A metà aprile 2021 per la legge italiana è vietatissimo andare da Roma a Fregene, è invece perfettamente legale andare a Fiumicino, prendere un aereo di linea e raggiungere un’isola vulcanica in Africa. Un uomo deve venire suo malgrado a patti con i limiti del suo tempo per cui eccomi in volo sopra le cime innevate dell’alto Atlante marocchino. Osservo svagato i nuovi look a metà fra Sfera ebbasta e il fricchettone dei ventenni con capelli colorati, fisici palestrati e magliette sdrucite che occupano la maggioranza dei posti sul volo Covid-free diretto a Fuertevenura, ragazzi che appaiono come un inedito miscuglio post-tutto, come se durante quest’anno abbondante di cattività si fossero create nuove simbologie umane, codici inediti di cui nell’isolamento non potevano arrivarmi tracce.

Lanzarote e Houellebecq

Indagare tuttavia qui è impossibile e in ogni caso preferisco riprendere in mano dopo anni Lanzarote, un testo di Michel Houellebecq dedicato all’isola in cui sono diretto, un libro che avevo archiviato nella memoria come minore quando in realtà rileggendolo mi rendo conto essere soltanto breve. Oltretutto senza per questo essere il suo migliore, Lanzarote è probabilmente il libro più divertente dello scrittore francese. Si dice, non senza qualche ragione, che dietro ogni comico ci sia un potenziale depresso e a innescare il disvelamento sia il passare del tempo, l’esperienza finisce cioè per cancellare la voglia di ridere. Quando scriveva Lanzarote Houellebecq forse era ancora abbastanza giovane da mettere nelle sue pagine un umorismo tagliente, caustico, mai di maniera.

Sull’isola il protagonista di Lanzarote ci finisce in un momento della storia recente simbolico quasi quanto la pandemia: l’alba del nuovo millennio. Un viaggio all inclusive messo in moto dall’intraprendenza dell’impiegata di un’agenzia di viaggi, figura professionale che non può immaginare come di lì a poco sarà cancellata dalla storia, sostituita, come molto altro, da un telefono dotato di una connessione internet. In compenso Houellebecq, essendo Houellebecq, certe cose le intuiva già allora tanto che il suo personaggio passa la notte di capodanno provando, invano, a connettersi alla rete. «Annoiato dai tentativi infruttuosi, mi addormentai verso le undici».  

Il nove gennaio, dopo aver visto un talk show «Come tutti gli altri, in sostanza, anche quello era un dibattito tra cretini», il nostro prende un aereo a Orly e attera direttamente all’aeroporto di Lanzarote, io e la mia compagna invece scendiamo in quel tratto d’inospitale deserto emerso dall’oceano che è Fuerteventura e passiamo per i controlli del personale sanitario in tuta anticontaminazione. Per arrivare al traghetto che ci porterà definitivamente a destinazione ci serve ancora un’altra mezz’ora di autostrada attraverso quei blocchi di case a schiera color pastello che dal finestrino dell’aereo sembravano la trasposizione di una vecchia versione di Sim City. Un panorama genuinamente orribile ma anche «Decisamente moderno», per l’appunto.

Lanzarote è un’isola vulcanica spoglia quasi quanto Fuerteventura ma non desertica, soprattutto Lanzarote è dotata di un carattere di cui Fuerteventura appare drammaticamente priva. A Lanzarote l’assenza ha un tono originario di terra appena emersa dal fuoco, una nota che il deserto con i suoi movimenti ottusi ed eterni ha dimenticato da tempo. Di fronte a tutto questo Houellebecq non si fa scappare l’occasione di comporre qualche verso ironico alla maniera, dice, dei poeti ermetici francesi:

«Ombra

Ombra dell’ombra

Tracce su una roccia»

e, più bella,

«Sasso,

Sassolino

Tu respiri»

poi però lui stesso davanti a dei ciottoli in spiaggia medita sul contrasto fra la forza di creazione del vulcano e quella di distruzione dell’oceano.

