- A Milano ci sono venuto in esilio, essendomi condannato in contumacia. L’ho capito subito che aria tirava, ascoltando senza volere due broker che dicevano «Gramsci lo mettiamo solo nella brochure»
- Mi sono trasferito a Milano per non diventare milanese, cioè per non appartenere a nessuna città; e Milano me lo permette, mi fornisce quel che basta per morire senza dilaniarsi troppo su quel che si è sbagliato nella vita
- Questo articolo si trova sull’ultimo numero di FINZIONI – il mensile culturale di Domani. Per leggerlo abbonati a questo link o compra una copia in edicola
Chi mi conosce poco, se capita che dobbiamo fissare un appuntamento, crede che io stia ancora a Roma; i consiglieri di qualche municipio della capitale ancora mi invitano ai convegni sulle periferie. Io abito in centro a Milano da più di dieci anni, ma la loro è una distrazione comprensibile. Roma con le sue borgate mi ha lasciato un segno, ha governato le mie ossessioni erotiche; e anche se sotto casa c’erano solo code per i Musei Vaticani e polacchi ubriachi e vetri rotti, la bellezza del c



