La sua prima scaltrezza, proprio quella che ci si aspetterebbe da un baro come lui, è quella di mostrare una magniloquenza da artista del varietà, una solennità insieme spicciola e attraente. Ecco come si presenta, come l’unico sopravvissuto di una numerosa famiglia che, dopo uno scalognato pranzo a base di funghi velenosi trasformatosi in un’ecatombe, si trova a dover diventare grande da solo. È così che iniziano queste memorie, che prima di diventare un libro, erano apparse a puntate nell’autunno del 1934 su un settimanale letterario, creato da Gaston Gallimard, a cui collaboravano abitualmente anche Jean Giono e Georges Simenon.

Tre tipi di bari

Se non fosse abbastanza sconveniente dar retta a uno che si professa un imbroglione, dopo la lettura delle Memorie di un baro, diremmo che ci sono cento modi di barare e soltanto tre categorie di bari.

C’è quello che lo fa senza un metodo o premeditazione, quello che gioca in modo scorretto perché è così che vive dacché è nato, e infine c’è il professionista, quanto mai consapevole e dedito alla pianificazione del raggiro. È questo baro, il mestierante giudizioso, che nel racconto di Sasha Guitry, ci racconterà vita, morte, trucchi e miracoli.

«Ci saranno mestieri più belli, ce ne saranno anche di più lucrosi, chi lo nega? Ma di più divertenti no, non ne conosco». E c’è forse in libreria qualcosa di più divertente di queste pagine? Fatemene perlomeno dubitare. Il libriccino di Sasha Guitry (in uscita per Adelphi, con i disegni dell’autore, la postfazione di Edgardo Franzosini e la traduzione di Davide Tortorella) è un filtro magico di umorismo e squisitezza cinica.

Quando il ragazzino lascia la casa natale, raggiunge Parigi. Lavora in diversi hotel, si fa assumere presso il ristorante Larue e dopo ancora viene ingaggiato in un teatro. Se ne sta strizzato in una livrea di panno verde per tutte le ore del servizio. Le sue mansioni?

L’inganno richiesto

«Raccogliere un ombrello prima che tocchi terra, offrire da accendere al fumatore nel preciso istante in cui lo desidera, non dover tirar fuori l’orologio per dire a qualcuno l’ora esatta». È un tuttofare che si prodiga per essere invisibile e, al contempo, per vedere le esigenze di tutti prima ancora che i diretti interessati capiscano che necessitano di qualcosa. È già portato all’inganno: impara ad arrossire a comando e perfeziona un modo di non chiedere la mancia che tutte le volte gli fa guadagnare sempre la mancia. Quando uno ha talento, fiorisce prima degli altri.

L’autore di questo libro, Alexandre Georges-Pierre Guitry, detto Sasha, nacque il 21 febbraio 1885 a San Pietroburgo. E dato che allora il padre era uno degli attori francesi più celebri, Sasha diceva che aveva un cognome e si dovette fare un nome. Quel nome sarà di estro precoce almeno quanto variegato e abbondante: in sessant’anni di attività Sasha Guitry scrisse e portò in scena centoventiquattro commedie; realizzò trentasei film, spesso da regista e interprete; pubblicò una quarantina di libri, dalla memorialistica alla poesia; e incise trentasei dischi.

Secondo Jules Renard, che lo descriveva come «un grosso ventre, un faccione, due occhietti luccicanti e sporgenti, capelli radi, baffetti accuratamente arricciati, e al posto del colletto un foulard di seta nera», Sasha Guitry aveva «l’aria di un ometto che sia stato gonfiato per un viaggio sulla luna».

Fu impertinente, frivolo, virtuoso della chiacchiera e megalomane. E il baro di questo suo libro un poco gli somiglia. Non lo direi un ingannatore, però. È un imbroglione tanto caruccio. Chi frega il direttore di un casinò non è un brigante, è un angelo riconsegnato ai vivi.

Appena mette piede a Parigi, capisce che esistono certe accortezze che non si possono dimenticare, a meno di non far la figura del fesso. La moda, per i parigini? Vestirsi «in ritardo di quindici anni, o in anticipo di quindici giorni». Nella Ville Lumière occorre che tutti ti credano sposato se non lo sei, e divorziato se sei sposato. Le amanti? I loro nomi devono diventare di dominio pubblico soltanto una volta che vi sarete lasciati. Che viso mostrare agli altri? Trova l’espressione che faccia intendere che tu stia sempre nascondendo qualcosa, così in città prolifereranno le leggende sul tuo conto. Meno confidenze fai e più si reputerà che stai mantenendo chissà quale segreto di letto o di soldi. Sei capace di lasciar credere che tua nonna è stata l’amante di Napoleone III? «Tanto di guadagnato».

