Hans von Marées (Eberlfeld,1837- Roma,1887), certamente tra i maggiori pittori tedeschi della sua generazione, legato a doppio filo all’Italia, si spegneva a Roma a soli 49 anni. Il Von Heydt-Museum di Wuppertal, a quel tempo Elberfeld dove nacque, lo celebrò in una grande monografica nel 2008 che ripercorre le diverse stagioni della sua ricca produzione.

All’Akademie der Kunst di Berlino tra il 1853-55 Hans non concluse gli studi e si trasferì a Monaco. Una trafila molto simile a quella dei suoi contemporanei Arnold Böklin e Anselm Feurbach. Gli esordi sono tutti volti a ripercorrere la grande pittura veneziana, fiamminga e Velázquez che aveva ammirato nei musei di Monaco e Dresda. Dipinge battaglie, ritratti e paesaggi di maniera in cui affiora con evidenza anche l’influenza non solo dei maestri antichi ma dei contemporanei Delacroix e Manet.

Più di un’amicizia

Non fu un avvio agevole il suo, ma fu il barone Aldolf Friederich Schack di Monaco a venirgli incontro commissionandogli molte decine di copie di tele di pittori italiani: a partire dal 1864 vive a Roma e Firenze impegnato in questo lavoro di copista. Il barone non fu soddisfatto e la loro intesa finì: nel 1867 lo incontrò a Roma Adolf Hildebrand scultore e architetto di dieci anni più giovane che gli offrirà impegnative occasioni di lavoro.

La loro fu qualcosa di più di un’amicizia e fino al 1875 viaggiarono per l’Europa in assoluta sintonia. Il giovane Adolf compare in un ritratto ed entrambi frequentemente ricorrono in composizioni allegoriche ispirate all’antico. Arruolato nella guerra franco-prussiana del 1870-71 visse tra Berlino e Dresda per qualche tempo, ma l’Italia e il suo amico Hildebrand urgevano come linfa vitale della sua arte.

Un Eden senza peccato

A Napoli nel 1873 Hans ebbe la grande occasione della sua vita: Anton Dohrn scienziato e biologo di Jena aveva deciso di costruire nella villa comunale una stazione zoologica e aveva chiamato come architetto e scultore Hildebrand. In sintonia con Dohrn e Hildebrand Marées affrescò la biblioteca con un ciclo di grande bellezza ispirato alla comunità scientifica e alla vita dei pescatori con nudi maschili talvolta attinti alla statuaria del Museo archeologico di Napoli.

Una vera epopea ecologica quando non si parlava ancora di ecologia. Le quattro pareti della biblioteca sono da considerarsi tra le più alte espressioni del mito del Sud e del Mediterraneo così come vissuto dalla cultura tedesca post-goethiana: un’utopia che i due comprimari vissero – scrive Hans in una lettera laconica del 1874 – «come un completamento reciproco, in realtà una persona sola; ciò viene dal fatto che entrambi ci siamo dedicati ad una cosa sola».

Entrambi compaiono come pescatori negli affreschi nudi come divinità antiche. Che ci sia in questa storia e in questo idillio marinaro una carica di sensualità è fuor di dubbio: von Marés volle dipingere un Eden nel quale non c’era ancora il peccato e Eva non aveva ancora morso la mela.

Autoritratti

Le belle campiture architettoniche in un elegante stile neo-rinascimentale sono certamente contributo di Hildebrand che aveva disegnato l’architettura della Stazione zoologica. Dipinge molti autoritratti a partire da quello giovanile (1855) e scanditi nel tempo: dipinge ritratti del padre e di amici.

Nell’autoritratto del 1874 il pittore è stempiato, con la mano che si carezza la barba e sul fondo un paesaggio toscano. I tropici i tedeschi di questa generazione li trovarono a Firenze, Roma, Napoli e in Sicilia, come capitò al contemporaneo barone von Glöden che in tante lastre ci ha lasciato immagini di efebi tra Capri e Taormina che sono un ideale contorno ai dipinti di Hans e che ben esplicitano il clima trasgressivo di questa stagione.

