Su Paolo Simoni, direttore della fondazione Home Movies - Archivio nazionale del film di famiglia, è piovuto un inaspettato colpo di fortuna. Due settimane prima della annuale rassegna “Archivio aperto” la scrittrice francese Annie Ernaux ha vinto il premio Nobel per la letteratura. E la coincidenza è servita ad attirare l’attenzione sul meritorio e poco conosciuto archivio di Bologna che da 20 anni raccoglie i filmini di famiglia, quella peculiare autobiografia della nazione scritta per 70 anni da madri e padri con le loro cineprese a passo ridotto. Infatti Ernaux era stata invitata molto prima della gloria globale a presentare il suo primo film, Les Années Super 8, realizzato a partire dai film di famiglia girati con il marito. E ha mantenuto l’impegno.

Intorno ai film a passo ridotto si intrecciano due fenomeni. Da una parte una forma potente di arte cinematografica, dall’altra il recupero della portata collettiva e quindi storica della memoria visiva privata.

Due soli esempi di che cosa vuol dire costruire un’opera d’arte con il cosiddetto “found footage” (letteralmente “pellicola ritrovata”). Alla rassegna bolognese la regista americana Courtney Stephens ha presentato il suo ultimo film Terra Femme, basato su una lunga ricerca negli archivi di home movies in giro per gli Stati Uniti. Ha messo insieme e raccontato film amatoriali, girati tra gli anni Venti e Cinquanta del secolo scorso in giro per il mondo da donne americane, in genere ricche. Il messaggio arriva in modo convincente: un occhio addestrato sa riconoscere se un film è girato da un uomo o da una donna, e una donna con una cinepresa in mano racconta per prima cosa il suo sguardo e quindi, sia pure involontariamente, la propria emancipazione culturale. Sempre a Bologna, appassionati e studiosi hanno potuto vedere Il processo di Kiev. Il regista di origine bielorussa Sergei Loznitsa ha trovato, restaurato e montato i filmati e le registrazioni audio del processo celebrato nella capitale ucraina nel gennaio 1946 contro 15 criminali nazisti accusati di atrocità contro il popolo ucraino e in particolare contro gli ebrei, compreso il massacro di Babij Jar in cui nel 1941 furono massacrate 33mila persone. Il film si conclude con la scena abbastanza impressionante dell’impiccagione di tutti i condannati nella piazza centrale di Kiev circondata da montagne di macerie. Niente più di un documento originale ricostruito filologicamente attraverso il restauro e la sincronizzazione dell’audio fino a trarne un film in bianco e nero che sembra girato oggi. Eppure è proprio dalla freddezza documentaristica del montaggio che il film trae la sua forza emotiva e quindi artistica.

Il diario

Poi c’è l’aspetto diaristico dell’archivio di Bologna, che è forse quello più promettente in termini culturali. La fondazione Home Movies, che già nel 2011 ha ottenuto dal ministero dei Beni culturali il riconoscimento come archivio di interesse storico, si può considerare la versione 8 millimetri dell’Archivio diaristico nazionale di Pieve Santo Stefano. Nella cittadina toscana si raccolgono i diari scritti dalla gente comune, a Bologna si raccolgono i cosiddetti filmini, di cui ormai solo gli over 35 hanno memoria diretta. Chi porta i propri film di famiglia all’archivio ottiene in cambio una più pratica copia digitale. Si è così formata una collezione di oltre 30mila pellicole provenienti dai cassetti e dalle cantine di oltre 1.500 famiglie. E sullo sfondo la storia d’Italia e non solo. I filmati montati da Loznitsa raccontano la deportazione degli ebrei dall’Ucraina ad Auschwitz, e l’archivio di Bologna racconta la stessa deportazione vista da un italiano, il sottotenente Enrico Chierici, fotografo e cineamatore genovese. Fa parte del Genio fotografi dell’esercito e nel 1942 viene spedito in Russia con un treno che parte da Bologna il 9 giugno, direzione Stalino (l’attuale Donetsk). Lui filma tutto. Il 14 giugno alla stazione di Barujsk, in Bielorussia, incontra e filma un treno merci carico di ebrei in viaggio verso le Germania. Inquadra tre adolescenti affacciate a una fessura del carro. Le tre ragazze ridono.

