Se avete letto un romanzo di Regency o guardato un adattamento di Jane Austen avete probabilmente una vaga conoscenza dello stereotipo della “donna rovinata”, cioè la tragica vittima di un uomo ignobile che l’ha sedotta e abbandonata, distruggendo il suo valore sul mercato. In un mondo governato da un sistema patriarcale fatto di matrimoni ed eredità, un sistema che dipende dalla purezza femminile per garantire che l’eventuale prole maschile sia legittima, la donna rovinata era merce danneggiata. Persino il più lieve sentore di un flirt prematrimoniale poteva far svanire l’incantesimo.

Queste idee antiquate sul valore delle donne non ci hanno mai davvero abbandonate, ma sono riemerse negli anni in qualunque ambito, dall’opera di Andrea Dworkin alle “guerre per l’astinenza” della fine degli anni Novanta.

Con l’usanza della dote ormai tramontata, l’idea che il sesso svalutasse le donne si è agganciata all’improvvisa ossessione dell’America per l’autostima. Una giovane donna che faceva sesso, specialmente sesso occasionale, chiaramente non rispettava sé stessa. Stava cercando di riempire un vuoto emotivo con una connessione fisica a buon mercato e, sì, si stava rendendo impossibile da sposare. Lui non comprerà la mucca, ci dicevano, se può avere il latte gratuitamente.

Innocenza da proteggere

Oggi l’idea che il contatto sessuale sia degradante per le donne è scritta nel linguaggio progressista contemporaneo, fatto di trauma e consenso. Il danno in questione è emotivo, immateriale, ma il messaggio paternalistico è lo stesso: l’innocenza delle donne deve essere protetta. 

Dare il proprio consenso è sexy, ci dicono, mentre gli opuscoli di educazione sessuale ci istruiscono con grazia sugli elementi essenziali della conversazione a metà coito. Ti piace se ti tocco lì? Cosa vuoi che ti faccia? Nonostante l’enfasi su quanto sia eccitante esprimere il consenso, il discorso progressista che circonda il sesso è decisamente poco sexy.

Tra l’ossessione per il potere, l’oppressione e l’onnipresente minaccia del male, la nozione di desiderio (o, che il cielo ci perdoni, divertimento) è quasi scomparsa. Anche la sceneggiatura più pornografica intorno al consenso-è-sexy riguarda la mitigazione del rischio, non la tittillazione. È una polizza assicurativa con qualche gemito.

Predatori

Questo concentrarsi sull’atto del consenso ridefinisce il sesso come un atto pericoloso, da intraprendere con estrema cautela e solo se assolutamente necessario.

E se le relazioni riguardano principalmente il potere e la minaccia di un abuso, coloro che le perseguono troppo entusiasticamente devono essere guardati con sospetto.

Qui emergono gli stereotipi di genere di vecchia scuola: gli uomini sono visti quasi automaticamente come predatori, mentre le donne sono considerate indifese, persino infantili. Mentre una gamma sconcertante di comportamenti maschili deplorevoli è raccolta sotto l’ombrello del #MeToo, il confine tra l’inseguire una donna e predarla non è più netto.

Quando si è scoperto che il fumettista Warren Ellis aveva rapporti con più donne, la litania delle lamentele non includeva alcun comportamento sessuale scorretto; le donne erano «scioccate dalla vastità delle sue attività... e avevano il cuore infranto quando ha smesso di parlare loro, oppure erano arrabbiate dopo aver scoperto che inviava a tante gli stessi messaggi».

Salvaguardia delle emozioni

Shock, cuore infranto, rabbia: queste sono cose normali che si provano quando una relazione romantica va male. Ma oggi sono ammassati nella nefasta categoria di abuso in virtù del presunto potere che qualcuno come Ellis - più vecchio, più ricco, più di successo professionalmente o comunque più privilegiato - detiene sulle sue partner. Invece, l’idea che questi fossero rischi noti e inevitabili dell’intimità è liquidata come incolpare la vittima. Come ha twittato una delle accusatrici di Ellis: «Nessuna di noi ha acconsentito a essere manipolato».

Questa nozione di consenso come salvaguardia dalle emozioni sconvolgenti è nuova e allo stesso tempo controintuitiva: nella maggior parte dei contesti (ad esempio, negli studi clinici o nelle interviste sui media), si cerca il consenso proprio perché non si può prevedere quello che verrà dopo, e che potrebbe mettere a disagio. In certi ambiti progressisti, però, un disagio di qualunque tipo diventa occasione per denunciare l’assenza di consenso, rendendo così sospetta una miriade di normali interazioni umane.

Come siamo arrivati a questo punto? I conservatori sostengono che la colpa è della cultura dell’hookup, e non hanno tutti i torti: il corteggiamento tradizionale, la monogamia e il matrimonio hanno i loro lati negativi, ma danno alle relazioni una certa struttura e stabilità.

Nell’era di Tinder quelle garanzie sono relativamente più difficili da ottenere, e la burocrazia elaborata (e a volte ridicola) dei regolamenti sul consenso può essere meglio compresa come un tentativo disperato di dare ordine a questa giungla di sesso e intimità, capeggiata da persone che hanno il terrore di essere vulnerabili o di essere ferite.

