Esistono primati di dolore taciuti, sconosciuti, hanno spesso nomi di malattia che nulla dicono al grande pubblico, né interessano più di tanto la ricerca. Ma che fanno di tante vite un inferno in terra.

Questa è la storia di Claudia, nominare serve a vedere meglio le cose, e di Alessandro, il ragazzo che diventerà suo marito, il suo unico sostegno, l’unico alleato.

Immaginiamo una giovane vita, quella di un’adolescente che arriva all’età in cui il suo corpo inizia a mutare. Le prime mestruazioni. Un passaggio epocale, che diventa per lei l’inizio del calvario. Perché il primo ciclo, come tutti gli altri che verranno, mese dopo mese, è accompagnato da dolori fortissimi alle pelvi, alle ovaie, crampi al ventre, forte mal di testa, problemi alla vista. Soltanto per fermarsi ai sintomi più frequenti.

La malattia senza nome

Claudia si rivolge al suo medico di base, con tutto l’imbarazzo del caso, mettetevi nei panni di una ragazza giovanissima che deve parlare del suo corpo, dei suoi genitali, a un adulto, lui liquida velocemente la cosa senza sentire il bisogno di approfondire, non le fa fare nemmeno un esame specialistico, nulla. L’unica cosa che le offre è un farmaco, le prescrive la pillola anticoncezionale, allo scopo di regolarizzare il ciclo. Come da copione, la pillola non apporta nessun beneficio, anzi, peggiora tanti dei sintomi del suo male oscuro. Oltre ad alcuni effetti collaterali poco piacevoli per un’adolescente, come l’acne, il mal di testa continuo.

Dalle prime mestruazioni, dunque, Claudia vive ogni mese una tortura vera e propria, ogni sua attività, aspirazione, è compromessa, segnata. Anche la scuola. Spesso sviene, altre volte non riesce a camminare, i suoi compagni sanno del suo disturbo e l’aiutano per come possono. Ma come aiutare una persona che non sa chi e che cosa la sta massacrando? L’unica pratica che la fa stare meglio, soprattutto nel periodo del ciclo, mediamente cinque giorni, è stare a letto, sdraiata di fianco, con la borraccia dell’acqua calda sul ventre. E imbottirsi di antinfiammatori, di Nimesulide in particolare, anche quattro bustine per volta.

Un poco alla volta, Claudia perde la voglia di fare tutto, di vivere, tanto è lo strazio e l’impotenza, la mancanza di quella spensierata allegria che è la grande dote della giovinezza. Anche il suo corpo muta, il suo oscuro disturbo lo mina ciclo dopo ciclo, assieme al corpo va in grande sofferenza la psiche, come naturale che sia. Sopraggiunge l’ansia, il panico, il terrore di sentirsi male, di mettere in difficoltà gli altri.

Claudia cresce, sotto la dittatura di una malattia che gli adulti, i medici, non le riconoscono, ma che è in grado di segnare ogni sua attività. Se le altre iniziano le prime storie d’amore, le prime relazioni stabili, lei si ritrova a doversi vietare anche quelle, e quello che è più grave nemmeno a desiderarle, perché la sua sfera sessuale, come tutto il resto, è influenzata negativamente dal mostro che si porta nel corpo.

E i primi ragazzi con cui esce non fanno altro che mettere il dito nella piaga, segnare una distanza fra lei e le altre. Perché Claudia, per quanto si ostini, per quanto ci provi, non è come le altre.

Gli anni passano, senza che il male receda, anzi.

Unico alleato

Nella vita di Claudia, questa non è solo la sua storia, si è già detto, entra in scena Alessandro. Il suo amore e unico alleato contro la malattia. A far conoscere i due ci pensa un’amica d’infanzia di lei, la invita ad andare al mare. Claudia non vorrebbe andarci, oramai la sua vita sociale è ridotta al minimo, ma decide di accettare. Con grande timore scopre che assieme a lei e la sua amica ci saranno anche tre ragazzi, che lei non conosce.

