Quando c’erano Berlusconi e Moratti, tutto era chiaro nel derby di Milano, era come avere il mondo del Muro di Berlino. Sapevi chi vinceva e chi perdeva. Ora no. L’Inter ha un proprietario cinese, Zhang Kangyang, molto lontano da Milano e dalla squadra, che demanda e rifinanzia, e il Milan ha un fondo o forse due che sovraintendono a bandiere e dirigenti. Insomma, non esiste più il padre, ci sono i tutori che si incarnano in una faccia o in un nome. Le squadre che in quattro anni hanno vinto tre volte il campionato italiano hanno una dissolvenza in cima; le squadre che per prime hanno vinto la Coppa Campioni, vecchia Champions League, con proprietà che avevano radici e calciatori e allenatori divenuti pure santi e guide – pensate a Helenio Herrera, Nereo Rocco, Giacinto Facchetti e Gianni Rivera – ora hanno uomini intercambiabili che si rapportano a un passato chiaro mentre vivono un presente incerto, supportato dall’oscurità.

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Quindi, Milan e Inter, riflettono il tempo nel quale giocano o raccontano una mancanza? Dove prima c’era un Peppino Prisco, una sorta di Cossutta dell’Internazionale, un dogmatico rappresentante del mondo interista, ora c’è Giuseppe Marotta, più liquido, già manager juventino corrente Andreista nel senso di Agnelli Andrea, che deve farsi in quattro per rappresentare quell’amore che a Prisco veniva naturale, e non è un caso che se serve una dichiarazione d’appartenenza prima delle grandi partite si vada da Massimo Moratti, vecchia proprietà, che al cinese Zhang preferisce, con aristocrazia, El chino Álvaro Recoba.

Dove prima c’era Silvio Berlusconi o la sua protesi calcistico-sentimentale Adriano Galliani, ora c’è un fondo, forse due, non si sa bene se il Milan sia stato venduto o meno, se come alle figurine ci sia un doppione o un calciatore a due teste, la procura di Milano sta indagando sul passaggio di proprietà avvenuto nel 2022 dal fondo d’investimento Elliott Management al fondo statunitense RedBird. Quello che si sa è che quattro persone sono indagate: l’amministratore delegato della società del Milan, Giorgio Furlani, e chi l’aveva preceduto in quell’incarico dal 2018 al 2022, Ivan Gazidis. Secondo la procura Elliott e il suo presidente, l’imprenditore statunitense Paul Singer, avrebbero simulato la vendita del Milan a RedBird, ma di fatto avrebbero mantenuto il controllo della società.

Ragione e sentimento

Tutto si poteva dire a Silvio Berlusconi tranne che scherzasse col cuore, cioè il Milan, al massimo creava problemi sentimentali a Fausto Bertinotti tifoso del Milan e suo oppositore politico, mentre i fondi o il fondo li hanno creati solo al tifoso Diego Abatantuono – che tanto aveva dato alla causa in diversi film – portando a dichiarazioni di abbandono del tifo, con dirottamenti verso l’Atalanta, un po’ come il cardinale Angelo Voiello di Paolo Sorrentino che ebbe tentazioni teologico-curvaiole per l’Avellino quando il Napoli stava cadendo sotto i colpi del fallimento a causa di gestioni imprudenti e scelte sbagliate.

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Ma se il Milan ha questa inchiesta sulle spalle, l’Inter ha il dubbio del rifinanziamento del prestito (scade il 20 maggio) concesso nel 2021 da Oaktree Capital Managment a Suning (sono 350 milioni di euro). Il Sole 24 Ore sostiene che Zhang sia sul punto di trovare «un nuovo accordo per avere un rifinanziamento ponte, che gli potrebbe consentire di trattare successivamente, a migliori condizioni, la cessione di una quota azionaria del club nerazzurro. L’identikit del finanziatore corrisponderebbe a quello di un investitore con sede a Londra e tra i nomi che sono circolati nelle ultime ore, oltre a quelli di Ares e Sixth Street Partners, c’è anche quello di HayFin Capital Management, società fondata da ex banker di Goldman Sachs.

