L’arroganza della destra al potere tracima con sempre maggior baldanza. Negli ultimi giorni i segnali di fastidio e irritazione per le posizioni degli avversari si sono accumulati. L’ineffabile senatore Calderoli, autore di una legge elettorale autodefinita «porcata» e appropriatamente etichettata Porcellum, ha intimato alle opposizioni di inchinarsi al nuovo potere: non si devono permettere di mettere i bastoni fra le ruote della gioiosa macchina da guerra meloniana.

Come un novello Brenno intima un vae victis agli sconfitti: devono chinare la testa di fronte ai nuovi padroni che graziosamente possono ascoltare le loro suppliche. Ancora peggio, se possibile, Maurizio Gasparri che, dall’alto della sua esperienza nel mondo della destra missina negli anni delle stragi e degli accoltellamenti, definisce «eversiva» la posizione di coloro che non plaudono ai progetti di riforma costituzionale del governo.

Infine, la stessa presidente del Consiglio, non paga di aver convocato a palazzo le sparse schiere dell’opposizione, poi ribadisce che andrà comunque per la propria strada indipendentemente dalle loro opinioni. A questo affresco non può mancare la tabula rasa in ogni ente pubblico dove, salvo casi sporadicissimi, vengono piazzati amici e famigli a prescindere dalle loro competenze.

E poi straparlavano di merito. Caso emblematico di questa razzia di posti, ma è un cogliere fior da fiore, la candidatura di Giampaolo Rossi a direttore generale della Rai. Non era bastato il putinista Marcello Foa voluto da Salvini nel 2018, ora è la volta di un cospirazionista, No-vax, e altrettanto puntinista.

Rossi, in linea con il manifesto ideologico di FdI (Le Tesi di Trieste) denunciava il complotto ordito per instaurare un «nuovo ordine mondiale», al centro del quale si staglia il finanziare di origini ungherese ed ebraiche George Soros, «speculatore globalista con il vizietto di destabilizzare governi democraticamente eletti» e sponsor della «grande sostituzione» per fiaccare la razza bianca: un uomo paragonato a Shelob, il «malefico essere a forma di ragno» della fantasy di Tolkien, autentico riferimento culturale della destra meloniana.

La destra al potere inquieta perché dimostra di essere ancora all’anno zero quanto a cultura istituzionale. Non solo i suoi uomini nel sottogoverno hanno fedine ideologiche tutt’altro che immacolate. Anche la visione dei rapporti politici risente di una sorta di machismo istituzionale per cui chi ha vinto le elezioni comanda e gli altri non possono far altro che accucciarsi.

L’opposizione è ammessa se la fa la brava, se non disturba troppo, se non alza voce. Se si adegua, insomma. Non può pretendere di insidiare la poltrona conquistata. L’insofferenza che esplode ad ogni critica serrata fornisce la cartina di tornasole di una maturazione democratica ancora di là da venire.

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