Vista dalle panchine di una nazionale, questa Gen Z che associamo alla fragilità per chiudere gli occhi sulla nostra è fatta di adolescenti che faticano a confidarsi. Hanno paura di essere esclusi. Camminano in compagnia di una indicibile angoscia, l’ansia di diventare qualcuno negli anni in cui stanno ancora scoprendo chi sono. Luciano Spalletti pensa che i giovani calciatori dovrebbero mettere più spesso le loro cose in valigia e viaggiare, andar fuori, come fanno ragazze e ragazzi in altri settori, «imparare una lingua, confrontarsi con un’altra cultura».

Non succede perché non tutti i procuratori hanno un approccio internazionale. Ai suoi, nella nazionale di pallanuoto, Sandro Campagna fa trovare invece nello staff una psicologa. A tutti chiede che siano iscritti a una università, anche online, perché così «imparano a organizzarsi» 3-4 ore di studio in mezzo a 6-7 di allenamento.

«Se tra una seduta e l’altra ci metti la play, il gioco brucia le cellule nervose. Lo studio completa, e alla Bocconi mi dicono che chi fa sport ha un passo in più». Nelle giovanili della pallavolo, invece, Monica Cresta ha imparato che «non si può pensare di trattarli tutti alla stessa maniera. Bisogna aiutarli, esser bravi a capire se c’è qualcosa che non va». La pallavolo ha vissuto in aprile la tragedia di Julia Ituma. Si è tolta la vita durante un raduno in Turchia, «per un problema legato al suo periodo adolescenziale, il vero motivo lo conosce solo lei, ma non bisogna mai più arrivarci. Da quando Julia non c’è più, sono più attenta nelle relazioni con i ragazzi».

Giovedì sera a “L’Europa di Domani” tre cittì hanno portato le loro testimonianze sulle relazioni con i giovani e sul lavoro di individuazione, crescita, sviluppo del talento. Cresta ha esposto i progetti nelle scuole e sui territori, Campagna ha spiegato com’è giunto al patto fra gentiluomini che consente di avere nella Serie A di pallanuoto sempre quattro italiani in vasca su sette, Spalletti ha raccontato alla Sergio Leone-Clint Eastwood che nel calcio contemporaneo, «un calcio liquido, di forme, quando il talento incontra la forza, vince la forza.

Se a un ragazzo dici che ha talento, si rischia di viziarlo. Un talento deve lavorare su sé stesso. Deve avere una disciplina che gli faccia completare il percorso. Un talento non è un campione. Ha bisogno di altri ingredienti. Anche a me piace pensare alla bellezza della terra in campagna, agli olivi, al vento che accarezza i capelli, ma poi ci vuole chi le fa crescere, le cose nella campagna, ci voglion le braccia».

Ora che ha messo la qualificazione al sicuro, Spalletti potrà finalmente dedicarsi al resto. Sarà un cittì che telefonerà spesso ai suoi ragazzi per sapere come va, in ritiro «potrò chiedere di tenere le porte delle camere aperte: io vado da loro a vedere cosa fanno, loro possono venire da me». E poi da padre di una bimba di 12 anni si augura che nelle scuole sia «introdotta qualche materia nuova, un’ora di come si reagisce a una delusione sentimentale, perché prima o poi succede a tutti. Bisogna aiutarli a capire chi sono, così sarà più facile capire cosa vogliono».

© Riproduzione riservata