La chiamai perché mi aveva scritto che il suo compagno di mattina lavorava.

- Buongiorno amore, - le dissi. - Ti amo.

- Ti amo anch’io.

Facemmo una pausa, entrambi soddisfatti.

- Che fai oggi? - mi chiese lei.

- Viene la bambina, te l’ho scritto prima.

- Sì, che lo so. Intendevo dire: che cosa farete, dove la porterai?

- Non ne ho la più pallida idea, so solo che penserò sempre a te.

- Davvero?

- Pensi che io sia un mostro?

- Penso che tu sia innamorato.

- Tu sei il mio pensiero preferito, bambina o non bambina.

Guardai fuori dalla finestra con la precisa intenzione di salutare il primo giorno d’inverno. Il cielo lattiginoso però mi atterrì.

- Pensi che riusciremo a incontrarci dopo le feste?

- Dovresti dirmelo tu. Sei tu quella sposata. Io voglio vederti.

- Ok, facciamo un patto. Se dopo le feste ti andrà ancora ci incontreremo.

- Le feste durano soltanto quattordici giorni, - osservai. - Certo che mi andrà ancora di vederti.

Finita la conversazione mi domandai se quattordici giorni fossero tanti o pochi. Come se quella telefonata non avesse saputo darmi la risposta.

La bambina arrivò subito dopo. Ormai saliva da sola e non c’era bisogno del passaggio di consegne con la madre. Tutte quelle moine penose.

- Io non ho voglia di fare niente, - mi disse, presumendo che quello fosse anche il mio desiderio (lo era, ma cercai di scrollarmelo di dosso).

- Andiamo a fare shopping, - le proposi. - In fondo è Natale. Paghiamo con la mia carta.

- Come i ricchi, - mi prese in giro la bambina.

- Ricchi? Chi ti ha insegnato questa brutta parola?

La bambina mi guardò. - Quanto siete stati insieme te e mamma?

- Considerando il fidanzamento e tutto?

- Sì.

- Direi quattordici anni.

Lasciai che riflettesse sulla proposta dello shopping e agguantai il telefonino per controllare se lei mi avesse scritto.

- Per me possiamo benissimo guardare scorrere le notifiche sul cellulare fino a sera, - disse la bambina.

- Da quando sei diventata così cinica?

- Ma se non fai altro! Te lo diceva sempre anche la mamma.

Intanto lei mi aveva scritto qualcosa a cui non riuscivo a dare un senso univoco: “Che palle i prefestivi, che palle tutto”.

Quel tutto forse comprendeva anche me? Lo scambio di una dozzina di messaggi non mi aiutò a districarmi: ce l’aveva con me? Con se stessa? Dovetti chiudermi in bagno e richiamarla.

- Parli sottovoce perché non sei più solo? - mi chiese.

- Sì, ma adesso spiegami quel messaggio.

- Non è niente. Devono venirmi, ho mal di testa.

- Mi ami?

- Sì.

- Quando torna lui?

- Tra un paio d’ore, credo.

- Se sbrocco?

- Non dovresti, non dobbiamo sbroccare, - disse, un poco spazientita. - Tu trascorrerai la giornata con tua figlia, io col mio compagno.

Avrei voluto dirle che non era proprio la stessa cosa. Proprio no. Lei mi aveva assicurato che col suo compagno era finita. Eppure mi riusciva difficile accettare quella situazione.

- Ehi, ci sei? - mi chiese.

- Sì che ci sono. Scrivimi sempre, ok?

- Certo, - disse. - Certo che ti scrivo sempre.

Prima di uscire con la bambina le inviai una cosa che avevo scritto quella notte (a cui rispose con un cuoricino):

I fiori d’inverno

sono strani

un mazzo di manie.

Vita recisa, nera,

te la dono persuaso:

brevissime poesie.

Per strada, mentre la bambina entrava e usciva dai negozi svogliatamente, non feci altro che pensare all’ora in cui il compagno di lei sarebbe rientrato a casa, e loro due sarebbero comunque tornati a essere una coppia. Che importava che non scopassero più? E poi chi me lo garantiva che non scopassero più?

- Come mi sta? - chiese la bambina, che si era appena provata un paio di jeans.

- A che serve comprarli se sono già tutti strappati?

