Fare filosofia come fare ginnastica. Praticare esercizi argomentativi come si fanno esercizi di stretching…

Per Umberto Eco la filosofia era anche questo: un esercizio di elasticità e buona condotta, una buona condotta concettuale, logica, linguistica, imparata sui banchi delle Quaestiones di san Tommaso e tenuta in esercizio con Kant, Peirce, la linguistica strutturale, le contorsioni di Joyce, e messa alla prova sugli oggetti più disparati: dai fumetti all’architettura, dalla stampa alla narrativa sperimentale. Nella sua Autobiografia Eco ci racconta questo percorso, che affonda le sue radici nelle lezioni del liceo e arriva fino a un passo dalla morte (che – lo ricordiamo – ha impedito a Eco di vedere questo libro, cui però così tanto teneva), e il volume, con tutti i suoi interventi, ci pone sotto gli occhi come si può attraversare una vita intellettuale con coerenza, senza per questo essere ripetitivi, e con aderenza al mondo, senza rinunciare a fare filosofia.

Anche un altro libro in questi giorni ce lo racconta: Le avventure intellettuali di Umberto Eco, scritto da Stefano Traini.

Eco riesce in questa impresa anche perché ha deciso di dedicarsi in modo nuovo, inedito, a una disciplina che fino ad allora – gli anni Sessanta – era sconosciuta ai più: la semiotica. Eco la riprende, dalla semiologia di Saussure e dalla filosofia pragmatista di Peirce, per farne la sua arma contro il non-senso e contro l’oscurità: a Eco piacevano i lumi. La ragione coi suoi esercizi doveva fare chiarezza sui meccanismi del senso, spiegare come funzionano i testi, capire perché certi discorsi ci convincono, altri ci commuovono e altri ci confondono, e così via, lungo tutta la gamma degli effetti di senso che sperimentiamo nella vita.

Per Eco gli effetti dei segni, dei testi, dei discorsi non sono infatti imprevedibili e soggettivi; sono inscritti nelle nostre strategie espressive più che nelle menti o nelle emozioni delle persone. Come a dire: se un ministro saluta trionfante da un balcone di Roma facendo con le dita il segno di vittoria e ci viene fatto di pensare ad altri balconi e altre tribune non è perché siamo ipersensibili e un po’ paranoici, ma perché c’è qualcosa in quell’espressione – inscritta in essa – che ripete una forma già sperimentata.

La semiotica, che è disciplina filosofica, ragiona su categorie generali e sa vedere, nei mille segni e nei mille testi del mondo, i meccanismi di senso generali che vi sono sottesi, e come ogni buona pratica filosofica sa definire domini di validità e spazi di pertinenza (senza assolutizzazioni, che sono moneta buona per idealisti o improvvisatori).

Cos’è la verità e cos’è il senso, si chiede Eco per una vita (come emerge a più riprese da questo volume), e per una vita cerca risposte in domini diversi (l’estetica medievale, i meccanismi della cognizione, la narrativa, la storia della cultura, i giornali, l’architettura: spazi tutti rappresentati in questo volume, il cui titolo raccoglie tutto sotto la categoria di “filosofia”) sempre con lo stesso sguardo, avendo imparato da Tommaso che a ogni domanda si deve dare risposta, da Kant che in ogni dominio ci sono dei limiti, da Peirce che le intuizioni non esistono, e da tanti altri – che non finirei di elencare – che il senso vive di trasposizioni continue.

È l’interpretazione il concetto-chiave della filosofia semiotica di Umberto Eco, limite di ogni desiderio di assoluto, risorsa di qualsiasi filosofia della soggettività. A Umberto Eco la categoria di interpretazione serve proprio per evitare il relativismo, il soggettivismo, l’individualismo: la semiotica o è culturale o non è, verrebbe da dire. Le interpretazioni dei media, dei testi, dei discorsi – politici, religiosi, medici – non sono un campo aperto, non sono lo spazio del possibile dove tutto può essere: le interpretazioni hanno molti sensi possibili ma anche diversi sensi vietati; i significati sono socialmente regolati; i segni dipendono da reti di senso che sono culturali e come tali sociali. La vita è fatta di codici e attraverso i codici si formano enciclopedie che dicono chi siamo.

In tempi di post-, sub- e pseudo-verità trionfanti, tutte a misura di opinione personale, sarebbe utile ricordarlo: ricordarsi la lezione di una semiotica che è filosofia, ginnastica del pensiero; di un’idea di interpretazione che è esercizio di accortezza e misura, non spazio di ricreazione.

Questo testo è estratto dal libro appena pubblicato La filosofia di Umberto Eco, edito da La nave di Teseo e curato nell’edizione italiana da Anna Maria Lorusso. La filosofia di Umberto Eco è stato pubblicato in prima edizione nella Library of Living Philosophers, fondata nel 1938, serie in cui, nel tempo, sono usciti volumi dedicati, tra gli altri, a Bertrand Russell, Albert Einstein, Jean-Paul Sartre e Hilary Putnam.

© Riproduzione riservata