Parco naturale vulcanico di Timanfaya (Foto Daniele Rielli)

Sarà perché l’isola è pressoché vuota ma il kitsch non è comunque la prima cosa che viene in mente guardandola, al contrario Lanzarote, con la sua severità appena mitigata dai cieli in perenne movimento, sembra autorizzare pensieri radicali senza rischi di derive grottesche. Neppure qui mancano interi quartieri di case a schiera, specie nella parte meridionale dell’isola, ma sono bianche e disegnate in genere con un minimo di grazia, per quanta grazia possa avere una casa a schiera. Le guide sostengono che a salvaguardare Lanzarote dagli eccessi di bruttura fuerteventureschi sia stato l’influsso di César Manrique, architetto locale e autore della quasi totalità delle poche cose fatte dall’uomo che vale la pena vedere sull’isola. Il resto è stato distrutto dalle eruzioni e dai terremoti che si sono susseguiti sull’isola del 1730 e il 1732. L’assenza di storia è tanto radicale che nei pressi di una vecchia casa scrostata di pescatori di fronte alla marina Rubicon è stato apposto un grande cartello, ormai sbiadito, che chiede alla popolazione di rispettare quella testimonianza del secolo diciannovesimo.

Su quanto di interessante ci fosse sull’isola prima delle eruzioni comunque non è il caso di farsi troppe illusioni se è vero che quando nel 1312 Lanzarotto Malocello, esploratore di Varazze, scoprì l’isola, gli autoctoni erano ancora fermi all’età della pietra. Houellebecq omette il ruolo dello scopritore italiano nella storia dell’isola, cita in compenso il drammaturgo Fernando Arrabal secondo il quale gli abitanti preistorici non si erano mai interessati ai fuochi che vedevano sulle isole vicine, considerando le spiagge di Lanzarote come i confini ultimi del mondo.

Vita per turisti

Oltre che per la sua mancanza di opere d’arte e per i suoi vulcani, l’isola è nota per la sua frequentazione da parte di turisti inglesi e tedeschi di mezza e di terza età, genia in fuga momentanea o definitiva dall’occidente e intenta a portare a spasso il cane a qualsiasi ora del giorno sul lungomare o negli spiazzi di terra brulla fra i blocchi di case a schiera.

In un negozio di souvenir di playa Blanca compriamo una calamita con tre anziane donne obese e la scritta dorata “Lanzarote”, la aggiungeremo alla nostra collezione di calamite brutte di viaggio di fianco a quella con quattro giovani ragazze in tanga comprata a Formentera. Senza dubbio l’industria delle calamite conosce il suo mestiere.

Oltre agli autoctoni e a questa classe di piccoli investitori immobiliari decisa ad assicurarsi una terza età con piscina riscaldata, sull’isola è presente un’ulteriore fascia di popolazione più giovane composta principalmente da italiani, spagnoli e sudamericani impiegati a vario titolo nei servizi al turismo, persone che in tempi normali grazie alla ricchezza del mercato locale e alle agevolazioni fiscali guadagnano cifre che nella loro madre patria gli sarebbero precluse e per il resto si dedicano al surf, all’erba, alle turiste. La casa dove abitiamo ad esempio è di una società inglese, inglesi sono anche i tecnici che intervengono se c’è un problema elettrico, sudamericana invece la squadra delle pulizie. La popolazione dell’arcipelago delle Canarie negli ultimi anni è in costante crescita, in questo momento però molti alberghi sono chiusi, gli enormi parcheggi delle località turistiche vuoti.

Il turista arriva qui coltivando l’idea, che scoprirà in larga parte mitologica, di poter fare il bagno nell’oceano anche in inverno, quanto sia diffusa questa convinzione si capisce anche dal fatto che gli unici luoghi dell’isola dove si può notare un po’ di movimento anche durante la pandemia sono proprio le spiagge più note. È così, d’altronde, che anche l’impiegata dell’agenzia turistica vendeva sul finire del 1999 l’idea delle Canarie al personaggio di Houellebecq. Nell’aprile del 2021 il bagno è tecnicamente fattibile ma serve una buona dose di coraggio in entrata e in ogni caso è una faccenda che può durare al massimo qualche minuto. Alcuni inglesi nuotano in mare aperto con mute e boe di segnalazione ma il periodo in cui qui l’acqua è più balneabile va in realtà da settembre a novembre, quando si placano gli alisei.