Lotte di potere

Circola l’idea che le relazioni potrebbero diventare infallibilmente sicure e confortevoli, prive di delusioni e imbarazzi, se solo avessimo abbastanza regole.

Le relazioni sono sempre state imprese rischiose, ma paradossalmente questa ipervigilanza le ha fatte sembrare di colpo spaventose. Ogni nuova storia diventa una caccia ai campanelli d’allarme che allertano dell’abuso, e ogni separazione è soggetta a una sentenza dentro la cornice del #MeToo.

Infelici ex espongono i loro reclami sui social media nel modo in cui un tempo le celebrità divorziate litigavano in pubblico per conquistare le simpatie della stampa. Gli affari privati sono trascinati sotto i riflettori per la resa dei conti e le riparazioni pubbliche.

Pur con tutti i suoi preziosi contributi alla lotta contro le molestie sessuali, il #MeToo allo stesso tempo ha reso il dating, l’appuntamento, più complicato e meno attraente per tutti. Se ogni relazione è una lotta di potere, in cui la parte meno privilegiata è perennemente a rischio di essere vittimizzata, perché cercare rogna?

(Foto Unsplash)

Reciproche vulnerabilità

Questo non significa certo tornare alle rigide norme del corteggiamento dell’era Regency, ma neanche all’ottusa positività sessuale degli anni 2000. Al contrario, si dovrebbero reintrodurre le nozioni basilari di emancipazione femminile e dell’agire individuale, e respingere la riduzione superficiale delle complesse relazioni interpersonali come lotte di potere tra oppressori e oppressi.

Dovremmo insegnare ai giovani e alle giovani a riconoscere le reciproche vulnerabilità e a impegnarsi con i loro amanti come individui, invece che come rappresentanti di un gruppo identitario. E dovremmo anche insegnare ai giovani a tollerare e affrontare il disagio, invece di concepirsi come schiavi di dinamiche di potere che li lasciano vacillare sempre sul crinale del vittimismo.

Innamorarsi senza soffrire?

Quando scrivevo una rubrica di consigli agli adolescenti, tra il 2009 e il 2019, c’era una domanda che mi facevano più spesso di ogni altra: «Come faccio a innamorarmi senza soffrire?». La mia risposta era sempre la stessa: Non puoi! L’intimità richiede vulnerabilità; la gioia della connessione umana implica il rischio di essere feriti.

Eppure quel rischio è lo stesso per tutti, non importa quanto uno sia privilegiato o benedetto dal prestigio. Anche al più ricco, bianco e ed eterosessuale del mondo si può spezzare il cuore, e anche una persona all’intersezione di molteplici identità oppresse ha il potere di infrangere il cuore di qualcuno.

Per quanto il trauma e l’abuso abbiano rimpiazzato la purezza e la “sposabilità” nel panorama del panico morale, la stessa vecchia paura è all’opera: che i desideri delle donne, rimasti inesauditi, le manderanno in rovina. E per quanto la tendenza a proteggere i giovani dal dolore emotivo possa essere ben intenzionata, gli effetti sono tossici.

Paure e diffidenze

L’attenzione ossessiva al potere in quanto meccanismo trainante in tutte le relazioni alimenta un ciclo di pensiero catastrofico: le donne temono sempre di più di essere maltrattate, sono sempre più convinte della propria incapacità di evitarlo e sempre più certe che quando accadrà non saranno in grado di gestire la situazione.

Al contempo, agli uomini, disumanizzati da una struttura che definisce i loro desideri come intrinsecamente predatori, viene insegnato a diffidare e a infantilizzare le donne con il pretesto di rispettarle.

Dobbiamo cacciare definitivamente lo spettro della donna rovinata dalla nostra concezione delle relazioni eterosessuali.

Una società sana, pro-sesso, riconosce che l’imprevedibilità è una caratteristica dell’appuntamento e non può essere escluso dal rituale del consenso, in particolare per le persone inesperte, specialmente quando si tratta di sesso occasionale.

Incomprensioni continue

Ai giovani bisogna insegnare a essere gentili e coscienziosi, a rispettare i confini, e a sbagliare per eccesso di cautela nelle situazioni ambigue; dovrebbero anche imparare però che l’amore e il sesso sono pieni di dolorose incomprensioni, e che anche le persone ben intenzionate possono ferirsi a vicenda perché sono insicure, confuse o perché davvero non sanno ciò che vogliono.

Invece di cercare di impedire loro di provare l’afflizione, il rimpianto o la vergogna, insegniamo loro che si può sopravvivere a queste cose e che a volte sono persino utili. Insegniamo loro a essere magnanimi di fronte a un rifiuto e caritatevoli rispetto ai passi falsi, coscienti che anche loro commetteranno errori; insegniamo loro che essere feriti non equivale sempre a subire un torto.

Insegniamo loro che l’amore è disordinato e sfida le facili narrazioni sul potere e il vittimismo, ma è anche qualcosa per cui vale anche la pena essere coraggiosi, perché la stessa incertezza che rende l’amore spaventoso lo rende anche una straordinaria fonte di gioia.

© Riproduzione riservata