Croupier per nascita o per scelta

Vive poi per diciotto anni, fino al trentacinquesimo anno di età a Monaco. Quando arriva in città mancano pochi mesi alla fine dell’Ottocento. «A Monte Carlo puoi vedere inglesi, russi e cubani - come ovunque, del resto - ma ciò che qui li fa sentire a casa propria più che in ogni altro posto è che a Monte Carlo non ci sono monegaschi. Non è una città straniera: è una città per stranieri. E i monegaschi dove sono? Al casinò: sono i croupier. A Monaco non si è croupier, si nasce croupier. È una carica ereditaria. Ogni neonato monegasco, infatti, trova nella culla il tradizionale rastrello nero».

Lì l’orfano scopre il gioco. E non avrebbe potuto scoprirlo altrove, visto che mentre in tutti gli altri casinò del mondo si comincia a giocare nel tardo pomeriggio, a Monaco le roulette cominciano a girare all’ora della colazione e non si fermano finché non è notte inoltrata. E come scopre il gioco, la sua indole da baro sfavilla.

Stanley Kubrick, che certamente non stava pensando al baccarà o al poker o allo chemin de fer quando disse ciò, sostenne di non essere certo che la morale dalla storia di Icaro dovesse essere, come solitamente la si intende, quella di non tentare di volare troppo in alto. Si chiedeva, infatti, se non si potesse interpretare in quest’altro modo: «Dimentica la cera e le piume, e costruisci ali più solide». 

Non rinunciare all’occasione

È la stessa convinzione di un giocatore d’azzardo. Non rinunciare al prossimo tentativo. Non mollare proprio adesso. Sei prossimo a perdere tutto, è vero, ma non hai ancora perso tutto. Adesso è il momento di farti valere. Adesso è il momento di dimenticare cosa hai fatto finora, e che ti ha portato a perdere quasi tutto, di scioglierti in volo, e di costruire ali più solide. È ora di rischiare più di prima.

Ed è allora che lui inizia barare, che inizia a «intralciare i progetti del caso», appropriandosi «delle somme che altri hanno avuto l’imprudenza o la presunzione di mettere a repentaglio, a disdicevoli fini di lucro e con la segreta speranza di essere favoriti dalla sorte e dagli errori dell’avversario». Più che sventare il caso, per lui barare significa sostituirsi al caso.

In quei sette anni di splendore, ha cambiato nazionalità, nomi e volti. È stato russo, è stato inglese, è stato tedesco, è stato spagnolo, è stato armeno.  Duca, marchese, colonnello, dottore, industriale ed ex ministro. Pressoché tutti i giorni ha cambiato capelli e barbe e baffi.

Certo, il continuo rischio di essere arrestato gli ha tolto la possibilità di farsi una famiglia, e a nessuna delle sue numerose amanti ha mai potuto raccontare l’origine dei suoi guadagni, ma nel frattempo si è arricchito parecchio.

Trucchi da scoprire

Quali sono i trucchi del nostro baro? Al contrario di quanto non si faccia per i peccatori, di cui si dicono i peccati ma non si indicano i viziosi, con i bari si indica il reo ma non se ne spifferano gli escamotage. Servirà leggere il libro per mettersi in pari con i trucchi del più brillante prestigiatore di tutta la Francia.

Sasha Guitry fu anche un grande collezionista. Possedeva documenti di Zola e di Anatole France, una lettera di Luigi XIII indirizzata a Richelieu e quella con cui Maupassant annunciava a un amico la morte di Flaubert; possedeva le duemilaseicento pagine dell’Educazione sentimentale, e aveva acquistato il manoscritto autografo della Scuola delle mogli. Edgardo Franzosini, nella postfazione a queste Memorie, ricorda che «Guitry si commosse quando scoprì che Molière, in un dialogo, aveva cancellato a penna la parola esprit per sostituirla con la parola amour». I bari più adorabili, insomma, sono anche i più romantici.

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