Il 19 marzo del 2023, nel reparto di rianimazione del policlinico Gemelli di Roma, è morta Rita Prisco. Era la mamma di Mario Natangelo, vignettista del Fatto Quotidiano, aveva 62 anni ed era nata a Napoli. Una decina di giorni dopo, il 30 marzo, il figlio è tornato al lavoro in redazione. Ha provato a disegnare, come aveva fatto – quasi ininterrottamente – ogni giorno per più di 15 anni. Ma la pagina è rimasta vuota.

Si pensa sempre che il lutto debba essere tinto di nero, e in effetti di solito lo è. Per Natangelo ha preso la forma di una pagina bianca, a simboleggiare il vuoto improvviso che lo aveva travolto. Quel giorno ha raggiunto il padre e con lui è rimasto in un parco, a fissare il cane che giocava, fino al tramonto. Sembrava quasi che tutto il mondo fosse stato inghiottito, nello stesso vuoto di quella pagina bianca.

Cenere

Il giorno dopo Natangelo ha pubblicato online una tavola intitolata “Lo spazio bianco”. «Il mio lavoro è disegnare vignette satiriche. Ma ieri non ci sono riuscito e sul giornale oggi non avete trovato la mia vignetta», ha scritto. «Mi sono dovuto fermare. La testa girava a vuoto e il bianco del foglio mi stava angosciando».

Senza neppure saperlo, Natangelo aveva appena scelto di imboccare una strada nel percorso della rielaborazione del suo lutto. Aveva deciso di non viverlo più solo come un’esperienza intima e personale. Aveva scelto la strada della condivisione. Lo aveva fatto nel modo in cui tante persone comuni, oggi, decidono di farlo: esponendosi sui social. Il racconto di quei giorni e di tutto quello che è successo dopo, per quasi un anno, ora è raccolto in un libro, uscito per Rizzoli. Si chiama Cenere e fa molto ridere.

Perché anche la morte si può sbeffeggiare, fino a scoprire che la satira può essere un’arma in grado di sconfiggere il dolore. O, quanto meno, un modo per riempire le pagine bianche.

La vignetta

Il 19 aprile del 2023, un mese esatto dopo la morte della madre, Natangelo ha disegnato una vignetta che è stata pubblicata il giorno dopo sul Fatto Quotidiano. Nell’illustrazione, Arianna Meloni – sorella della presidente del Consiglio e compagna del ministro Francesco Lollobrigida – è a letto con un uomo di colore che le dice: «E tuo marito?». Lei risponde: «Tranquillo, sta tutto il giorno fuori a combattere la sostituzione etnica». Per quel disegno, Arianna Meloni lo ha querelato e pure l’Ordine dei giornalisti aveva aperto un’istruttoria (poi archiviata). L’altra Meloni, la presidente del Consiglio, lo ha attaccato pubblicamente sui social. Natangelo si è trovato nel bel mezzo di una burrasca mediatica, proprio nei giorni in cui la sua quotidianità era già sconvolta dal lutto.

«Nel libro è un punto di svolta e devo dire che lo è stato anche nella mia vita», spiega oggi. «Non ho avuto possibilità di scelta: mi hanno messo su un ring contro l’avversario più forte, la presidente del Consiglio, e mi hanno detto: “Combatti”. Allora ho deciso di farlo, ma non partecipando alle trasmissioni tv dove mi invitavano, perché sarei stato troppo fragile per farlo. Ho deciso di rispondere con il mio lavoro. Mi sono reso conto che il disegno era la mia arma e io sapevo ancora maneggiarla. È stato come attingere a un serbatoio che non sapevo di avere».

Esperienze condivise

Forse non si può mai essere preparati al lutto, ma nel tempo il rapporto con questa eventualità sta comunque cambiando. Il tabù della morte, su cui si è fondata la società contemporanea in occidente almeno dal Diciannovesimo secolo, si sta sgretolando. È forse l’effetto della presa di coscienza che anche questa è un’esperienza collettiva e che ha riguardato o riguarderà ognuno di noi, prima o poi: come protagonisti o come spettatori. Vivere significa anche fare i conti con la morte.

Esistono libri che sono scritti come dei diari e raccontano l’immersione nel dolore, senza più nascondere ciò che un tempo si aveva timore di raccontare. Alcuni di questi testi sono diventati dei classici, come L’anno del pensiero magico di Joan Didion o il Diario di un dolore di C.S. Lewis, lo scrittore delle Cronache di Narnia.

Il resto lo stanno facendo i social, compreso TikTok, dove anche il lutto viene demistificato e diventa un’esperienza da condividere. Anche perché nel frattempo, proprio sui social, stanno aumentando gli utenti che non sono più in vita, ma i loro contenuti sopravvivono, come pagine di ricordo tenute vive dagli algoritmi. Facebook sta diventando un grande cimitero virtuale.

Davide Sisto, che di lavoro fa il tanatologo, ovvero studia la morte anche dal punto di vista filosofico, si è specializzato nella ricerca su come il mondo digitale stia influenzando il lutto. E ha scoperto che la morte ormai invade molti spazi della vita virtuale, fino a modificare in maniera radicale il modo in cui i più giovani vi entrano in contatto. In altre parole, anche il tabù della morte sta piano piano cambiando.

La comunità

In qualche modo, anche Cenere rientra nel filone di libri in cui si tenta di rendere la morte meno “proibita” e quindi anche meno solenne. Anche se la grossa differenza è che in questo caso lo si fa con una raccolta di vignette, ma l’effetto è lo stesso. «La cosa più bella di questo libro sono stati i lettori: è stato incredibile», spiega Natangelo, che è anche uno dei giornalisti con il più importante seguito sui social network. «Ci sono persone che hanno vissuto un lutto, ma c’è anche chi in qualche modo lo teme o crescendo inizia a pensarci. Io sono abituato a prendere a cazzotti i miei lettori, perché faccio satira».

«Questa volta si è creata invece una comunità che io non conoscevo e che con il mio lavoro non avrei mai incontrato. Forse uno psicologo direbbe che questo non è il modo giusto per elaborare il lutto. Ma quando le persone mi raccontano la loro storia, o quando mi dicono che mia mamma era proprio bella, so solo una cosa: sono contento». Forse è semplicemente un modo per trovare un senso alla morte e a tutte le pagine vuote che ha portato con sé.

Fare satira

Ma Cenere è anche altro. È un manuale su come si possa fare satira anche su argomenti tanto delicati. Il libro si apre 52 minuti dopo che Rita Prisco è morta, nella stanza di un ospedale a Roma. «Il corpo è di là», scrive Natangelo nelle vignette. «Sono seduto su una barella in un corridoio del policlinico Gemelli, sono circa le due di notte. Da dove mi trovo riesco a vedere i tuoi piedi e la famiglia in cerchio intorno a te. Si tengono per mano, stanno pregando. Piangono. Che terroni».

«C’è chi pensa che la prerogativa della satira sia colpire i potenti, ma io lo contesto: non è solo questo», dice Natangelo. «La satira colpisce verso l’alto o verso il basso, colpisce tutto. Io ho fatto satira su me stesso, su mia mamma che stava morendo, sul dolore della mia famiglia e sul lutto. Penso che la satira abbia uno scopo principale: deve far ridere delle cose brutte».

«Certo, a volte è il potere a essere prevaricatore. Ma anche le persone comuni possono esserlo. Con questo libro ho provato a dimostrare che in realtà si può far satira su tutto. Non c’è nulla su cui non si possa ridere». Neppure la morte.

© Riproduzione riservata