Come sanno tutti, anche quelli che non hanno mai letto Fitzgerald, non esistono secondi atti nelle vite americane. Si vede che Fitzgerald se lo sentiva, giacché lo scrisse nel romanzo che doveva lanciare il secondo atto della sua vita letteraria, mai realizzato causa morte precoce: Gli ultimi fuochi, cioè The Last Tycoon, cioè l'ultimo magnate.

Il magnate che ci tormenta oggi è invece – direi incredibilmente, i Servizi deviati non sono più quelli di una volta – ancora vivo. E per di più molto rumoroso, rancoroso e forse non sarà neanche l'ultimo: Donald Trump è uscito finalmente sconfitto dalle elezioni presidenziali dopo un conteggio dei voti dalla flemma romanesca, e poi proprio come il suo collega palazzinaro Aldo Fabrizi in C'eravamo tanto amati si è chiuso in ufficio dichiarando al mondo «Io nun moro. Nun moro!».

Un thriller politico diretto da Checco Zalone, con Donald disposto a tutto per tenersi quello che evidentemente credeva fosse un posto fisso, nel frattempo mandando a puttane ogni certezza su quella che credevamo fosse la più perfetta democrazia del mondo.

Brogli, sbrogli, sbrocchi, sbattimenti: nessuno dei cavalli di battaglia di Donald ci è stato risparmiato in queste avvincenti settimane, tutto senza mai concedere la vittoria a Joe Biden e vendendosi intanto gli argenti e le password della Casa Bianca in attesa di essere sfrattato a forza il prossimo gennaio. Perché ora che pure Rupert Murdoch fa finta di non conoscerlo, e Fox News gli toglie la linea durante i monologhi, persino Trump avrà capito che non c'è trippa per gatti: è ora di cercarsi un lavoro vero.

Alcuni consigli per un degno secondo atto, consapevoli che Trump è come uno spettacolo di drag queen: a tough act to follow, persino per sé stesso.

Tornare allo spettacolo

Come il suo spirito animale Silvio Berlusconi, Trump è un intrattenitore nato e sarebbe un peccato sprecarne il talento. È ora di tornare allo spettacolo vero, quello di Hollywood, non di Washington DC. Del resto si era già coltivato una vasta base di fan interpretando il cumenda cafone ma simpa su tutti i set fondamentali di fine secolo: Willy il Principe di Bel Air, Sex and the City, Mamma ho perso l'aereo 2, La Tata, Zoolander, persino Celebrity di Woody Allen.

Si sa che in America per ricostruire una carriera esiste un solo uomo: Quentin Tarantino, il regista che già salvò quella di John Travolta, altro grande obeso invischiato fino al collo in pericolose sette. Ma Tarantino è un sincero democratico, e al massimo lo userebbe come ha usato i nazisti e gli schiavisti: per massacrarlo senza fantasia nel finale.

No, la vera svolta per Donald è un'altra: venire a Cinecittà. Prima o poi torneranno i cinepanettoni, e dopo la morte di Guido Nicheli resta forte il bisogno di un nuovo gran bauscia immedesimabile. Ha già la spalla perfetta in Melania, e aspettiamo con ansia il momento in cui le dirà «Mar-a-Lago – Hotel Cristallo di Cortina 2 ore 54 minuti e 27 secondi. Alboreto is nothing».

Commissario in Calabria

Trump ha perso le elezioni ma ha comunque vinto la Florida, dunque perché non trasferirsi in un'altra località di mare, palmizi e sparatorie? È stato appena nominato il prefetto Guido Longo, ma non sarà certo casuale che la Calabria ha con i suoi commissari alla Sanità lo stesso rapporto che Trump ha avuto negli ultimi quattro anni con i suoi più stretti collaboratori: nominati e scaricati in 24 ore.

Inoltre Donald è astemio, quindi non potrà mai fare peggio di Cotticelli, quello che si domandava in tv se per caso non fosse stato drogato mentre esercitava le sue funzioni. E non ha neanche la scusa di Gaudio, quello con la moglie contraria a Catanzaro: Melania ha fatto la First Lady senza praticamente mai trasferirsi alla Casa Bianca, Trump è abituato al matrimonio agile. 

