Lo show di Sarkò e il Louvre ko: i giorni giusti per vivere a Parigi

Ogni settimana è la settimana giusta per vivere a Parigi, ma questa che è appena passata un po’ di più. Che intrighi! Che spettacolo! Quanto intrattenimento! Iniziata con il furto dei gioielli del Louvre e finita con i fuochi d’artificio al Centre Pompidou in chiusura per i prossimi anni, passando per la walk of shame di Sarkozy che si trasferisce in prigione, sono stati sicuramente giorni intensi per la Francia. L’arte del furto, il Louvre e gli altri colpi del secolo Il furto al Louvre Sul furto in verità ho qualche lamentela: per quanto notevole, il colpo mi sembra mancasse di climax e che la parola “montacarichi” abbassi tremendamente il livello della narrazione. Forse sono viziata dalle versioni cinematografiche di furti mirabolanti, in cui a occuparsi della logistica del colpo è Brad Pitt in doppiopetto avorio, non quattro tizi armati di smerigliatrice (altra parola orrenda) che in sette minuti entrano dal balcone del Louvre come fosse casa di mia nonna e dallo stesso balcone se ne escono indisturbati con qualche chilo di corone reali sottratte in pieno giorno da una teca aperta senza fatica dalla medesima smerigliatrice già usata per entrare. Neanche un raggio laser, nemmeno un infiltrato molto snodato che si cala dai condotti dell’aria condizionata. Nemmeno una botta in testa al custode come nella canzone di Ivan Graziani. Un’operazione di una banalità disarmante, che non credo ispirerà alcuna trilogia di Steven Soderbergh e non scomoderebbe nemmeno l’ispettore Clouseau, per quanto le premesse sarebbero perfette per un reboot della Pantera Rosa. Non so come potrebbe finire questa storia, se non con i diamanti storici svenduti su Vinted da qualche giovane donna francese che contratterà sul prezzo fino allo sfinimento, per poi inviarli in un pacchetto spruzzato di profumo alla lavanda. Merci pour votre achat. Sarkozy nella cella da nove metri quadrati a Parigi, è tutto «molto italiano» La walk of shame di Sarkozy Ben più romanzesca invece la scena dell’ex presidente Nicolas Sarkozy che con Carla Bruni in dolcevita accanto, anche lei vestita nei toni del gabbio, si appresta a scontare la sua pena in carcere. Oltre a un certo inevitabile gusto a vedere un ex capo di stato costretto a riflettere sulle conseguenze delle proprie azioni – e su questo nessuno batte i francesi dal 1789 – non posso che apprezzare anche alcuni dettagli che arricchiscono l’episodio. A partire dal Conte di Montecristo che si è portato da leggere. Una semplice scelta simbolica per dire che anche lui è stato ingiustamente incarcerato o una grave lacuna tra le sue letture dei classici che aspettava la prigione per poter recuperare? O è forse una di quelle persone che hanno bisogno di letture tematiche? Leggo Bolano in Cile, Knausgard in Norvegia, Montecristo in cella. Una cella che comunque è meglio di certi alberghi in cui ho pagato per dormire, sicuramente meglio di certi monolocali che a Parigi paghi a caro prezzo. Nove metri quadrati con bagno privato, letto e scrivania. Accesso alla palestra e alla biblioteca, nel caso Dumas non lo appassionasse. Una situazione abitativa che trovo francamente invidiabile, io che continuo a vivere in un bilocale con un fidanzato e un figlio, costretta talvolta a fare le telefonate al cesso per avere un po’ di silenzio. Il mio spazio vitale è sicuramente al di sotto di nove metri quadrati, e mi servirebbe forse la prigione e quella bella scrivania per decidermi a finire il libro che mi trascino dietro da anni e si ostina a non scriversi da solo. Che pace, che tranquillità, che concentrazione in quella piccola stanza sobriamente arredata e sprovvista di connessione a internet e di distrazioni di qualsiasi sorta. Scriverà ovviamente le sue memorie dal carcere, dice Sarkozy, ma non ci interesseranno. Sarò invece pronta a leggere qualsiasi cosa vorrà scrivere Carlà, o ad ascoltare una sua canzone triste ma orecchiabile sull’amore dietro le sbarre. Sarkozy, il Louvre e altri disastri: la fine di regime tragicomica di Macron Chiude il Centre Pompidou Si finisce col botto, letteralmente, con lo spettacolo pirotecnico con cui il Centre Pompidou ha chiuso le porte fino al 2030 e che visto che ormai non mi fido più di nessuno sono stata convinta per più di ventiquattro ore che fosse stato generato dall’intelligenza artificiale. Era invece una performance dell’artista Cai Guo-Qiang a sfidare il mio scetticismo e mi ha riportato indietro nel tempo. Non che avessi mai visto qualcosa di simile, ma per poserismo adolescenziale e mancanza di iniziativa ho passato molte ore dentro e davanti al Beaubourg nell’estate dei miei diciotto anni. Avevo appena ricevuto un Mac portatile e basica come una Emily in Paris qualunque aggiornavo un blog aperto per l’occasione seduta in terra in quella piazza. La sera non c’erano fuochi d’artificio, ma maree di topi che uscivano dai tombini dopo il tramonto e quello era il segnale che era il momento di tornare a casa o raggiungere qualche amico della scuola di francese a bere alcol scadente sul lungo Senna. Era il migliore dei tempi, era il peggiore dei tempi. Non è vero, Carlà?