Ho letto Il ricordo della Basca, prendendolo in mano per caso e per ozio, nel 1970 o forse nel 1971. Avevo il volume di Garzanti con la copertina verdognola. Distrattamente mi sono messa a leggere il racconto introduttivo che, nel volume Garzanti, s’intitola Una storia. Fin dalle prime frasi, mi ha dato una sensazione straordinaria di forza, di amarezza, di rapidità e di libertà. M’è venuta allora una viva curiosità di sapere qualcosa su Delfini. Ricordo di avere chiesto, a Cesare Garboli e a Niccolò Gallo, altri libri suoi che non avevo, e notizie sulla sua persona. Io ne avevo sentito parlare, certo, ma credevo fosse tutt’altra cosa. Credevo fosse uno scrittore di “prosa d’arte”.

Non l’ho mai conosciuto: l’ho visto una volta, forse due, a Firenze. Leggendo i vari racconti del Ricordo della Basca, leggendo La sorella ballerina, o La modista, o Il fidanzato, o quel frammento ultimo, Il 10 giugno 1918, ho amato subito e soprattutto due cose: la rapidità vertiginosa, e la libertà. Sono due qualità ben rare, e, nel nostro tempo, quasi introvabili. Quando racconta, Delfini ignora ogni costruzione, fabbricazione, idea precostituita, o disegno.

Parte da un punto ben preciso ma il luogo d’arrivo gli è oscuro. Non gli è indifferente ma gli è oscuro. I suoi racconti lasciano la sensazione che la vita sia rapidissima, imprevedibile e ferocemente crudele. La crudeltà della vita si configura abitualmente in un paesaggio tranquillo, contemplato fin dall’infanzia, fra oggetti e stanze dall’aspetto ospitale e accogliente, fra amici dal sorriso aperto e cordiale, campagne verdi e serene, piazze e spiagge e caffè popolate di figure note e bonarie, che sembrano pronte a dare generosità e protezione. La crudeltà della vita non genera malinconia, o grigiore, o squallore, perché il mondo conserva sempre intatti i suoi colori radiosi.

Essa genera unicamente una stupefatta coscienza di trovarsi in fondo a un precipizio, circondati da volti noti che deridono sia il precipizio, sia le circostanze che provocarono la caduta, sia l’ingenuità dell’essere che quelle rovinose circostanze aveva percorso come si percorre una strada larga, sicura e tranquilla. E la brutale, selvaggia crudeltà della vita è anche e soprattutto nella vertiginosa rapidità che separa il momento della sicurezza dal momento della devastazione. Il mondo conserva sempre i suoi radiosi colori, ma quei radiosi colori sono adesso là per deridere l’essere ferito e devastato e dichiararne a voce spiegata l’immensa inettitudine.

Questa preziosa pagina di Natalia Ginzburg è stata scritta dalla grande scrittrice nell’occasione della curatela dei Diari ed è inedita. Fu pubblicata nel volume Antonio Delfini, Mucchi editore, del 1990, oggi introvabile, che raccoglie gli atti del convegno su Delfini tenuto a Modena nel 1983. È stata ripubblicata in ebook nel 2022 dalla casa editrice digitale del Comune di Modena Il dondolo con il titolo di Delfini.

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