta con la pancia – e, in ogni pagina c’è quel tono che Malvaldi ha con la scienza e che, probabilmente, la scienza ha con Malvaldi, di allegra certezza di aver capito qualcosa e dunque, con intenzione, di poter capire tutto il resto.

Il tono di Malvaldi è scherzoso perché la cautela è il contrario della confidenza e poiché si conosce per frequentazione si può essere solo confidenti, e addirittura sfottò, con le cose che si studiano.

Mi rendo conto che già il tono di questo libro scardina un pilastro della nostra società della cultura (umanistica), e della comunicazione: il principio di autorità. La cattedra su cui sta Malvaldi – perché ci sta, perché il suo tono scherzoso è profondamente educativo, perché ha studiato ogni giorno della sua vita almeno quanto ha giocato a ping pong e col Meccano –, la cattedra su cui sta Malvaldi è la storia dell’uomo e del suo rapporto con cause, correlazioni ed effetti, dal Sapiens sapiens, fino a suo nonno, al salumiere e al loro breve dialogo («Ho fatto due etti e mezzo, lascio?», «Fosse per me, te lo farei riattacca’» che è anche un esempio degli exerga che dicevo sopra).

La tesi, speculativa, ricognitiva e tignosa del saggio e, dunque, di Malvaldi stesso, è che per quanto la causalità sia questione eminentemente filosofica, e per quanto sia incredibilmente mondano a questo punto della storia continuare con la solfa (nel mio liceo di Scauri si utilizzava proprio questo termine) della doppia cultura, il modo per applicare e districarsi nei rapporti di causalità è qualcosa che dipende, oltre che dalla logica, dal linguaggio, e il linguaggio più universale di tutti – Malvaldi è toscano come Galileo Galilei – è la matematica.

Malvaldi, mi perdoni, ma se questa è la tesi, perché parte – e continua a citarlo – da un anatomopatologo in Austria in pieno Ottocento? Non le pare macabro partire da una dissezione di cadaveri? Cause ultime?

In primo luogo, il sangue e le autopsie sono un ottimo mezzo per accattivarsi l’attenzione; va bene essere logici e pragmatici, ma se non c’è emozione non si va da nessuna parte. Carl von Rokitansky, l’anatomopatologo in questione, fu il primo ad avere l’idea di far visitare ognuno dei pazienti del suo ospedale da un medico, Josef Skoda, auscultandolo con lo stetoscopio.

Così se il poveretto moriva Rokitansky eseguiva l’autopsia ed era in grado di collegare ciò che vedeva a paziente aperto con ciò che il medico aveva ascoltato a paziente ancora chiuso e funzionante.

In pratica, non solo era in grado di vedere le cause della morte, ma anche di metterle in relazione con i rumori dello stetoscopio – e quindi di poter dire a un eventuale paziente ancora vivo «se il tuo cuore fa questo rumore, non mi aspetto niente di buono». In pratica, di predire eventuali conseguenze sulla base di osservazioni empiriche.

Mi può analizzare scientificamente, l’adagio, credo di averlo usato io pure talvolta «Se mio nonno aveva le ruote era un carretto» (un altro dei suoi exerga giustamente attribuito a «chiunque l’ha detto in vita sua»)?

È un cosiddetto “controfattuale astratto”: ci chiediamo cosa sarebbe successo se. Sono convinto che gran parte delle abilità dell’uomo vengano dal potersi costruire in testa dei mondi paralleli, in cui un singolo particolare che riteniamo importante viene cambiato.

La causalità secondo la maggior parte dei filosofi è proprio questo: chiedersi cosa sarebbe accaduto se non. Ovvero, quando io individuo una causa sono convinto che quella sia un ingrediente indispensabile per ciò che è successo: il che significa che, se la mia causa non si fosse verificata, l’evento che mi interessa non sarebbe successo. Se non avessi fumato negli ultimi tre anni, mi sarebbe venuto ugualmente un infarto? Se Zidane non avesse dato una testata a Materazzi, avremmo vinto i Mondiali del 2006?

Di solito, a domande del genere non è possibile rispondere. Ma, ultimamente, grazie a tecniche matematiche che uniscono la logica alla statistica, è possibile provare a rispondere a questo tipo di quesiti, e fare dei veri e proprio esperimenti ipotetici sul passato.

Come in altri suoi saggi scientifici, anche questo racconta e rende esemplari vicende biografiche, non sempre fortunate, di matematici, fisici, fisiologi – guardi come non dico chimici – filosofi, statistici che hanno contribuito a formalizzare il nostro rapporto con la causalità, mi chiedevo come sia stato il suo rapporto con i professori a scuola.

