Le amazzoni erano «un gruppo di donne armate di scudi d’oro e asce d’argento che amavano gli uomini e uccidevano i bambini». Ellanico di Lesbo, storico del V secolo a.C., con questo elenco di abitudini probabilmente non intendeva fare dei complimenti alle amazzoni. Tuttavia, leggendolo mi è subito venuta voglia di unirmi a loro.

Non è l’unica descrizione di queste donne guerriere che potrebbe spingere il lettore a chiedersi quanto la disapprovazione, nell’interpretazione della loro storia, sia in lizza con il desiderio.

Se Ellanico mirasse solo a comunicarci la prodezza militare delle amazzoni e le loro abitudini barbare, non avrebbe bisogno di nominare la passione per gli uomini, a meno che (cosa assai probabile) in una donna amare gli uomini non sia considerato segno di natura barbara. Inoltre, quando afferma che sono assassine di bambini, vuole solo spiegare perché la loro comunità sia unicamente femminile: in un modo o nell’altro, devono sbarazzarsi dei nati maschi.

I greci subivano il fascino di queste donne, barbare in contrapposizione a loro, spesso in lotta contro di loro. Dopo Eracle, le amazzoni sono la seconda figura mitologica più celebre di cui abbiamo riscontro nelle decorazioni vascolari.

Un gruppo

Ve ne compaiono infatti più di mille, e su quegli stessi vasi sono dipinti anche più di sessanta nomi di guerriere. Cosa c’era dunque di speciale in queste donne da renderle così irresistibili per gli scrittori antichi e, in particolare, per gli artisti? E quando le abbiamo perse di vista? La maggior parte di noi potrebbe nominare Eracle, Teseo o Achille, ma le amazzoni a cui ogni eroe era associato – Ippolita, Antiope e Pentesilea – vengono ricordate molto meno. E, quando accade, di rado è per una buona ragione. Tuttavia, dobbiamo pensare a loro come a una tribù, o un gruppo. Perché una delle cose più importanti in merito alle amazzoni è la loro natura collettiva: di solito, infatti, le si trova insieme.

Questo è un contrasto netto rispetto alla mentalità del vincitore solitario che prende tutto per sé e che pervade l’ethos dell’eroe maschio, come accade nella guerra di Troia. Consideriamo per esempio Achille, nel libro primo dell’Iliade di Omero: ritenendo che il suo onore sia stato infangato da Agamennone, implora la madre (la ninfa del mare Teti) di intercedere presso Zeus così che sostenga la causa dei troiani, ovvero dei nemici.

I soldati greci, che un attimo prima erano suoi compagni, adesso sono danni collaterali nella sua missione di ricerca della gloria personale. In altre parole, la mentalità eroica dei greci che combattono a Troia è intrinsecamente egoista ed egocentrica. Esistono delle eccezioni (per esempio, la devozione di Achille nei confronti di Patroclo e il desiderio di quest’ultimo di curare i compagni feriti), ma sia l’Iliade di Omero che l’Aiace di Sofocle ci mostrano un tipo di eroe profondamente individualista. E se vogliamo valutare quanto Odisseo fosse un buon leader, consideriamo quanti itacesi salpati da Troia insieme a lui sono poi tornati a casa. La risposta è: nessuno. Odisseo è un eroe in virtù delle sue personali avventure, delle sue schermaglie con vari mostri e dei suoi contrattempi.

Al contrario di questi uomini, le amazzoni combattono l’una a fianco all’altra. Quando nel Seguito dell’Iliade di Quinto Smirneo, durante la fase più avanzata del conflitto troiano, Pentesilea decide di affrontare Achille, viene accompagnata da dodici amazzoni. Quinto elenca tutti i loro nomi. È proprio la loro natura intensamente tribale che aiuta a tenerle vive in battaglia – nei vasi dipinti e nelle sculture a noi pervenute le amazzoni generalmente vengono mostrate mentre guerreggiano insieme –, ma questa lealtà può anche mettere a repentaglio la loro sicurezza.

Anche se i decoratori di vasi indicano dozzine di nomi, sono solo un paio le amazzoni di cui ricordiamo le storie. Tra queste, Ippolita è oggi forse la meglio conosciuta. Ippolita era la regina delle amazzoni e la figlia di Ares, dio della guerra. Non solo eredita dal padre l’arte del combattimento (il poeta epico Apollonio Rodio la chiama philoptolemoio, «amante della guerra»), ma da lui ha anche avuto in dono una celebre cintura: lo Pseudo-Apollodoro la chiama Areos zōstēra – «la cintura di Ares». Si tratta della cintura che Eracle (il suo nome non diventa Ercole finché non se ne appropriano i romani) cerca nella sua nona fatica.