Alessandro ha gli occhi verdi, le ruba un libro che lei si era portata da leggere, poi, cosa ancora più sconvolgente, le fa dei complimenti. Le dice che è bella, bellissima. Al ritorno a casa, come nelle migliori storie d’amore dove a unire è un colpo di fulmine, si baciano. Nasce tutto con la naturalezza di un battito di ciglia.

Claudia le racconta di sé, del male che la divora da quando aveva quattordici anni, Alessandro pure si confida, anche lui conosce il dolore, la sua vita non è stata una passeggiata di salute, anzi.

I due non si lasciano più, come accade a chi si trova in mezzo a una tempesta.

Dopo pochi anni si sposano. Sembra l’happy end di un film sentimentale. Purtroppo, non è così.

Alessandro diventa testimone di quanto dolore muto debba sopportare sua moglie, vorrebbe gridare, prendere a cazzotti tutti quelli che riducono il male di chi ama a una questione di percezione, a una soglia del dolore troppo bassa. Perché tanti, troppi, non la prendono sul serio, le parlano senza un grammo d’umanità, neanche avessero a che fare con una bestia. Come quel ginecologo che, senza alcun problema, le dice che i suoi organi, l’utero, le ovaie, sono vecchie, che lei, dentro, è vecchia. Vecchissima.

Claudia e Alessandro scontano, inoltre, un altro problema, legato sempre allo stato di lei, alla malattia senza nome che la consuma.

Vorrebbero un figlio, ma un figlio non arriva.

Illustrazione di Marilena Nardi

Diagnosi e speranza

Dopo un paio d’anni di matrimonio, Claudia viene contattata da una ragazza che non conosce, è lei, una sconosciuta, la prima a dare un nome e cognome al male. Finalmente. Dopo anni e anni.

Endometriosi.

La ragazza le consiglia di fare una risonanza specifica, poi le offre il nome di una ginecologa in Svizzera, dove è in cura anche lei.

Per Claudia è felicità pura, sembra un controsenso, ma tutto è meglio del nulla senza nome contro cui si è ritrovata a combattere dall’adolescenza in poi. La risonanza non lascia dubbi. Due cisti endometriosiche nell’addome, più alcune aderenze.

Claudia ha l’endometriosi. È un fatto. Nessuno potrà più dirle che il suo male è frutto della sua debolezza.

Ma la patologia in questione non ha cure farmacologiche veramente efficaci. Per questo, dopo qualche tempo, dopo che il dolore anziché diminuire ha continuato ad aumentare, ciclo dopo ciclo, decide di operarsi.

Si orientano su un medico di Milano, l’intervento chirurgico dovrebbe durare poco più di un’ora, invece va avanti per parecchio.

L’operazione va bene, ma il quadro complessivo che il medico illustra a Claudia e Alessandro è comunque molto serio. Claudia ha in tutto l’utero focolai di endometriosi al quarto stadio, l’ultimo della malattia, il più grave, localizzati nell’ovaio sinistro, come nella zona retto-vaginale e utero-sacrale. Ma tutti gli organi interni sono in sofferenza.

Iniziano le cure farmacologiche, molto invasive, con farmaci dagli effetti collaterali spesso devastanti, sino all’ultimo, che prevede un iter di somministrazione molto particolare, oltre a un piano terapeutico con annessa registrazione all’Aifa.

A quest’ultimo farmaco la coppia ha affidato le ultime speranze di arrivare a una gravidanza naturale, perché malgrado tutto il desiderio di avere un figlio non è mai tramontato.

Claudia, oggi, è una donna di trentasette anni, lavora, vive, aspira a quella che per le persone senza disturbi cronici è la normalità, un’esistenza senza l’assillo del dolore. Spera, lei come tutte le altre attaccate dall’endometriosi, che si arrivi a una cura efficace, ma, cosa ancora più importante, che si riconosca socialmente l’esistenza di questa malattia subdola quanto aggressiva.

Una malattia che rende il gesto della fecondità una tribolazione, che lo trasforma in un lento, inarrestabile processo di morte. Morte fisica e psicologica.

A Claudia, a tutte le donne affette da endometriosi, la solidarietà di un uomo che non può nemmeno immaginare veramente.

Perché l’immaginazione non arriva dove arriva il dolore.

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