Meraviglioso. Ho studiato chimica proprio grazie alla mia professoressa di chimica al liceo: ero curioso di scoprire cosa fosse veramente. Scherzi a parte, ho avuto la fortuna di avere tre-quattro insegnanti bravissime che non mi hanno insegnato, ma hanno cercato di farmi imparare. E per fare questo c'era un modo solo: farmi vedere nella maniera più eclatante possibile i miei errori.

L’idea che si impari e si proceda grazie ma anche nonostante, secondo lei sorge solo a chi ha studiato scienze esatte?

Non necessariamente, ma aiuta moltissimo. Credo che altre due materie possano aiutare: la filosofia, perché ti mostra quanto sia vasto il potenziale dell’intelletto umano, sia nel bene – penso a Socrate – che nel male – penso a Hegel – e lo sport agonistico, perché sconfitta e vittoria sono risultati obiettivi, sono un processo di prova ed errore da cui si può migliorare solo analizzandoli con la massima sincerità. Ma in generale qualsiasi disciplina, se praticata in modo sincero, ti fa sorgere questo pensiero: anche la cucina.

Mi piacerebbe non chiederglielo perché in effetti lei riesce a renderlo un esempio e non il centro della sua riflessione, ma cedo, le nostre analisi dei dati di mortalità per l’epidemia di Covid-19, hanno tenuto conto della differenza tra causalità e correlazione?

Be', un modo molto astuto di usare il controfattuale l'ho visto usare, anche se non in modo sistematico: cosa succedeva in assenza di Covid-19? A chi sosteneva che il Covid-19 non aveva effetti diversi da quelli di una semplice influenza, sarebbe stato utile mostrare un grafico di mortalità di una città italiana del Nord, come Milano, negli ultimi 6 anni.

Nel periodo tra gennaio e giugno, a Milano, i morti negli ultimi sei anni si attestano intorno alle settemila unità: nel 2015 7.510 decessi, nel 2016 7.144 decessi, nel 2019 7.321 decessi. Nel 2020 9.332. Il 25 per cento dei morti in più, a fronte di una fluttuazione del 5 per cento scarsa. E la differenza parte da inizio marzo. Qual è la causa? Io un sospetto ce l'ho.

Nel caso qualcuno non si sia posto il problema, che differenza c’è tra causalità e correlazione?

Se guardiamo l’andamento degli incendi boschivi, di settimana in settimana, notiamo che c’è una strettissima correlazione con la quantità di gelati venduti nello stesso periodo. Possiamo spiegarcela in due modi: a) i gelati causano gli incendi, magari perché nella stracciatella è presente una molecola psicotropa che fomenta le tendenze piromani, b) gli incendi causano la vendita di gelati, perché dopo aver appiccato un incendio il piromane è comprensibilmente accaldato e si va a comprare un bel ghiacciolo.

Oppure possiamo ipotizzare che nessuna delle due causi l’altra, e ci sia semplicemente una causa comune, nota come “estate”, che favorisce entrambe.

Un’ultima domanda. Ho detto all’inizio che il linguaggio più universale di tutti è la matematica, tuttavia, in coda al suo libro, e probabilmente a causa del primo lockdown, lei si è messo a studiare la guaina dei muscoli. La chiama supertuta, giusto? Che c’entra la guaina con la causalità?

Molto spesso, la causa di una determinata conseguenza ci sfugge perché non abbiamo dati a disposizione, ma altre volte ci sfugge perché non riusciamo ad ammettere dati che vanno contro le nostre convinzioni. Io, da bambino, ero convinto che la forza e la velocità di una persona fossero date solo ed esclusivamente dai muscoli, e pur vedendo atleti olimpionici – tuffatori, ginnasti – che non mostravano fisici da dio greco vincere medaglie d’oro, non mi ricredevo.

Anche esempi clamorosi come Michael Jordan, che era in grado di saltare altissimo nonostante due polpacci da grillo, non mi facevano capace. Mi sono ricreduto solo quando ho capito che non ci sono solo i muscoli e le ossa, ma anche i tendini e il tessuto connettivo – e che quest’ultimo è fondamentale per muoversi velocemente, come un elastico.

Ecco, per approcciarsi correttamente a questa materia, occorre prima di tutto accettare che potremmo scoprire di avere delle convinzioni, e incrinarle irrimediabilmente. Se non siamo pronti ad accettarlo, se vogliamo usare questo tipo di strumenti per provare cose di cui siamo già convinti, quello che faremo non sarà né scienza né filosofia, ma solo squallida pornografia del pensiero.

Marco Malvaldi è autore del libro La direzione del pensiero. Matematica e fisica per distinguere cause e conseguenze, edito da Raffaello Cortina editore

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