- Dai, mi stanno bene oppure no?

La domanda ne fece comparire subito un’altra nella mia mente: ero felice oppure no?

Una volta a casa, finalmente la bambina poltrì sul divano fissando lo schermo del suo telefonino. Così io fui autorizzato a fissare il mio. Scrissi a lei come stava andando, cosa stavo facendo. Mi rispose quasi subito, ma in un modo che mi parve evasivo. Era solo una chat, parole che scorrevano su uno schermo senza peso né tono, eppure quei messaggi mi misero di malumore.

Scrissi: “Insomma voi che state facendo?”

Lei scrisse: “Niente di particolare, quello che facciamo di solito”.

Scrissi: “E cosa fate di solito?”

Lei scrisse: “Forse più tardi un cinema”.

Più tardi, inaspettatamente, la mia ex moglie suonò il campanello della porta. Andai ad aprire e quasi mi prese un colpo quando vidi le sue costose Louboutin sul mio zerbino.

- Potevi farmi uno squillo, te l’avrei mandata giù come al solito, - dissi.  

- Ormai sono salita, - fece. - Posso?

La lasciai arrivare fino al salotto. La bambina la vide e continuò a trafficare con il suo telefonino. Restammo tutti e tre in silenzio, prima che la mia ex moglie decidesse di accomodarsi sul divano. Accavallò le gambe e una zaffata del suo profumò mi arrivò al naso. Era sempre una bella donna, niente da dire.

Presi il telefonino e scrissi a lei: “Sei al cinema? Qui la mia ex moglie ha voluto fare una rimpatriata”.

Lei scrisse: “Film finito, niente di che”.

Mi ferì che non facesse alcun cenno alla mia ex moglie, come se non la riguardasse, non le interessasse. Perché a me invece il suo compagno interessava così tanto? Forse perché ancora ci viveva insieme. E andavano al cinema insieme.

- Carino qui, - constatò la mia ex moglie, per ferirmi. - Come va con le tue poesiole?

Non avevo voglia di parlarne, ne avevamo parlato fin troppo. Avrei potuto insinuare che il tipo con cui si vedeva non sapesse nemmeno leggere, o roba simile. L’avevo già fatto in passato, ma lasciai perdere. Restai sul vago, dissi che me la cavavo. La bambina, forse intuendo la tensione, si lagnò che voleva tornarsene a casa perché doveva finire i compiti. In questo modo non dovetti nemmeno fare lo sforzo di preparare un caffè o, vista l’ora, stappare una bottiglia di vino.

Appena restai solo, dopo averci rimuginato un po’, scrissi a lei una cosa (a cui rispose con un cuoricino):

E’ un bel guscio

il primo bacio

non va mai via

ci occupa le bocche

agli altri dice: sciò!

Il primo giorno d’inverno stava finendo, anche se in realtà l’impressione era che fosse già finito da un pezzo: dipendeva dalla mancanza di luce. O forse da me.

Scrissi a lei: “Siete rientrati?”

Lei scrisse: “Già rientrati, adesso mi metto a cucinare”.

Immaginai la scena, lei che armeggiava davanti al ripiano della cucina, mentre il suo compagno inalava il profumo di un soffritto o chissà che altro.

Scrissi: “Mi ami?”

Lei scrisse: “Certo che sì”.

Scrissi: “Dopo cena puoi scrivermi?”

Non rispose e m’impuntai nel non voler scrivere altro. Non le avrei scritto più un bel niente finché non avesse risposto a quel messaggio. Non era una pretesa straordinaria, in fondo. Non meritavo neppure di essere aggiornato sulla sua vita?

Alle 21 e 47, nonostante i propositi, le scrissi comunque un altro messaggio: “Ci sei?”.

Alle 22:13 ancora non aveva nemmeno visualizzato. Ricontrollai invano alle 22:19, 22:31, 22:58, 23:01, 23:15, 23:38.

Mi scrisse soltanto a 12:37: “Oddio amore scusami, mi ero addormentata come un sasso”.

Vidi il suo messaggio soltanto la mattina seguente, la vigilia di Natale. Pensai che era tutto finito tra noi. Era vero, le feste duravano soltanto quattordici giorni. Ma in fondo noi ci scrivevamo solo da uno.

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