Sotto una pergola il pittore raffigura sulla parte est della Stazione zoologia i protagonisti di questa comunità seduti a un tavolo sotto una pergola e con al fondo delle rovine, al centro seduta su una scala una donna. Lo scienziato, che non condivideva questo neopaganesimo, compare sulla sinistra con la sua folta barba, inclinato e come gravato dal peso che una tale impresa aveva costituito per la sua esistenza.

Addio a Napoli

In effetti l’esperienza napoletana, all’unisono scientifica e artistica, è un unicum nella pittura dell’Ottocento non solo tedesca e tra i momenti più alti di un sodalizio umano molto intenso. Naturalmente molti sono i disegni e bozzetti di questo imponente ciclo affrescato secondo la tradizione dell’antico: Wuppertaler Skizzenbuch di Marées e Hildebrand, fu pubblicato in facsimile nel 1987, è di proprietà dello stesso Von der Heyd-Museum. Intano nel 1868 von Marées s’era imbattuto in un nuovo mecenate: il teorico dell’arte Konrad Fiedler che vediamo col suo naso forte e lo sguardo severo in un ritratto dell’amico.

Anche in tal caso si trattò di un’amitié amoureuse. Concluso l’impegnativo lavoro a Napoli, che rimane il capolavoro della vita di von Marées, nel 1874, si trasferì con Hildebrand a Firenze: l’architetto aveva acquistato l’ex convento di San Francesco di Paola dove installarono i loro studi.

Pre-ecologista

Gerhard Fink e Nicole Hartie-Grave, con altri studiosi, hanno narrato la lenta evoluzione dell’opera di questo artista. La crisi si consuma qualche tempo più avanti quando Hildebrand decise di sposarsi: nell’Età della vita (1878) un giovane nudo coglie arance – proprio come in un riquadro della stazione napoletana – e un altro lo osserva mentre una fanciulla gli porge un frutto. La simbologia è fin troppo evidente: è la mela avvelenata di Eva che segna la fine del Paradiso terrestre in cui avevano vissuto.

Von Marées si trasferisce a Roma dipingendo e collaborando a varie iniziative, ma esse non ebbero mai la smagliante forza ispirata del ciclo napoletano. La sua pittura si fa scura, impastata di tinte brune: come nel gruppo di Nudi al bagno (1885) firmato “Giovanni di Marées”. La tela ha perso la lucentezza solare dei Rematori, dove giovani divinità travestite da pescatori, vogano con lena sul mare cobalto della baia di Napoli dove si riconosce lo scoglio della Gaiola sulla sinistra e sul fondo a destra un pizzico del profilo di Capri. La monografia di Julius Meier-Graefe (1909-10), rimane opera essenziale perché l’autore poté attingere a documenti e testimonianze dal vivo: in occasione dei cento anni dalla morte si tenne una grande mostra a Monaco e quella ancora più ricca a Wuppertal del 2008, ne approfondì i temi.

In una lettera a Hildebrand von Marées evoca la sua maggiore opera: «Il soggetto è preso del tutto dalla vita. Il mare con grotte, isole, costa rocciosa e architettura, con pescatori che stendono le reti, spingono in mare una barca, nella barca i ritratti di Dohrn, Kleinenberg, Grant, Hildebrand e di me stesso; una taverna sul mare e, per arrivare anche una volta del tutto sull'asciutto, sul lato delle finestre un aranceto a grandezza naturale con le rispettive figure. Tutte le figure a grandezza naturale». Immagine omerica e pre-ecologica, ma ispirata anche alla teoria di Fiedler della pura visibilità (reine Sichtbarkeit): così il mito goethiano del sud e del classico, assume sprezzature simboliste proprie del tempo di Sigmund Freud che incalza.

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