Le prossime settimane saranno cruciali per l’esito delle negoziazioni». Due incertezze diverse, dove prima c’erano le certezze assolute Berlusconi e Moratti. Quindi, mentre tutti si chiedono se l’Inter vincerà o meno lo scudetto durante il derby – con una scelta collettiva verso l’immediatezza del quotidiano –, ci sarebbe da chiedersi altro. Interrogandosi sulla perdita enorme della proprietà come appartenenza.

Un panorama mutato

Ma il problema non sembra appartenere a Milano né al resto del paese che ha un evidente conflittualità con il tempo futuro. E se le due squadre più importanti del campionato – 38 scudetti in due, 10 Champions, di cui 6 Coppe Campioni – sembrano rimandare, omettere, sottovalutare la questione, allora c’è il racconto di un ballo sul baratro. Viene a mancare la famiglia nel calcio in funzione economica, manca il tavolo per il pranzo sostituito – forse – da quello della megaditta ma senza testa, e soprattutto manca il padre – che potrebbe anche essere un bene in chiave nuova società liquida – ma se la figura che lo sostituisce ha una espressione senza ombre. Le presidenze familiari – nel caso Moratti una vera e propria discendenza calcistico-reale, in quella Berlusconi un sogno comune a due generazioni di borghesi che si arricchiscono per possedere la squadra – rappresentavano una sicurezza in ogni termine: dall’affettivo all’economico, toccavi la loro ricchezza, e anche se tra mille critiche e problemi, dall’ecologico al tribunalizio, c’era la materialità del padrone senza rimandi, senza rifinanziamenti o passaggi da un fondo all’altro.

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Poi è cambiata anche Milano, e di conseguenza il derby. Sono cambiati i milanesi, e questo lo si può capire comparando il cinema di ieri e di oggi. Se in Romanzo popolare (1974) di Mario Monicelli lo stadio era l’evasione che univa il poliziotto Michele Placido e il sindacalista Ugo Tognazzi creando poi anche delle conseguenze sentimentali con la Vincenzina – Ornella Muti – dopo gli scontri per via della fabbrica, dove il padrone non aveva il problema della porta che si era ristretta a Gianni Rivera né quello del pareggio che si reiterava come una catena di montaggio, ne L’ultima notte di amore (2023) di Andrea Di Stefano c’è l’esplicitazione della Cina in casa per i milanesi, con il padrone che sta evaporando verso l’impalpabilità quasi che la distanza geografica dal regno di mezzo, Chung-kuo, divenisse anche distanza economica.

E ancora di più in Eccezzziunale... veramente (1982) di Carlo Vanzina c’è una economia legata alle proprietà con persone: tanto che Massimo Boldi può chiudere il suo bar – per derby – azione rara o impossibile da riscontrare oggi in un proprietario di un’altra nazionalità che può anche tifare per una delle due squadre cittadine ma non fino al punto di chiudere per andare allo stadio.

È curioso pure che il folklorico sciovinismo meneghino della Lega di Matteo Salvini – che tifa Milan – non venga esercitato verso le proprietà, con una evidente cecità economica e calcistica. Poi fin quando si vince il carro è affollato e chi guida non ha importanza, è solo quando si va a sbattere che si generano le domande, come insegna il vecchio Leo Longanesi. C’è nelle due milanesi una ricerca spasmodica di vittoria e cambio, cambio e vittoria, con una corsa verso la liquidazione sentimentale più grossolanamente da parte del Milan – solo così si spiega la messa da parte di Paolo Maldini e poi la presa in carico di Ibrahimović – meno subdolamente da parte dell’Inter, ma tolto Marotta, escluso Marotta, che resta? Il calcio, invece, rimane l’esplicitazione del capitalismo che gli sta dietro: quello berlusconiano bello e vincente che non sapeva accettare la sconfitta; quello morattiano bello e vincente che ironizzava sulla sconfitta; e ora quello algido e demandante che permette al corpo di festeggiare mentre la testa è lontana e vivrà la sconfitta come una congiuntura economica sfavorevole.

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