Nell’archivio di Bologna c’è anche la collezione dei filmini del signor Ermanno Acampora di Meta di Sorrento, che ha impressionato 150 ore di pellicola dal 1929 al 1990, tra cui le immagini del set di Pane, amore e... (uno dei leggendari film della serie con Vittorio De Sica e Sofia Loren protagonisti), girate a Sorrento nel 1953.

C’è poi una perla ancora inedita, un film amatoriale girato a Roma tra il 4 e il 5 giugno 1944, i giorni in cui gli americani entrarono a liberare la capitale. Noi conosciamo le immagini ufficiali, quelle delle camionette americane che sfilano tra ali di folla festante. Ma Adriano Agottani, allora 44enne, ci ha lasciato il suo punto di vista popolare, donato all’archivio di Bologna dal genero. Un quarto d’ora di pellicola che ci racconta la sua giornata della liberazione. Le prime immagini filmate dalla finestra sulla strada dove c’è uno strano e convulso movimento di auto e camion. Non si capisce che cosa stia succedendo, se i tedeschi siano andati via davvero e se sia prudente uscire.

Poi le immagini di Roma incredula, senza fanfare, sospesa tra euforia e paura. Agottani scende in strada, riprende il crescente entusiasmo del popolo liberato, va fino al Colosseo dove c’è la sfilata festosa degli americani, poi cammina fino a via Tasso, carcere e caserma delle SS dove i tedeschi rinchiudevano e torturavano gli oppositori. Le porte sono spalancate, le celle finalmente vuote. Ma Agottani ci lascia un altro prezioso documento, di poco precedente alla liberazione. Racconta Mirco Santi, responsabile del laboratorio di restauro: «C’è la prima comunione di sua figlia, e lui la riprende con la basilica di San Giovanni sullo sfondo. Ma dietro la bambina si vede un’immagine straniante, l’intera immensa piazza che oggi accoglie manifestazioni con 200mila persone è un campo di grano pronto per la mietitura». In un fotogramma la fame di guerra.

Il valore storico

Gli animatori della fondazione Home Movies ci credono e hanno ragione. Il loro archivio merita di essere arricchito dai privati che trovano in casa della nonna deceduta la classica scatola di scarpe con le pellicole e non sanno che farne. E merita anche di essere assistito da finanziamenti pubblici adeguati: per la semplice ragione che lì si sta depositando un pezzo fondamentale della memoria collettiva del XX secolo. Gli storici del Medioevo e dell’Età moderna darebbero un occhio per avere il filmato di un contadino che semina nel 1757 o di un pescatore che salpa nel 1312. Certo, di materiale video del Novecento ce n’è moltissimo, basti pensare all’archivio dell’Istituto Luce o, a partire dagli anni Cinquanta, agli archivi Rai.

Ma anche dal filmino Super 8 del bimbo che soffia sulle candeline gli storici del futuro, quando non ci saranno più i testimoni diretti, potranno trarre una messe di informazioni preziose sul nostro modo di vivere di ieri e dell’altro ieri. Gli storici della società e della cultura dovrebbero affiancare gli storici del cinema nella cura dell’archivio di Home Movies: non si tratta solo di catalogare le pellicole, ma di arricchire i documenti con le testimonianze di chi le consegna, e di censire le informazioni che ogni fotogramma contiene per consentire in futuro di fare le ricerche. Sarà utile sapere il contenuto delle pellicole, quali città, quali strade, quali animali, quali piante, quali mobili e quali elettrodomestici si vedono. L’appuntamento obbligato è con l’intelligenza artificiale, capace di riconoscere tutto ciò che vede, fino a dare un nome alle persone riprese.

Il 2023 sarà l’anno decisivo per i progetti della fondazione bolognese. Scocca il centenario del piccolo formato. Nel 1923 la casa francese Pathé lanciò la pellicola da 9,5 millimetri e la piccola cinepresa portatile alla portata delle famiglie, naturalmente di quelle benestanti. Poi sono venuti i formati 16 millimetri, 8 millimetri e l’ultimo, il più facile ed economico, il Super 8. Le famiglie italiane si sono fatte l’autoritratto cinematografico fino agli anni Novanta, quando le telecamere prima e gli smartphone poi hanno mandato in soffitta, letteralmente, la pellicola amatoriale.

L’idea è di celebrare il centenario pubblicando ogni giorno, per tutto il 2023, uno spezzone di pellicola girata proprio quel giorno in uno dei 70 anni dell’epopea dell’home movie. Un modo per convincerci che quel patrimonio merita di essere salvato.

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