E che, in modo piuttosto irritante, i traduttori inglesi hanno tendenzialmente descritto come il corsetto di Ippolita. Questa traduzione sarebbe una scelta bizzarra perfino se, come Puck in Sogno di una notte di mezza estate, stessimo pensando a un corsetto adatto a tutti i generi, da avvolgere attorno alla terra in quaranta minuti (sebbene per molte persone, oggi, la parola “corsetto” si riferisca solo a un tipo di biancheria intima indossato dalle donne della generazione di mia nonna).

È dunque un enorme peccato vedere Ippolita distorta e sminuita da questo slittamento linguistico. Non indossa un indumento intimo restrittivo, e neanche un semplice laccio attorno alla vita, bensì una cintura di guerra. La parola greca usata per descriverla è zōstēr: esattamente la stessa che indica la cintura di guerra che un guerriero maschio veste per tenere le armi allacciate al fianco.

La parola adoperata per la cintura femminile è invece zōnē, che non ha connotazioni militari. Non è la prima volta in cui vediamo che una traduzione precisa dal greco all’inglese è stata sacrificata con il proposito di rendere le donne meno allarmanti (e anche meno straordinarie). Euripide, lo Pseudo-Apollodoro, Apollonio Rodio, Diodoro Siculo e Pausania usano tutti la parola zōstēr. Per tutti questi uomini, Ippolita è una guerriera pura e semplice.

Anzi, non è pura e semplice: è carica di decori e ricchi ornamenti. Le amazzoni, infatti, si distanziano dalla rispettabilità delle norme greche per le loro scelte in tema di vestiario, la loro società esclusivamente femminile e la padronanza delle arti della guerra. Diversamente dagli uomini e dalle donne greche, che indossano tuniche di varie lunghezze e con drappeggi sulle gambe nude, le amazzoni portano tuniche corte sopra a pantaloni aderenti.

Buffy, l’amazzone

Se cerchiamo riproposizioni contemporanee delle guerriere amazzoni, allora Wonder Woman ha una sua omologa californiana che è all’altezza per coraggio, forza e abilità: Buffy l’ammazzavampiri.

Non solo la Buffy di Joss Whedon è una degna avversaria per qualsiasi vampiro, ma possiede anche una caratteristica veramente inusuale nei guerrieri: è divertente. In genere, l’ironia non è un tratto apprezzato tra i combattenti. Di solito sono ammirati per la forza, la velocità o il coraggio. Il combattente arguto è invece un fenomeno moderno, che ha davvero preso piede solo con i film sui supereroi.

I combattenti cinematografici un tempo erano forti e silenziosi, come Clint Eastwood e John Wayne. Solo occasionalmente si concedevano di essere oggetto di una battuta per un bene superiore. Nei film d’azione la maggioranza degli eroi è composta da uomini (almeno fin dalla scomparsa della commedia demenziale), e allo stesso modo è ai personaggi interpretati da questi ultimi che vengono assegnate battute divertenti. Buffy ha infranto molte di queste regole quando ha fatto la sua apparizione a Sunnydale, in California, in qualità di prescelta, pronta a combattere per salvare il mondo, ma anche pronta a fare il provino per la squadra delle cheerleader.

(...)Proprio come le sue antenate amazzoni sono comparse in poesia, prosa e arte, Buffy è un fenomeno multimediale: film, televisione, musical, videogioco, fumetto e molto altro. Ci sono molte ragioni per cui questo programma continua ad avere risonanza ad anni di distanza dalla sua fine, non tra le ultime l’arco narrativo echeggiante la vicenda delle amazzoni nella stagione finale. All’alba della settima stagione, Buffy ha salvato il mondo molte volte, e lei e la sua squadra decidono che c’è un’alternativa.

Per mezzo di un raro amuleto e di un incantesimo, ogni potenziale cacciatrice nel mondo può essere resa davvero tale. La prescelta adesso non è più sola, perché le prescelte sono molte. Buffy può fare un passo indietro dal continuo massacro di demoni, perché ora aiuta ad addestrare molte altre giovani donne affinché possano combattere al posto suo.

Il messaggio è semplice: le donne sono più forti insieme che separatamente, anche quelle che hanno dei superpoteri. E questo è ciò che rende Buffy un’amazzone contemporanea: può avere un talento unico, come Pentesilea, ma si tiene alla larga dalla gloria individuale. Il suo status non è minacciato dall’insurrezione di più donne eroiche, ma, al contrario, ne viene reso più solido.

Le amazzoni – anche quando una di loro è particolarmente eccezionale – sono una squadra, una tribù, un gruppo, ed è questa idea che Buffy cattura in modo così perfetto: un gruppo di donne che combattono insieme per salvarci.

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