Particolarmente deprimente in Lanzarote è il resoconto della spiaggia di Famara, lungo litorale sabbioso costantemente battuto dal vento sul lato oceanico dell’isola e primo luogo di colonizzazione turistica da parte di pionieri norvegesi, poi gradualmente scomparsi. Houellebecq coglie tutta la bellezza del luogo ma anche come questa sia accompagnata da una sostanziale inabitabilità, un problema che vent’anni dopo sembra essere stato cancellato dall’esplosione di un costume allora meno diffuso: quello dello sport, e in particolare dello sport per famiglie. Per questo anche durante la pandemia Famara è popolata di gruppi di persone di tutte le età che praticano sport acquatici – principalmente surf e kite – e poi si riparano dietro ai mezzi bunker di pietra lavica che offrono protezione del vento oceanico.

Spiaggia di Famara (Foto Daniele Rielli)

Nell’abitato si alternano noleggi di attrezzature sportive, saloni massaggi, corsi di yoga e ristoranti. Sul massiccio alle spalle di Famara sorge Teguisa, piccolo paese a cui il marketing territoriale ha regalato il titolo di borgo tipico di Spagna, esibito su un cartello stradale, un luogo che in Lanzarote è sede dei mercatini hippie in cui l’altro personaggio principale del libro, il poliziotto belga Rudi, viene avvicinato dai membri della setta degli Azraeliani.

Fede e nichilismo libertario

Lanzarote è per molti versi una sorta di anticipazione sotto forma di resoconto viaggio di La possibilità di un’isola, uno dei capolavori di Houellebecq. In questo romanzo pubblicato cinque anni dopo Lanzarote riappare una setta, questa volta però colui che si interessa a essa è direttamente l’alter ego dell’autore: il tema del libro è la clonazione ma in senso più ampio il destino della specie umana dal giorno in cui riuscirà tecnicamente a eliminare la morte. Il fatto che la vita eterna passi attraverso il sacrificio dell’amore e del sesso, viste come forze sia di rinnovamento che di distruzione, dà origine a un mondo nuovo che ricorda, sia concettualmente che geograficamente, proprio i paesaggi vulcanici dell’isola di Lanzarote. In questo senso Lanzarote sembra una prima versione topografica di quelle idee che fioriranno definitivamente ne La possibilità di un’isola.

In Lanzarote Rudi è stato sposato con una donna araba che dopo un periodo di scambismo e altri libertinaggi sessuali lo ha abbandonato per abbracciare l’islam radicale. Sull’isola il belga è al tempo stesso sperduto e lucido, incapace di partecipare ai giochi erotici che sulla spiaggia di Papagayo l’alterego di Houellebecq intraprende con due lesbiche tedesche del loro stesso gruppo di viaggio. Il belga vede negli azraeliani una prospettiva di fede a cui abbandonarsi, che possa rivelarsi una truffa è un’eventualità che gli è chiara ma gli sembra comunque un problema minore rispetto alla prospettiva di una consolazione. Rudi organizza così la sua definitiva entrata nella setta – con cui, si scoprirà, aveva già avuto dei contatti precedenti – mentre il nostro si abbandona a un paio di giorni di piaceri erotico-affettivi con le tedesche. I due personaggi rappresentano le polarità tipiche di tutta l’opera di Houellebecq, sempre in equilibrio precario com’è fra nichilismo libertario e la disperata ricerca di una fede ormai persa per sempre.

