Le avrete viste, lungo il bordo della pista, queste lucciole elettroniche che si accendono e lampeggiano, ti invitano a starle dietro, anzi davanti, perché restando davanti hai la certezza che il tempo al traguardo sarà super, sarà un tempone, sarà un primato. Wavelights, così si chiama il tamburo che scandisce il ritmo, il metronomo che aiuta i corridori a reggere il passo della proiezione tecnologica di un avversario immaginario. È come se ci fosse il detentore del record che corre virtualmente accanto a te.

L'uomo che ha inventato Wavelights è uno che si è fatto rubare il mestiere dal suo Frankenstein creato in laboratorio. Lo faceva lui, un tempo, quel lavoro là. In America li chiamano pacemaker, noi meno drammaticamente lepri. Bram Som, co-creatore e direttore operativo dell'azienda, è stato un pacemaker di buon nome, a suo tempo, uno di quei corridori cioè incaricati di mettersi in testa nelle fasi iniziali di una gara e spremersi, spremersi fino in fondo, dare tutto e poi farsi da parte. Non sono una novità della corruzione di questi tempi, signora mia, sempre a caccia dell'eccezionale. Le lepri le aveva pure Roger Bannister quando l'umanità era migliore [ehm], quando diventò il primo corridore a scendere sotto i quattro minuti nel miglio, era il 1954.

Som a un certo punto ha riflettuto sul fatto che le lepri umane si ritirano al momento concordato, quando l'acido lattico le sta sbranando. Il raggio verde invece non si stanca mai, come ha scritto il New York Times nella ricostruzione del fenomeno. Le 400 luci a led installate a intervalli di un metro lungo la corsia interna di una pista, accompagnano i corridori fino al traguardo. Se mantieni il vantaggio su di loro, ce l'hai fatta.

  neologismi IL PAC-MAN ►  Se i tempi cambiano, pure la lingua dovrà adeguarsi. Infatti. Come si chiama allora l'atleta che segue la lepre, anzi le palline di luci luminose, le acchiappa, le mangia, le supera e ce la fa? Si chiama Pac-Man, come il personaggio del celebre videogioco che divora i punti all'interno di un labirinto. Jakob Ingebrigtsen, per esempio, è uno di loro, uno dei fenomeni che la Norvegia sportiva ha preso a partorire uno dietro l'altro, e in ogni sport. Ne hanno un altro pure sui 400 ostacoli, Karsten Warholm, primatista mondiale, in pista lo riconoscete perché prima del via si prende a schiaffi sulle cosce. Una volta al traguardo si è strappato la maglia per la gioia, alla Hulk, i meme sui social hanno fatto di lui una proiezione in campo sportivo dell'urlo di Munch.


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Le luci aiutano anche il pubblico. Così dalle tribune non devono guardare il cronometro, non devono conoscere il tempo da battere. Basta tener d'occhio le palline lampeggianti a bordo pista, per capire immediatamente se il record sta arrivando o no. Qualche settimana fa, ne sono caduti tre nella stessa sera, al meeting di Diamond League in Parigi, la città dei Giochi dell'estate 2024: Ingebrigtsen l’ha fatto nelle 2 miglia [specialità non olimpica], la kenyana Faith Kipyegon sui 5.000 metri, l'etiope Lamecha Girma sui 3.000 siepi. Tutte e tre le prove sono state aiutate da Wavelights.

  scenari LE RESISTENZE ►  I tradizionalisti si irrigidirono sin dal primo istante. Come del resto nel caso delle super scarpe in fibra di carbonio e la schiuma all’interno, i modelli nati per raccogliere e sfruttare l’energia di rimbalzo dal suolo, prima nelle maratone su strada e poi nelle prove su pista. Som ha ricordato al New York Times di tutte le volte in cui lo hanno accusato di aver introdotto un doping tecnologico. I rappresentanti della Nike, riferisce il giornale americano, sono stati i più felici del dibattito sulle luci. Così, quello sulle loro suole e i loro tacchi è un po' scemato. L'idea di Som è che lo sport sia una materia in evoluzione continua, del resto un tempo si correva scalzi, oggi ci sono le luci, tra cinquant'anni chi lo sa. Wavelights non era nata per mettersi al servizio dei record, era stata concepita come un aiuto all'allenamento per attirare più persone verso l'atletica.

Tutto è cominciato sei anni fa, dal mandato di un club olandese, di Zeewolde. Jos Hermens, il manager di Som durante la sua carriera, gli fece una telefonata e lo spinse a farsi venire un'idea. La International Track Association aveva avuto un'intuizione analoga una cinquantina d'anni fa. Oggi Som allena la kenyana Beatrice Chepkoech e continua a sostenere che le luci sono soprattutto un fantastico strumento per allenarsi. Sebastian Coe, il presidente di World Athletics, se n'è invaghito, nel suo costante lavoro di apertura all'innovazione. «Penso che sia utile per i giovani a casa che guardano la televisione», ha detto. I giovani del resto sono sempre una buona scusa. Ma è ancora abbastanza improbabile che la tecnologia arrivi alle Olimpiadi o ai Mondiali, dove il concetto di sacralità si demolisce meno in fretta e le radici della tradizione non si estirpano in due minuti. 

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