Litigavano spesso. Urlavano, lui batteva i pugni e gridava «Io sono il padrone di Corinto, io sono Periàndro!  Te, Melissa, ti ho raccolto per la strada». Urlava anche lei con gli occhi infiammati, pazza di gelosia, insultava qualche rivale assente.

Spesso, fuori di sé, Periàndro la scaraventava a terra, e allora Melissa passava dalle urla ai singhiozzi. Lui si chinava e la consolava, come se la furia gli fosse del tutto passata. Si rialzavano, uscivano abbracciati. Quante volte li ho visti così!

Però quella sera il destino ha deciso diversamente. Continuavo a riempirgli la coppa: ero il suo coppiere personale e prima assaggiavo il vino per vedere se fosse avvelenato. Periàndro aveva bevuto troppo era paonazzo, e lei continuava a gridare e insultarlo. D’improvviso lui afferrò uno sgabellino d’avorio e lo scagliò con tutta la forza. La colpì vicino all’orecchio: cadde senza un grido, con un filo di sangue che usciva da un angolo della bocca. Morta. Lui rimase immobile, come inebetito. La guardò un attimo e uscì barcollando.

Poi rientrò e sembrava più calmo, anche se era pallidissimo. Ordinò che fosse deposta sul suo letto, così com’era. Per tutta la notte andò a sdraiarsi al suo fianco, la baciava, farfugliava parole sconnesse come se fosse viva. Che cosa abbia poi fatto non lo so: mandò via tutti e stette accanto a lei per ore, sinché uscì dalla stanza con gli occhi del pazzo. La cosa strana era che passavano i giorni e il cadavere non si corrompeva. Sembrava davvero viva, solo gelida come il ghiaccio. Periàndro fece venire un pittore e volle che dipingesse il suo ritratto, subito. Gli ordinò di dipingerla sorridente. Infine, dopo una settimana, la fece portare via e bruciare sul rogo, senza altre cerimonie.

La nuvola di vapore

«Tutte le notti la stessa cosa. Mi addormento, e l’ultima cosa su cui i miei occhi si posano è il ritratto di Melissa. Sembra che sogghigni. Poi mi sveglio nella notte, le lampade si estinguono d’un tratto e nella stanza tutto è buio; alla stessa ora, sempre. Dal ritratto comincia a formarsi una nuvola di vapore che si raggruma in una figura bianca, e mi compare lei, ma con gli occhi vuoti. Si avvicina, mi tocca, sento un gelo mortale entrarmi nelle ossa. Cerco di sottrarmi, ma quel gelo mi immobilizza; vorrei chiamare aiuto, ma le parole si bloccano sulla lingua; vedo i suoi occhi bianchi chinarsi su me ho l’impressione che il mio corpo diventi anch’esso di vapore. Mi mormora all’orecchio: sono nuda, ho freddo. Poi torna a svanire e farsi nebbia.

Mi sveglio urlando: il ritratto è lì al suo posto, colorato, e sorride. Tutte le notti. La mattina cerco di nascondere il mio tremore ai servi, ma quando mi specchio vedo che ho il viso quasi giallo.  Ho fatto chiamare esorcisti, indovini. Niente. Ritorna tutte le notti. L’ultimo indovino ha preparato un incantesimo. Niente. È tornata. Quel cialtrone, l’ho fatto crocifiggere».

«Mi chiamò in disparte. Tu, Melas – disse – sei il mio uomo fidato, il mio coppiere. Ho un incarico per te, e il premio sarà grandissimo. Conosci quel luogo nelle terre del nord che si chiama Efira?» Un brivido mi passò per la schiena. Lo conosco, padrone, risposi, come tutti.  Si dice che lì vi sia un oracolo dei morti. I sacerdoti richiamano le ombre dall’Ade, le anime vengono e parlano. È un luogo dove tutto odora di morte, eppure c’è gente che ci va. Anche tu andrai, rispose con un sorriso cupo.

Voglio sapere che cosa mi sta dicendo Melissa. Perchè quella frase? Che cosa mi chiede? Come faccio a rimandarla per sempre nel mondo gelato da cui viene? Ecco, questo dovrai chiedere, e riferirai solo a me. Ti darò offerte da portare, argento, oro. Per te ce ne sarà tantissimo quando tornerai. Ma stai attento, riferisci bene e porta la risposta giusta, o è meglio per te che non torni.