L’esito di Lanzarote è probabilmente la cosa meno interessante del libro: Rudi così come altri membri della setta – ma non il profeta – vengono arrestati per pedofilia. È forse questo il punto in cui Lanzarote si dimostra più impreciso e datato, sull’idea, cioè, che le nuove religioni che sarebbero emerse al dissolversi dell’occidente nel suo individualismo avrebbero travolto tabù millenari e sarebbero state per molti aspetti qualitativamente diverse dalle precedenti, in una sorta di rifondazione dei valori che continua invece, oggi come allora, ad apparirci blasfema e irricevibile.

Al contrario, il mondo dell’iper-libertà occidentale è stato travolto negli ultimi anni da un’ondata rabbiosa di moralismo digitale, una nuova forma di bigottismo che assomiglia moltissimo a quelle precedenti e che fa sospettare che in fondo l’estremo grado di libertà individuale raggiunto sul finire del secolo scorso sia stato solo un’eccezione momentanea all’interno degli schemi sociali di un’animale – quello umano – che non sembra capace di fare a meno di norme di gregge e di cacce alle streghe, non foss’altro che come tecniche imperfette per porre un freno alla sua aggressività naturale.

Tempo sospeso

Come Houellebecq penso che il luogo più impressionante di Lanzarote non sia la spettacolare valle de la Geria – dove con laboriosità commovente vengono lavorate vigne sul suolo vulcanico – quanto il parco di Timanfaya, dove rimane, come cristallizzato, il paesaggio creato dalle eruzioni. Circa a metà del suo percorso l’autobus del tour si ferma in un canalone scavato nella lava solidificata e le voci preregistrate in spagnolo, inglese e tedesco parlano del proliferare in quella zona di licheni sulla pietra. Concentrandosi si riescono a vedere piccole macchie di colore nascoste dentro quel paesaggio brutale.

Un pomeriggio ho preso la macchina e invece che andare a correre sul lungomare come al solito ho guidato fino alla distesa di lava all’esterno del parco, ho scavalcato un cancello e ho corso per un sentiero sterrato che attraversava quel paesaggio nero, immobile da secoli, anni che danno un’illusione sensoriale di permanenza, di sospensione del tempo. La sera siamo stati ospiti di amici italiani che vivono sull’isola, ognuno con la sua storia di fuga. Ho fumato l’ottima erba prodotta da uno di loro e ascoltato le loro storie. Mi è parso per un momento di capire che cosa i vulcani, le spianate di lava lunghe chilometri così come l’assenza di storia e i blocchi di case a schiera, donino all’isola: la sensazione che qui la civiltà umana sia una presenza parziale, recente, sopportabile nella sua semplicità e sia sempre possibile contemplare quella pace minerale che è assieme morte e nuova origine.

Giorni dopo mentre l’aereo si abbassava sopra le campagne di Maccarese preparandosi all’atterraggio sono rimasto colpito dai campi verdi, dallo scattare ritmico degli impianti di irrigazione, dalle stalle piene di animali, dagli alberi. Non mi ero mai reso conto di quanti alberi ci fossero sul litorale romano, quanta vita. Prima di partire da Lanzarote avevamo fatto in tempo a visitare il Jameos del Agua, una grotta lavica riadattata da Manrique, sempre lui, che è una delle maggiori attrazioni turistiche dell’isola. Nello shop molto fornito del sito turistico non c’era traccia, in nessuna lingua, del libro di Houellebecq, c’erano invece svariate traduzioni del resoconto delle eruzioni di Don Andres Lorenzo Crubado, un testo che viene citato anche in Lanzarote, prima della parte fotografica del libro.

Quel mattino il parcheggio del Jameos del Agua era pieno delle auto a noleggio dei giornalisti arrivati dal continente. Nell’auditorium scavato nella roccia il ministro del Turismo spagnolo commentava le slide di un piano di rilancio, all’ingresso una manciata di suoi lacchè ammonivano severi i turisti di abbassare la voce; fuori, un inviato della tv di stato registrava il suo intervento a bordo di una piscina bianca. Sembrava la scena di un libro Houellebecq: non era al bookshop, doveva accontentarsi della realtà.

La Geria, la valle del vino vulcanico (Foto Daniele Rielli)

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