A vent’anni può capitare di innamorarsi di certi poeti o scrittori con la stessa intensa passione riservata alle rock star, e a me è successo con Lawrence Ferlinghetti, durante il primo anno di studi universitari. Come per tutti i grandi amori, gli anniversari sono momenti importanti, e se da un lato sono già quattro anni dalla scomparsa del poeta – che si è spento a due secoli dall’amato Keats, all’età di centouno anni – dall’altro ne contiamo settanta dal suo esordio, avvenuto nel 1955 con Fotografie del mondo perduto. Per celebrare questa ricorrenza speciale, da qualche settimana la casa editrice Sur ha portato in libreria proprio quelle poesie – mai pubblicate prima in Italia – nella traduzione di Marco Cassini.

Gli incontri

La prima volta che ho incontrato Lawrence, il suo nome era dentro una nota a margine di Big Sur, uno dei romanzi più oscuri di Jack Kerouac. In quella storia compariva come Lorenzo Monsanto, l’amico editore del protagonista: per salvare lo scrittore di On the road, travolto dalla fama e dalla dipendenza dall’alcol, Lorenzo aveva deciso di prestargli la sua cabina sull’oceano in quel tratto di costa rocciosa poco distante da San Francisco.

Siamo all’inizio degli anni Sessanta, e Ferlinghetti aveva già aperto la City Lights, la libreria sulla Columbus Avenue, nel quartiere di North Beach, che insieme al Caffè Trieste e al bar Vesuvio, a partire dal 1953 si era aggiunta a completare un triangolo magico per la scena letteraria di quel periodo. Proprio lì, in quella piccola porzione di mondo, un agglomerato di poeti, artisti e musicisti è passato alla storia come il movimento della Beat Generation, anche se, come tutte le etichette, anche questa sarebbe andata stretta un po’ a tutti.

La seconda volta che ho incontrato Lawrence Ferlinghetti, l’ho trovato citato in una prefazione al poema Howl, L’Urlo di Allen Ginsberg. I due poeti si erano conosciuti alla Six Gallery di San Francisco durante una serata di reading. Era il 1955. Ferlinghetti aveva esordito da pochissimo con la sua prima raccolta di poesie – Pictures of the gone world – e lo aveva fatto inaugurando la Pocket Poets Series, una collana di poesia da lui diretta, nella quale avrebbe pubblicato proprio Ginsberg l’anno successivo. «Ti saluto all’inizio di una grande carriera» – gli aveva scritto non appena tornato a casa – «quando mi mandi il manoscritto?».

L’idea del giovane Ferlinghetti era quella di creare libri tascabili di qualità che potessero avvicinare la letteratura al maggior numero di persone possibile. «Poets, come out of your closets, open your window, open your doors», recitano i versi di Populist manifesto, una poesia del 1976 che riassume in sé il principio fondativo dell’intera attività di Ferlinghetti poeta ed editore. La parola populist – un termine che oggi è arrivato a darci i brividi – viene svuotata e poi rigenerata a contatto con la poesia, portando con sé l’idea – il programma – che la bellezza della letteratura debba essere di tutti, libera dalle pagine dei libri e dalle accademie. «Tutto sta a far tornare la poesia per le strade, dove un tempo stava», dirà Ferlinghetti in un’intervista del 1958.

L’accusa di oscenità

La pubblicazione di Urlo senza dubbio riuscì a far uscire la poesia dalla pagina stampata, ma non prima di un passaggio in tribunale. Il poema di Ginsberg era stato pubblicato nel 1956, in piena atmosfera maccartista, e il suo editore, l’autore e il poema stesso erano stati attaccati con l’accusa di oscenità.

In quell’occasione Ferlinghetti difese la sua scelta davanti al giudice dimostrando l’alto valore artistico dell’opera e uscendone vincitore. Il processo era stato anche un’ involontaria tanto quanto fortuita mossa di marketing, perché da quell’esperienza sia Ferlinghetti che Allen Ginsberg guadagnarono una visibilità fuori dal comune. Nel 1958, sulla scia della notorietà acquisita sui giornali che avevano seguito il suo caso, Lawrence Ferlinghetti pubblicò con New Direction la sua seconda raccolta poetica, A Coney Island of the Mind. Ancora oggi, con oltre un milione di copie vendute, il libro rimane uno dei maggiori long seller di poesia a livello mondiale.

