Non la reggevo, la Lollo. O meglio: non sopportavo la Gina Lollobrigida imbalsamata dell’ultima parte del secolo, con la sua collezione di parrucche iperboliche e la sua seconda vita di scultrice kitsch, una galleria inesauribile di Barbie che avevano tutte la sua faccia da giovane. Ammetto che della sua precedente fase da fotografa ignoravo tutto, ma mi sembrava finta come le sue creazioni, più adatte a un catalogo di giocattoli fantasy che a una galleria d’arte.

La folgorazione sulla via di Damasco è arrivata con un lungo viaggio in auto che avevo subito, in partenza, come una tremenda jattura. Nei trasferimenti di questo tipo di norma uno si concede il lusso della sciatteria. Lei no: mascherone impeccabile da ‘si gira!’ e centinaia di boccoli castano-rossiccio senza un capello fuori posto. Giusto per ingannare il tempo, si è cominciato a parlare. E di quella Gina, disarmante e disarmata, mi sono perdutamente innamorata.

Ossessione in comune

Succede di rado che una signora attempata ti snoccioli le sue memorie di sesso con esilarante libertà di dettagli, figuriamoci una star, pardon una stella del cinema, come si diceva ai tempi suoi. Nel caso specifico, ero spasmodicamente interessata ai souvenir di un set in particolare, quel Fanfan la Tulipe di Christian-Jaque che nel 1952 l’aveva imposta sugli schermi francesi al fianco del più sfolgorante mito dell’epoca, Gérard Philipe.

Dite quello che volete, ma non c’è gara: lui, forse anche perché è morto a 37 anni, resta il più bello di sempre. Scoprire di avere un’ossessione in comune è come trovare un’anima gemella. Philipe era il mio oggetto di culto personale e, a mezzo secolo di distanza dal film, il rimpianto più struggente di Gina. Ma è la comicità del suo resoconto che mi ha conquistato, i tentativi di infilarsi nel suo letto, respinta con perdite, che riferiva.

C’era una dose di autoironia fuori dal comune nelle cronache wild della Lollobrigida, una spudoratezza popolana senza schermi e senza veli. Il clou del suo ostinato lavoro di seduzione, del genere o la va o la spacca, avvenne la notte che gli si presentò in camera, immagina come, diceva lei. E fu a quel punto che il povero Gérard confessò, imbarazzato, che «sua madre non avrebbe approvato». Nessun rancore, ovviamente, nessuna recriminazione o sgarberia sulle opzioni sessuali del divo: solo, Gina rideva ancora fino alle lacrime del proprio abbaglio.

Puoi non voler bene a una donna così? Nell’età in cui le anziane celebrities fanno il maquillage alla propria epopea lei era fresca e ruspante come la Bersagliera di Pane, Amore e Fantasia, titolo familiare perfino ai millennial perché RaiMovie, a corto di repertorio, lo ripassa in media una volta al mese.

La sfida con Sofia

È più o meno allora che tra le due dive del nostro Dopoguerra, Gina e Sofia, ho definitivamente e ufficialmente optato per la Lollo. Popolana per vocazione, irruenta e autentica, meno maggiorata e risolutamente meno decisa a costruirsi una patina di distinzione tardiva, la Lollo è tramontata in anticipo come tutti i suoi film. E le incazzature accumulate nel tempo non le taceva, tutt’altro, anche se sarebbe stato più elegante soprassedere.

La faccenda de La Ciociara, per dire, non l’ha mai digerita. E anche questo mi piacerà sempre di lei, il coraggio di sfrugugliare senza mezzi termini in quello scacco plateale che ha segnato, con l’Oscar, il sorpasso definitivo dell’icona Loren. «La Ciociara ero io, come poteva essere napoletana?», diceva Lollo, con qualche ragione.

Gina era viva. Usava i parrucconi da madame Pompadour non per resistere al tempo ma per beffarlo. Aveva accettato il tramonto senza sentirsi sconfitta, e senza abdicare alla propria libertà di parola. La crosta esterna, ritoccata fino al grottesco, era il suo obolo al pubblico invecchiato con lei. Ma apriva bocca solo per proclamare a gran voce, come la Bertè, «Non sono una signora».

Lollo somiglia più ai suoi tanti film brutti che ai pochi belli. Appartiene gloriosamente a un’epoca di cinema brutalmente, onestamente, di consumo e senza pretese. Andrea Balestri, il ragazzino Pinocchio di Luigi Comencini, la prendeva a sassate sul set, perché non la digeriva come Fata Turchina.

Non è leggenda, è storia certificata. Con la Loren, probabilmente, non lo avrebbe mai fatto. Le mancava quell’aureola da divinità che incute soggezione. Non è da tutti saper sorridere delle sassate e restare terreni.

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