Così disse, e dovevo obbedire. Ormai lo vedevo quasi folle, la sua naturale ferocia si era esaltata; in quei mesi molti furono mandati a morte per piccoli motivi. Il sangue scorreva, a Corinto.

Da quando Melissa era morta una cappa nera pesava sulla città.
È un luogo tetro, Efira, non ha i colori smaglianti del nostro mare, né un porto dove i marinai si ubriacano e la gente danza. C’è una spiaggia bassa bordata di cipressi, l’acqua della baia sembra marcia. Soffia un gran vento gelido. L’oracolo dei morti è poco distante, si vedono le baracche dei pellegrini alloggiate attorno a un edificio basso. I sacerdoti hanno visi bianchi e lunghi, sono completamente rasati, portano cappucci sulla testa e una lunga veste nera. Sembrano anche loro cadaveri.

Offrii le vittime richieste e più ancora, un intero gregge di capre; e inoltre aggiunsi i vasi d’argento e d’oro che mi aveva dato Periàndro. Avrebbero avuto da mangiare per mesi, quei morti viventi! Uno scavò una gran fossa in terra e lasciò colare il sangue dalle vittime, che ribolliva lì dentro. La terra lo assorbiva avidamente. Pronunciarono parole incomprensibili, gridarono molte volte il nome di Melissa, poi mi fecero scendere da solo in una caverna illuminata solo da un piccolo braciere. Sentivo sopra i loro piedi che danzavano sopra il mio capo, fuori dalla grotta, e il nome di Melissa pronunciato come una cantilena, decine di volte.

Infine, il braciere diede una fiammata e dalle fiamme comparve il suo viso. Era un fantasma bianco, con occhi vuoti. Cominciò a lamentarsi: Periàndro (disse) l’aveva uccisa e poi offesa anche dopo la morte. Ha messo il pane in un forno freddo. Sì, mi ha posseduta anche dopo la morte, si è gettato sul mio cadavere come se fossi ancora viva, per molte volte, e piangeva e digrignava i denti; sinché non è uscito barcollando. Di tutte le splendide vesti che possedeva nemmeno una è stata bruciata con me sul rogo. Le altre anime mi deridono, come se fossi una povera pescivendola. E giù fa un gran freddo. La fiamma si spense, l’immagine scomparve.

Un cumulo di vesti

Tornai a Corinto e riferii le sue parole una per una a Periàndro, ma non parlai del suo atto terribile sul corpo di Melissa, avevo paura a svelare quel segreto. Vesti! Bisognava compensarla così. Ma in modo eccessivo, grandioso, degno di loro e della loro passione.  Quello che escogitò nessuno lo crederebbe. Fece proclamare una festa per Era, riservata alle donne...»

«...eravamo lì tutte insieme, ragazze, vecchie, donne sposate. A un tratto sentimmo un segnale di tromba. Vidi la folla ondeggiare e donne che correvano. Un’orda di mercenari traci aveva bloccato ogni uscita. Sghignazzavano e ci strappavano le vesti; già che c’erano, predavano anche i gioielli. Donne correvano nude, urlando e piangendo per la vergogna. Sentii qualcuno che mi afferrava. Vidi un volto crudele che si chinava di me, mi strappò il peplo. Cercai di trattenerlo, ma lui tirò forte e me lo tolse tutto a brandelli. Corsi via, con le altre. Le strade erano piene di mercenari con le spade sguainate, cercavano solo qualcuno da uccidere. I nostri padri e mariti non potevano fare nulla. Per fortuna quel barbaro non mi rubò la collana d’oro».

Il cumulo delle vesti era altissimo, migliaia di mantelli, pepli, stole ricamate d’oro e di porpora. Arrivò Periàndro con una torcia e appiccò il fuoco. Le fiamme bruciarono tutto. Ora Melissa non avrebbe più avuto freddo.

Quella notte Periàndro si addormentò a cuor leggero. Il fantasma non sarebbe più comparso. Si svegliò di soprassalto. Nell’angolo della stanza il ritratto si stava animando. Periàndro chiuse gli occhi, li riaprì terrorizzato. Era Melissa, con occhi vuoti e bianchi, vestita di una bellissima stola. Si avvicinò e in mano teneva uno sgabello d’avorio. Il giorno dopo il coppiere entrò nella stanza. Trovò Periàndro morto con gli occhi spalancati e un’espressione orribile sul volto. Accanto al letto, rovesciato, uno sgabello d’avorio.

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