E il suo approccio all'emergenza Covid è straordinariamente simile a quello della regione Calabria: nessuno. E come per l'icona calabrese Cetto La Qualunque, di cui è l'incarnazione Wasp, anche nella campagna elettorale di Trump il tema del “pilu” è stato dirimente. E la 'nduja sul cheeseburger è la morte sua.

Il Corona americano

«I soldi sono il limite che segna il mio successo e il mio valore. Oltre quel limite valgo, sotto no». «Il guadagno immediato mi è sempre piaciuto tantissimo». «Io ho il coraggio di dire cose che il bigottismo dei nostri tempi non consente». «Ora fanno tutti quello che gli ho insegnato io». «Gli altri non sono più persone, ma spettatori». «Da casa muovo 4 programmi televisivi, sono mie le 12 storie più importanti degli ultimi mesi». «Sono innamorato di me. Se rinasco, voglio essere uguale». «Ho l'horror vacui». «Sono il figlio di mezzo di un padre che aveva molto da fare e di una madre che aveva le sue tribolazioni personali. Sono stato molto solo. Non che adesso sia diverso». «Mi pento solo delle cose che ho fatto vittima del mio personaggio». «Non mi importa fare una fine drammatica: l'importante è che poi Netflix faccia una serie sulla mia vita». «Le ho già detto che sono Dio?»

(Donald Trump intervistato da Vanity Fair in occasione della sua autobiografia Come ho inventato l'America – La Nave di Teseo, 2021)

Farsi arrestare

Le uniche differenze visibili tra Donald Trump e Fabrizio Corona sono due: Corona è in perfetta forma fisica ed è stato in galera. Il carcere è chiaramente nel futuro di Trump: collusione con la Russia, molestie sessuali, evasione fiscale, insolvenze miliardarie, manca solo il vilipendio di cadavere.

Gli americani sono giustamente terrorizzati: cosa farà per evitare il disonore della cella a gennaio? Scatenerà la guerra civile? Garantirà il perdono presidenziale a sé stesso? Tenterà il golpe? Fuggirà a Mosca con file riservati? Secondo me c'è una soluzione molto più semplice, che colmerebbe definitivamente il gap tra Fabrizio e Donald e farebbe tutti contenti: Trump deve farsi arrestare. Ma in Italia.

Non solo perché i suoi capi d'accusa qui da noi fanno più che altro simpatia, ma soprattutto per quell'altro motivo. Se seguite la cronaca giudiziaria nazionale avrete notato sicuramente una cosa: niente garantisce una remise en forme come le carceri italiane. Sabrina Misseri, Valter Lavitola, Totò Cuffaro, Lele Mora, solo per citare i più noti, sono rinati: snelli, ringiovaniti, tonici, pieni di energia.

Dopo la sconfitta Trump si è già messo sulla buona strada cambiando tintura: un grigio autorevole che lo fa sembrare quasi una persona normale. E sono anni che gli antipatizzanti ripetono quanto sia orrendo e deforme (lo chiamano Mar-a-Lardo, perché il body shaming ferisce solo quelli che ci stanno simpatici). Qualche annetto a Poggioreale o San Vittore e poi vediamo chi ride: prevedo sfracelli al Trono Over.

Social media manager

Nessuno ha elevato Twitter a arte performativa quanto Donald Trump: lampi improvvisi, cri du coeur, refrain, leitmotiv, urlo di Munch, tutto in maiuscolo, tutto puntoesclamativo, tutto random a qualsiasi ora del giorno e della notte. SAD! WITCH HUNT! MAGA! I WON! LAW & ORDER! TREMENDOUS! È il primo presidente americano a essersi radicalizzato on line. Ma adesso persino Twitter lo bullizza marchiando ogni sua urgenza creativa con «disputed». Quanta ingratitudine.

E quanto bene farebbero i nostri Renzi, Calenda, Salvini ad assumerlo come social media manager. Come Renzi, è sborone e vendicativo, ma almeno non si fingerebbe compagno di merende di Obama e Blair pure quando parla della Rificolona. Come Calenda passerebbe la giornata sui social, ma invece di esortare alla riflessione chiunque osi fargli un appunto risponderebbe semplicemente CREPA! E come Salvini...beh, farebbe quello che da sempre cerca di fare Salvini: Donald Trump. Magari questa volta riesce a tutti e due.

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