Lirismo e satira di Šostakovič. La Scala sulle rive del Volga

Sarà per la passerella di volti celebri, la presenza dei politici o l’attenzione di tv e radio: fatto sta che ogni 7 dicembre si rinnova un rito tutto milanese e insieme nazionale: flash, abiti più o meno sobri, loggione pronto a fischiare o a esplodere in applausi. È il fascino della “prima” del Teatro alla Scala che, pur avendo smarrito un po’ della sua aura (almeno la sera inaugurale), continua a esercitare un potere magnetico. Negli ultimi anni il Teatro ha presentato opere che si prestano alla diretta televisiva su Raiuno: spettacoli ben assortiti, cast di prim’ordine, con la guida di Riccardo Chailly che preserva la produzione da stramberie interpretative. Quest’anno la “prima” vuole rendere omaggio a Dmitrij Šostakovič nel cinquantenario della morte. Il direttore scaligero e il regista russo Vasily Barkhatov lo fanno con Una lady Macbeth del distretto di Mcensk, tratta dal racconto di Nikolaj Leskov, trasformato in libretto da Aleksandr Prejs e dallo stesso Šostakovič. Il Macbeth di Joel Coen torna sulle tenebre della natura umana L’opera Siamo nel 1934 e l’opera riscuote un grandissimo successo, almeno fino alla replica del 1936 a Mosca quando in platea c’è anche Josif Stalin che sembra lasciare la sala inorridito. Due giorni dopo appare sulla Pravda la celebre stroncatura, intitolata «Caos invece di musica», con cui il regime mette all’indice l’opera e il compositore. Gli effetti sulla vita musicale e personale di Šostakovič sono devastanti: l’idea di costruire una trilogia sulla condizione della donna in Russia viene abbandonata immediatamente e il compositore lavora a una seconda versione, messa poi in scena a Mosca solo nel 1963. L’opera è attraversata da una fitta rete di tensioni: tra il testo originale e il libretto; tra momenti di lirismo folgorante e improvvise esplosioni di feroce satira; tra la simpatia e la condanna che suscita nello spettatore; e, soprattutto, tra la sua agenda morale e quella del contesto – la Russia staliniana – in cui nacque e venne recepita. Katerina L’vovna Izmajlova (interpretata dal soprano Sara Jakubiak) è una donna annoiata, trascurata e maltrattata, che arriva a macchiarsi di una serie di omicidi per proteggere la relazione clandestina con Sergej (il tenore Najmiddin Mavlyanov), operaio e suo stupratore. Quando il suocero scopre tutto, Katerina gli fa mangiare funghi avvelenati. Poco dopo, suo marito Zinovij (il tenore Yevgeny Akimov) rientra e trova il padre morto, allora lei e Sergej lo strangolano. I due vengono condannati alla deportazione in una remota colonia penale. Sulla strada per la Siberia, Sergej si lega a Sonetka (il mezzosoprano Elena Maximova), un’altra forzata. Umiliata e disperata, Katerina trascina Sonetka con sé nelle acque del Volga, in un abbraccio mortale per entrambe. Šostakovič è uomo di teatro: ha la capacità di modellare i personaggi attraverso l’orchestrazione, la linea vocale e l’armonia. Il suocero di Katerina, Boris (il basso Alexander Roslavets), canta un goffo valzer, reso ridicolo dal «dialogo» tra fagotto e trombone. L’amante Sergej, è connotato da una musica di dolcezza mielosa e a buon mercato, tutto il contrario del suo carattere animalesco. Katerina è il personaggio più ambiguo (e per questo, il più studiato) dell’intera opera. Šostakovič dichiarò apertamente di voler rappresentare una donna forte. Molti però sostengono che il suo trattamento musicale, che fa di Katerina l’unico essere umano capace di sentimenti e passioni in un mondo di barbarie, finisca per ridurla a vittima, offrendo così una giustificazione eticamente discutibile ai tre omicidi. Vogliamo Wagner perché mette in scena la crisi della modernità Vittima e carnefice Il dibattito tra studiosi è articolato e segnato da posizioni antitetiche: alcuni affermano che, con Katerina, il compositore voglia (addirittura) giustificare la barbarie staliniana. Di certo, la protagonista incarna due mondi: quello della vittima e quello del carnefice. Come possono coesistere? Essere vittima giustifica il diventare carnefice? L’opera lirica è piena di eroine sofferenti, e si potrebbe dire che Katerina si vendichi non solo di ciò che ha dovuto sopportare, ma anche di ciò che hanno subìto le protagoniste che l’hanno preceduta, rimediando – in qualche modo – al maltrattamento delle «colleghe» soprano. Lucia Ashton, in Lucia di Lammermoor di Donizetti, dopo essere stata costretta a sposare Arturo, lo uccide e muore poco dopo, travolta dalla follia. Floria Tosca, nell’opera pucciniana, dopo aver eliminato il malefico Scarpia nel tentativo (vano) di salvare Mario, si getta da Castel Sant’Angelo. Gulnara, ne Il corsaro di Verdi, uccide l’uomo che l’aveva ridotta in schiavitù nel suo harem e che ora minacciava la sua vita, oltre quella dell’uomo che lei amava. Da un certo punto di vista, queste donne sono considerate «martiri» che ottengono una sorta di redenzione; su Katerina, invece, sembra abbattersi solo vendetta. Così la protagonista non incarna solo “il mondo” shakespeariano di Lady Macbeth ma anche quello dello stesso Macbeth, evitando volutamente di lasciarsi definire da uno dei due poli: in lei convivono la psicologia distruttiva di Macbeth e la dissoluzione interiore di Lady Macbeth, rendendola un’eroina mai totalmente comprensibile dal mondo in cui vive e per noi oggi. La coesistenza tra vittima e carnefice trova probabilmente una sua ragione all’interno di un’ambiguità, di un «travestimento» – per riprendere l’espressione di Hannah Arendt – che è, secondo molti, caratteristico della fenomenologia del male. Non è facile giungere a una conclusione e dunque offrire una risposta esaustiva. Šostakovič rincara la dose e nella scena finale della versione riveduta del 1963, dopo che Katerina si getta insieme alla sua rivale Sonetka nelle acque oscure del Volga, fa dire a un detenuto: «Oh, perché la nostra vita è così oscura, terribile? Le persone sono davvero nate per una vita simile?». Per alcuni, questa domanda resta senza risposta. Per altri è l’inizio di un cammino. Sipario. Quel pasticciaccio brutto della Fenice: peccato non chiamarsi Venezi