Dopo aver letto tanta mitologia intorno al poeta ed editore della Beat Generation, un giorno ho trovato a Port’Alba un’antologia che metteva insieme alcune delle sue poesie, e ne ho aperta una pagina a caso. Da quel momento dei miei vent’anni, non ho mai più smesso di cercare il nome di Ferlinghetti nella sezione poesia delle librerie o nei mercatini di libri usati. Leggere i suoi versi, a distanza di anni, mi ricorda il motivo per cui a un certo punto ho pensato che la letteratura potesse salvarci tutti, in un modo tutto umano e terreno. Del resto, fin dall’inizio, Lawrence Ferlinghetti concepisce la poesia come atto salvifico, il poeta come un esploratore che porta via un tesoro antico da un tempio che sta per crollare, e lo regala al mondo.

Il soldato

Prima di dedicare la sua vita alla letteratura, Lawrence era un giovane americano che ignorava le sue origini italiane ed era cresciuto col cognome mutilato in Ferling, molto più adatto, secondo suo padre, alla vita nel Nuovo Mondo. Dopo essersi arruolato in marina, aveva partecipato allo sbarco sulle coste della Normandia, passato poi alla storia come D-Day, ma furono l’orrore della bomba atomica e le sue conseguenze sulla popolazione e sul paesaggio giapponese a trasformare l’uomo in un convinto pacifista dal forte spirito anarchico.

Da quel giorno la poesia di Ferlinghetti ha scandagliato la bellezza nascosta dell’umanità mettendola al sicuro nella poesia. I suoi versi hanno celebrato l’amore, l’assurdità, la fragilità sottraendoli al disfacimento e allo squallore. Ho sempre pensato che fosse tutto qui il senso di Pictures of the gone world, il titolo di quella prima raccolta. «Il mondo è un posto meraviglioso in cui nascere / se non vi secca che la felicità non sia sempre così divertente / se non vi secca quel pizzico d’inferno di tanto in tanto / proprio quando tutto sembra filare liscio».

Il mondo è un posto meraviglioso, straordinario, scriveva il poeta al suo esordio, mentre negli occhi ancora aveva il disastro nucleare. Allora quel mondo perduto non è tale perché non esiste più, ma perché lontano dalla grazia, gone, per sempre segnato dagli orrori che lo hanno attraversato.

Le Fotografie di quella prima raccolta sono preziose polaroid rimaste custodite per settant’anni dentro una scatola: immagini luminose, surreali, a volte ironiche, di quanto ancora può essere salvato. C’è il gesto quotidiano di una donna che si sporge oltre la finestra nella luce del mattino per stendere le lenzuola insieme a «l’ultimo dei suoi peccati appena sbiancati»; c’è l’amore sensuale dei giovani e quello giocoso e fragile delle persone anziane; ci sono Dante e le poesie di René Char, quelle di Rimbaud e di Yeats, e poi i quadri di Picasso e di Sorolla; c’è un gruppo di bambinaie a Central Park che di nascosto si infilano le dita nel naso in un gesto di ribellione dadaista.

ANSA
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Il surrealismo e l’ironia

Come ricorda Cassini nella bella prefazione all’edizione italiana di questo esordio, il poeta ed editore amava definirsi uno stand up tragedian, un termine che esemplifica in modo perfetto il modo in cui era solito usare l’ironia per denunciare la tragicità della condizione umana e le atrocità dei totalitarismi.

Il surrealismo, una volta lontano dall’Europa, con Lawrence si conferma sinonimo di anarchia, una presa di posizione in favore del gioco fantastico contro le trame di un positivismo attraverso cui erano passate anche le più grandi tragedie del Novecento. Ferlinghetti è scomparso all’età di centouno anni il 22 febbraio del 2021. Da allora, a San Francisco esiste una strada che porta il suo nome e il Ferlinghetti day viene celebrato ogni 24 marzo, il giorno del suo compleanno. Ricordare questo autore e ritornare alle sue poesie oggi è una forma di risarcimento tutto terreno che possiamo concederci mentre attraversiamo una realtà sempre più ostile alla Bellezza intesa come comunione tra esseri umani contro tutti i fascismi del mondo.

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