La tele-visione è visione da lontano, il mondo e il divertimento ti entrano in casa senza che tu debba spostarti dal salotto, dunque perfetto in tempi di lockdown totale o parziale. Ma allora che cos’è questo sottile malessere che ci prende se guardiamo un po’ a lungo i programmi di intrattenimento televisivi? I varietà, i talent, lo sport, gli speciali di teatro e di musica?

Esauriti, tra aprile e maggio, i programmi già pronti (col famoso avviso “registrato prima del Dpcm” eccetera), i maghi del palinsesto hanno dovuto porsi di fronte al dilemma: dimenticarsi del Covid o spettacolarizzarlo? Si è capito in fretta che la spettacolarizzazione riusciva molto meglio nei programmi di informazione e approfondimento, con le liti tra i virologi e i servizi sulle città troppo piene o troppo vuote, e l’esecrata movida e le storie patetiche (o le giustificate esasperazioni) dei non garantiti.

Alle trasmissioni più leggere conveniva adempiere il primo compito, quello di distrarre gli spettatori regalando momenti di spensieratezza, dal talk disimpegnato alle gare di canto e di ballo. Da brava figlia di un generale dell’esercito, Milly Carlucci ha fornito la formula più eticamente rigorosa: «ciascuno deve fare il proprio dovere, e il nostro dovere è farvi divertire».

Fedele alla missione, ha tenuto botta con cipiglio da sergente ai ballerini che finivano in quarantena, a infortuni di ogni genere, a continui aggiustamenti in corso d’opera; il Covid bussava da ogni parte ma lei sorrideva, eroica. Anzi, qualche attore che in altri tempi le aveva detto di no si è convinto a partecipare trovandosi momentaneamente disoccupato.

Poi è toccato a Carlo Conti di ammalarsi, si collegava da casa a Tale e quale e i vari giudici, da Loretta Goggi a Giorgio Panariello, si alternavano per dargli una mano nella conduzione da studio. Lo stesso è accaduto, per un paio di puntate, ad Alessandro Cattelan conducendo X Factor: il suo viso su un tablet sorretto da un corpo anonimo. Insomma si apprezzava la dedizione e l’ingegnosità, ma la spensieratezza ne era un po’ incrinata.

Altro problema, di opportunità e di pudore: come abbandonarsi alle frivolezze del gossip mentre il paese sta soffrendo? Davvero ci importa, in questi momenti, se la più appariscente delle influencer ha tradito il calciatore?

Retorica e (pochi) tentativi fortunati

Ma la vita è varia, dicono le conduttrici dei contenitori pomeridiani, bisogna “voltare pagina”. E allora vai con le recriminazioni sceme, le insinuazioni malandrine, chi ha chiamato il paparazzo? E litigare urlando, anche se è difficile litigare distanziati.

Per i contenitori serali lunghi, formato tabloid, funzionano le fasce orarie: Covid o derivati fino alle ventitré, pettegolezzi scollacciati a ruota libera da lì all’una di notte. Ma il Covid ci mette comunque la coda nelle anomalie del distanziamento: perché due fidanzati o coniugi conviventi devono restare a più di un metro? «Lo so che appena fuori di qui», ammicca Barbara D’Urso, «vi abbraccerete, ma qui dobbiamo dare l’esempio e dovete stare lontani», esempio di che non si sa, forse di irragionevolezza, come se il nemico da cui difendersi non fosse il contagio ma la paura di infrangere le norme. (A questo proposito, è comparsa a Milano una inedita tipologia di coglione: quello che va in giro senza mascherina ma la indossa appena vede passare un’ambulanza).

La mancanza del pubblico è più o meno grave a seconda del grado di euforia che si era soliti creare intorno a ogni specifico format: gravissima per gli stand up comedian che lavorano sulla provocazione, più che sopportabile per le bande di Propaganda Live o Stracult o Che tempo che fa, perché l’affiatamento del gruppo supplisce al calore umano carente; nelle partite di calcio il silenzio sugli spalti è più pesante che nel tennis, a X Factor la differenza si è sentita soprattutto per la finale, dove sono mancate le pirotecniche ovazioni del Forum di Assago.

