Dieci anni fa, mentre finiva febbraio, per la chiesa di Roma si apriva una sede vacante senza precedenti. Mai infatti nella storia era stato possibile prevedere con precisione quando si sarebbe verificata questa circostanza che nel medioevo Pier Damiani aveva definito «momento di terrore».

Ma l’impensabile era avvenuto l’11 febbraio 2013, quando Benedetto XVI dichiarò che avrebbe rinunciato al pontificato, precisando anche la decorrenza della sua clamorosa decisione: alle otto di sera del 28 successivo.

Meno di due settimane più tardi, il 13 marzo, dal conclave uscì eletto il gesuita Jorge Mario Bergoglio, che sarebbe stato definito dai media l’argentino più famoso del mondo dopo Messi. La sorpresa fu enorme, ma come la rinuncia di Joseph Ratzinger era stata da lui annunciata nel 2010 in un libro intervista, anche papa Francesco era atteso e preparato. Nella realtà e dall’immaginazione.

Un argentino

Verso la fine del pontificato di Giovanni Paolo II, a Roma uno scrittore e giornalista spagnolo, Arturo San Agustín, incontrò Anthony Quinn, l’attore statunitense di origine messicana che nel film The Shoes of the Fisherman aveva interpretato Kiril, il papa ucraino immaginato da Morris West nell’omonimo romanzo del 1963, 15 anni prima dell’elezione di Karol Wojtyła. Il discorso cadde sulle successioni papali. Se fosse latinoamericano potrebbe essere messicano, provocò il giornalista, ma Quinn replicò senza esitare con una risata: «no, sarà un argentino».

Nessuno dei due interlocutori conosceva Bergoglio, ma poco più tardi a tratteggiare il profilo di papabile dell’arcivescovo di Buenos Aires, ormai creato cardinale, fu Sandro Magister, l’informatissimo vaticanista dell’Espresso che nel tardo autunno del 2002 sul settimanale iniziava così l’articolo Bergoglio in pole position: «A metà novembre lo volevano eleggere presidente dei vescovi dell’Argentina. Ma ha rifiutato. Se ci fosse un conclave, però, gli sarebbe difficilissimo respingere l’elezione a papa. Perché è lui che i cardinali voterebbero a valanga».

Troppo presto

L’ascesa del gesuita era cominciata più di un anno prima, quando gli attentati dell’11 settembre costrinsero l’arcivescovo di New York, il cardinale Edward Egan, nominato relatore al sinodo dei vescovi, a rinunciare all’incarico, che venne assunto – e svolto «con maestria», sempre secondo Magister – appunto da Bergoglio, eletto poco dopo con moltissimi voti nella segreteria dell’organismo sinodale.

Invece, il conclave del 2005 fece papa in meno di ventiquattr’ore il decano del collegio cardinalizio, ma stando ai brani del singolare diario del conclave di un anonimo cardinale – pubblicati su Limes cinque mesi dopo da Lucio Brunelli nell’articolo Così eleggemmo papa Ratzinger – l’arcivescovo di Buenos Aires sarebbe arrivato nel penultimo scrutinio a toccare un tetto di 40 voti, per poi scendere a 26.

Al di là dei numeri, che come quelli di altre ricostruzioni giornalistiche del conclave sono incontrollabili, un significato chiarissimo assume l’affermazione che l’articolo mette in bocca al cardinale belga Godfried Danneels: «Questo conclave ci dice che la Chiesa non è ancora pronta ad un papa latinoamericano».

Il primate del Belgio era infatti un sostenitore del cardinale argentino, come altri suoi autorevoli colleghi europei del cosiddetto gruppo di San Gallo (per nulla segreto), e la sua frase esprime con efficacia l’appoggio alla candidatura che era stata ventilata in alternativa a quella di Ratzinger.

El Pastor

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Molto importante per la conoscenza di Bergoglio è nel 2010 il suo libro intervista con Francesca Ambrogetti e Sergio Rubín intitolato El Jesuita, che subito dopo la sua elezione viene ovviamente tradotto anche in italiano. A questo si aggiunge ora un secondo libro degli stessi autori, El Pastor, molto più ampio ma altrettanto autorizzato.

Pubblicato da qualche settimana in Argentina, ha un sottotitolo che sintetizza bene le sue oltre 300 pagine – «Sfide, ragioni e riflessioni di papa Francesco» – e un breve prologo dove lo stesso pontefice accenna alla lunga gestazione del libro e ripete che le sue sfide sono quelle «definite dai cardinali nei dibattiti precedenti il conclave».

