L’orizzonte creativo di Lucio Fontana è riccamente esteso e non si può raccogliere sotto un unico ombrello morfologico per le molte invenzioni, le variazioni e deviazioni linguistiche che ha dato alla sua opera. Lucio Fontana. L’origine du monde, sono le installazione che si trovano nella mostra al museo Novecento di Firenze. Conviene cominciare dagli esordi quando Fontana ha vissuto un’esperienza di morte che ha di certo condizionato la sua carriera fin dalla prima giovinezza: suo padre infatti era proprietario di un’impresa di monumenti commemorativi, ritratti e soprattutto di sculture funerarie a Rosario di Santa Fe.

La sua attrazione per l’informe più oscuro e greve è riscontrabile, ad esempio, in invenzioni prometeiche come le Nature, come nel progetto per la Tomba De Medici del 1929-1930 e fino alle celebri, singolari, Pillole, quelle «sculture ovulari missilistiche» in metallo del 1967, che a detta dello stesso artista volevano affermare la morte di Dio. Certamente lontane dalle sue operazioni più asettiche e iconiche come i celebri “tagli”. Tanto sembrano compromesse con il fango e la materia più tellurica quelle, quanto più depurati e smaterializzi risultati gli altri.

Eppure, questa dialettica sembra essere stata tanto originaria quanto essenziale per lo sviluppo della sua ricerca, a partire dalla giovinezza. Di questa esperienza di morte, di una risposta vitalistica e di un processo dialettico tra realtà e irrealtà, presenza e assenza, ne ha scritto Germano Celant in catalogo con pertinenza convincente per la sua intensità e mi par giusto dargli la parola: «La morte abita la vita, come il buio abita la luce, le due entità, in positivo e in negativo, in colore e in nero, vanno sempre messe in collegamento. L’aspirazione è a superare il loro antagonismo, in modo che la vita vada al di là di ogni limite, come l’insieme tombale che tende a una concezione più ampia del vivere nel tempo».

Nel periodo tra il 1925 e il 1930 l’artista si affida alla trascendenza, in cui intreccia esperienza e religiosità, che è segnata dalla serenità del corpo nudo disteso, placato dalla morte ma ancora dormiente, come nel progetto per la Tomba De Medici. Qui il soggetto della morte è percepito come tentativo di impadronirsi di un nulla, che è sconosciuto, attraverso una dimensione conosciuta: il corpo umano. Un vivere che cerca di integrare il sonno eterno senza perdere la sua singolarità.

Una riflessione sul trascendente, sull’aldilà che definisce l’intento di Fontana di bloccare la superficie o il volume del vivere sul confine del nulla e del vuoto della morte: scambio tra realtà e irrealtà, presenza e assenza. Un confine condiviso che assume il nudo come momento sospeso dell’essere e dell’esserci: l’istantanea luminosa di un gesto da decifrare che sta al margine di qualcosa di erotico e di autentico, di anatomico e di epidermico come tutta l’arte di Fontana.

Ma chi scrive pensa che i “tagli” restano l’espressione più alta della sua opera: il perché è presto detto. Con una tela e una lama l’artista recide ogni legame con la figurazione o con la figuratività che domina l’arte del secolo che ha vissuto. In sostanza cambia il registro in modo radicale e ci propone un universo del tutto nuovo che ci affascina e allo stesso commuove l’osservatore che è dinanzi alle sue tele.

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