«Di tutti gli azzardi letterari», sembra aver detto una notte Gabriel García Márquez all’amico Álvaro Mutis «l’unico davvero irrealizzabile mi sembra quello di scrivere una storia gotica ambientata ai Caraibi». Accettando il guanto di sfida, quell’altro scrisse allora La casa di Araucaíma, la storia di un grande casale isolato nella campagna tropicale che rovinerà nel delitto, un racconto tetro seppure acclimatato nei paraggi dei luoghi più soleggiati e balneari al mondo.

Ora, se mai Gabriel García Márquez, scendendo a sud di qualche chilometro, lasciandosi alle spalle le Antille e le coralline Bahamas, e viaggiando fino all’Argentina, avesse fatto la conoscenza di Mariana Enríquez, di certo non avrebbe mai osato sfidare la scrittrice nata a Buenos Aires nel 1973, come aveva fatto con Mutis anni prima. Con lei, che nei paesaggi dei tropici evoca i culti guaraní e le statuette di San La Muerte, i simboli della stregoneria medievale, il weird, le figure dei tarocchi e le antiche leggende irlandesi, il colombiano certamente non avrebbe azzardato a dire che ambientare una storia gotica in riva all’oceano Atlantico sarebbe stato impossibile.

E leggendo La nostra parte di notte, il romanzo di Mariana Enríquez, uscito per Anagrama, vincitore del prestigioso premio Herralde e appena pubblicato da Marsilio con la traduzione di Fabio Cremonesi, si capisce perché Márquez non avrebbe mai avuto l’audacia di stuzzicare o impermalire l’autrice con una sollecitazione di quel genere.

Nera e sentimentale

Mariana Enríquez, con la sua stregoneria evocatoria, è uno dei ghul della letteratura contemporanea e questo suo libro, che ha la voce rauca di una confidenza notturna, è un romanzo felino, imprevedibile e unghiato.

Innanzitutto ci sono un padre, un uomo altissimo e sconcertantemente biondo, e il suo giovane figlio. E considerato che il genitore è un medium capace di possessioni e incantesimi, si capirà che persino più di un fantasma, un padre può infestare e rendere invivibile una casa con il solo suo imperversare tra le mura domestiche. Il figlio prova per lui una risentita forma di devozione, mentre il padre si addolora perché il suo potere sovrannaturale, come un’infelicità congenita, passerà presto di generazione.

La nostra parte di notte è sì la storia di formazione di un giovane ragazzo argentino cresciuto durante i massacri della dittatura del generale Videla, è sì una tenebrosa saga familiare in cui non esistono uomini qualsiasi o ambizioni comuni, ma esistono soltanto glorie segrete, ma è anche un racconto di facoltà straordinarie e organizzazioni nascoste, ed eredità spaventose come ricatti. Eredità come avvertimento o come profezia.

Un passaggio segreto nel caminetto, ecco cos’è La nostra parte della notte. Mariana Enríquez con la sua eloquenza persuasiva ci invita a infilarci la testa. E noi, là dove reputeremmo di trovarci una canna fumaria e uno sfondo di mattoni anneriti dal fumo, là scorgiamo invece un pannello di legno scuro. Sempre una porta. C’è una maniglia: quel pannello è quindi davvero una porta. Dietro quella porta c’è una galleria. Mariana Enríquez, con una voce roca a volte da strega e a volte coroner, le dita delle mani aperte e i palmi rivolti verso il lettore, ci convince a proseguire. E noi andiamo avanti, avanziamo un passo dopo l’altro a capo chino e a tentoni nell’oscurità.

Intravediamo d’un tratto una scala e sappiamo che dobbiamo prenderla, si scende. Vediamo appena i gradini, alla luce di una lanterna a cherosene, ma avremo gli occhi asciutti per la sorpresa, una volta che saremo finalmente arrivati di sotto.

Mariana Enriquez è una scrittrice nera e sentimentale, è una scrittrice di mostri e di legami famigliari. I dintorni delle sue vicende sono lussureggianti e minacciosi, tanto la selva quanto le città, tanto quel figlio e quel padre quanto la loro madre, e come quest’ultima anche lei ci spaventa e ci dà riparo nelle ombre.

Ispirarsi alla follia

I suoi libri sono velenosi, sono piante carnivore. Sgomentano, turbano, impauriscono, non ammansiscono, non sono storie dalla coscienza immacolata e il colletto inamidato di fresco.

Nel racconto che dava il titolo alla raccolta pubblicata cinque anni fa sempre da Marsilio, Le cose che abbiamo perso nel fuoco, le donne di una città iniziarono a bruciarsi: dopo millenni in cui sono stati gli uomini a ucciderle, a  bruciarle, a farne roghi e pire, ora si bruciano da sole, hanno deciso così di loro spontanea volontà, e «non per morire, ma per mostrare le nostre cicatrici». Ogni sentimento ignobile, ogni tragedia attrae la maliziosa intelligenza di quest’autrice argentina.

Forse incredula lei stessa della vitalità forsennata dei suoi personaggi, Enríquez è baciata spesso dalla fantasia delle pittrici surrealiste Dorothea Tanning o Leonora Carrington e per l’inquietante visionarietà ricorda certi disegni dell’artista australiano Bob Haberfield, tra occhi che spuntano dalle dune di un deserto e ragazzi che camminano sotto una volta di fantasmi urlanti, che negli anni Settanta fecero da copertine ad alcuni romanzi di fantascienza.

«Lo scrittore ha portato avanti una conversazione con la follia. Si potrebbe quasi dire, dello scrittore del ventunesimo secolo, che aspiri alla follia», scriveva Don DeLillo nel romanzo I nomi. Mariana Enríquez si immedesima nella furiosa pazzia dei suoi personaggi, nel vociare dell’aspro coro che canta nelle loro teste e nei loro corpi; parla con la pazzia dell’uomo senza ambizioni e con quella invece che ha propositi di conquista, ne rimane assorta, in profonda concentrazione, astraendosi fino a dimenticarsi di sé.

Un libro salvato dalla follia e restituito alla follia, un libro salvato dal fuoco e restituito al fuoco: La nostra parte di notte.

All’intervistatore della Paris review, William Faulkner disse così: «Se uno scrittore deve rapinare sua madre, non esiterà a farlo: ode su un’urna greca vale un numero infinito di vecchie signore». E poi, ancora, allo stesso intervistatore che gli domandava se fosse ossessionato dalla violenza, lo scrittore statunitense rispose che è come chiedere a un muratore se per caso è ossessionato dal martello. Allo stesso modo Mariana Enríquez non è ossessionata dalla violenza né lo è dalla follia, anche se forse quest’ultima è il suo martello prediletto, ma è il suo lavoro, un lavoro spaventoso, ma qualcuno a questo mondo lo deve pur fare. Un avvoltoio dalla testa nera volteggia su queste pagine.

Mariana Enríquez è una Cenerentola che, tutte le notti, per un sortilegio di cui lei è l’unica fatata e fatale artefice, non ritorna una sguattera o si rammarica di aver perso la scarpetta, ma a ogni scoccare della mezzanotte che dio o il diavolo mandano in Terra, brucia la carrozza, il principe e con lui tutto il suo reame.


Mariana Enríquez è autrice del libro La nostra parte di notte, pubblicato in Italia per Marsilio e tradotto da Fabio Cremonesi

© Riproduzione riservata