Nel capitolo introduttivo è riferito un dialogo tra lo stesso Bergoglio e il cardinale Laurent Monsengwo Pasinya. Il 9 marzo 2013 – cioè lo stesso giorno del breve intervento dell’argentino in una delle congregazioni generali, le riunioni preparatorie del conclave – all’arcivescovo di Kinshasa che chiedeva insistentemente a Bergoglio se avrebbe accettato l’elezione, questi risponde: «In questo momento della chiesa nessun cardinale ha il diritto di dire di no».

Un nome da evitare

Il racconto della sede vacante e del conclave di Ambrogetti e Rubín è comunque molto più essenziale della minuziosa ricostruzione di Gerard O’Connell, un altro giornalista molto vicino al pontefice. Il suo libro The Election of Pope Francis, pubblicato nel 2019, è infatti ricchissimo di informazioni: sugli ultimi 17 giorni del pontificato di Benedetto XVI, sulla sede vacante e infine sulle poche ore «che hanno cambiato la storia», recita il sottotitolo.

Come il conclave che aveva eletto Ratzinger, brevissimo è stato infatti anche quello che ha scelto il suo successore.

Nonostante l’ultimo freddo invernale a cui si aggiungeva la pioggia, ad attendere la fumata bianca in piazza San Pietro, inginocchiato, c’era anche un singolare personaggio vestito di saio e scalzo. «Papa Francesco» si leggeva su un cartello che aveva appeso al collo, e l’immagine rimbalzò in diverse riprese televisive.

Pochi giorni prima, durante la sede vacante, il nome «del grande santo dei poveri che purificò la chiesa in tempi di decadenza e opulenza» – così Ambrogetti e Rubín – era però stato accennato come possibile scelta dell’eletto, chiunque fosse stato.

L’occasione, rivelata in un articolo pubblicato l’11 ottobre scorso sul quotidiano madrileno «La Razón», fu un pranzo a cui parteciparono due cardinali spagnoli poi entrati in conclave e un giornalista, che ne fu molto sorpreso, ma rispettò l’assoluta discrezione dei suoi commensali e non chiese altro.

L’altro Francesco

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Ma un «Francesco I» era stato immaginato, e il suo pontificato descritto fin troppo a lungo, da Piero Imberciadori quasi mezzo secolo prima, nel 1966. Non certo al livello del raffinatissimo e mordace Roma senza papa – scritto proprio tra il 1966 e il 1967 da Guido Morselli, pubblicato postumo nel 1974 da Adelphi e di continuo ristampato – e anzi un po’ banale, ma con intuizioni ispirate alla stagione conciliare e coincidenze quasi incredibili.

Basti pensare che il protagonista dell’ormai introvabile Papa Francesco I. Storia di un papa che non è mai esistito nasce nel 1920 e muore nel 2005, esattamente come Giovanni Paolo II.

Per il resto, oltre il nome, non poco del pontificato di Bergoglio si ritrova anticipato in quello di Pietro Alberera, brillante «giovane italo-negro» che, sposata una Torlonia e avuti da lei cinque figli maschi, resta vedovo e, quarantatreenne, si fa missionario salesiano in Congo.

Il papa lo consacra arcivescovo e lo crea cardinale un anno prima di morire, giusto in tempo perché l’eccezionale prelato venga eletto nel conclave del 1985. Il ventennio papale, con uno schema ispirato alle «lettere agli uomini» del Celestino VI di Giovanni Papini, è raccontato attraverso venticinque discorsi del papa a diverse categorie (dai parroci e dai vescovi fino ai giornalisti e agli astronauti).

Al pontefice evangelico e riformatore – peraltro favorevole alla pena di morte nonché misogino – riesce tutto: riunire le chiese cristiane, avvicinare le altre religioni, riconciliarsi con il comunismo, andare a Mosca e a Pechino, pacificare il mondo.

Fantasie papali

Ma papa Francesco sembra più ancora anticipato nel 1964 – dunque quasi mezzo secolo prima dell’elezione, quando Bergoglio nemmeno era prete – in Juan XXIII (XXIV) o la resurrección de don Quijote, pubblicato con lo pseudonimo Jerónimo del Rey da Leonardo Castellani, un gesuita argentino espulso dalla Compagnia nel 1949, sospeso a divinis, poi reintegrato nel 1966 e morto ottantaduenne nel 1981.

Scrittore prolifico e visionario, Castellani è stato riscoperto in Spagna da Juan Manuel de Prada, che racconta nei dettagli anche l’immaginario pontefice argentino in un saggio sulle «fantasie papali» nel libro Il papa senza corona (Carocci) su Giovanni Paolo I. E il papa del romanzo è Pío Ducadelia, argentino di genitori italiani, protagonista di una storia che lascia stupefatti, superata solo dalla realtà. Come sempre succede.

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