Con le sagome cartonate non si può interagire granché, e pochi sono i conduttori che sappiano giocare coi mosaici di zoom; ci hanno provato a E poi c’è Cattelan, ci sta provando Geppi Cucciari a Che succ3de? su RaiTre. Un poco anche Michelle Hunziker a All together now, ma lì il panel è in carne e ossa e quel che ci si chiede soprattutto è se le esili paretine divisorie di plexiglas bastino a proteggere i votanti quando si alzano entusiasti e incoraggiano.

Gli occhi e l’attenzione di noi spettatori da casa sono proprio cambiati: quando sullo schermo due persone si avvicinano, o si danno la mano, scatta spontanea la domanda «perché quelli possono toccarsi? Avranno fatto il tampone?». Che si tratti di attori che promuovono il loro film, o di cuochi novizi a scuola, o di uno che ha appena vinto duecentomila euro in un quiz e festeggia con chi gli capita a tiro; istintivamente misuriamo la balistica dei droplets, la formula “ti abbraccerei, ma…” (con la gomitata o il pugno sostitutivi) è diventata il massimo segno di condivisione emotiva nel nuovo galateo.

Alfonso Signorini o Pupo non si stancano di ripetere ai concorrenti del GFVip quanto siano privilegiati a potersi baciare, come se la reclusione collettiva fosse ormai una condizione invidiabile; quando un parente o un amico va a trovarli, li stringono attraverso manicotti da astronauta.

Neppure mentre ci divertiamo possiamo dimenticare il contagio. Perfino la pubblicità ormai vi allude apertamente: «Abbiamo bisogno di unirci per andare sempre più lontano» proclama lo spot delle auto Mazda, e la Molisana rincara «Un’Italia che esiste e lavora nel silenzio, che non molla, un’Italia tenace come la nostra pasta»; la pubblicità parla come i politici, e viceversa. (Si riesce a immaginare Carosello che usa le stesse frasi di Andreotti o di Pajetta?).

I più decisi nell’aggiornarsi sono stati gli autori di 4 ristoranti, il programma di cucina di Alessandro Borghese: nella nuova stagione hanno organizzato una gara tra i delivery, dove al posto della posizione e degli arredi del locale si giudica la “location digitale”, cioè la app, e si valuta il packaging. E’ un surrogato, un ripiego. Uno dei pochi testi creativi all’altezza del momento è stata finora la mini-serie animata di Zerocalcare intitolata Rebibbia Quarantine, all’interno di Propaganda Live.  

L’altro giorno si è celebrata, è vero, l’inaugurazione della Scala diretta dal maestro Chailly in mascherina: con una successione di arie cantate in costume, più l’immarcescibile Roberto Bolle: molta retorica tricolore ma le arie, così avulse dal contesto, sono la negazione kitsch dell’opera lirica; e i cori erano ancora peggio, coi cantanti impalati e distanziati. La stessa retorica purtroppo (ma forse non poteva essere altrimenti) ha imperversato nelle commemorazioni funebri di Gigi Proietti e Stefano D’Orazio, a cui si sono aggiunte quelle per Maradona e Paolo Rossi.

Tv senza desiderio

La televisione generalista è ora più che mai una televisione per anziani (non è un caso che proprio ora sia iniziata una versione ‘senior’ di The Voice); e gli anziani hanno soprattutto voglia che tutto ritorni com’era. In loro l’amore per la tradizione si mescola alla forza d’inerzia; è tranquillizzante vedere che le trasmissioni a cui si è abituati continuano.

Pure la tivù ci dice che non usciremo da questa pandemia né peggiori né migliori ma uguali; a meno che davvero non siamo entrati nel ‘pandemiocene’ e i virus diventino ricorrenti, nel qual caso mutare sarà obbligatorio.

Nei programmi di intrattenimento, ora, non soltanto sono rare le invenzioni ma l’eros è ridotto agli abiti aderenti e alle scollature in evidenza: anche la carnalità del teatro (vedi Ricomincio da RaiTre con Stefano Massini sabato scorso) è immalinconita dalle letture davanti a un leggio, e perfino i danzatori di Emma Dante si disperavano in solitaria. Manca il pulviscolo impalpabile del rapporto tra i corpi; se il virus dell’Hiv ci inibiva gli atti del sesso, il Covid più subdolamente ci ha tolto il desiderio.  

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